[ott 02] Omelia – Messa di inizio scuola

02-10-2023

Faenza, Seminario diocesano, 2 ottobre 2023

Cari Professori, Maestri e Maestre, tutti voi che lavorate nel mondo scolastico, e, soprattutto, cari ragazzi e ragazze, cari giovani, sono lieto di vedervi in questa celebrazione eucaristica che segna l’inizio di tanti cammini educativi e formativi che vi accompagneranno e che ci accompagneranno in questo anno. Penso sia significativo il titolo dato a questa occasione: Inizi di scuola, proprio per evidenziare la pluralità e la diversità dei percorsi scolastici che ci vedranno protagonisti di cultura e formazione. Mi auguro che la celebrazione della Pasqua del Risorto che stiamo vivendo, l’ascolto della sua Parola, lo spezzare il pane insieme, possano davvero essere il senso di questi tanti “inizi”. Siamo chiamati, all’inizio di un nuovo anno, ad unirci a Gesù, al suo Amore con il quale i credenti sono sollecitati a vivere l’impegno della scuola donando tutto se stessi.

Vorrei fermarmi sul Vangelo appena proclamato ed evidenziare tre punti di riflessione.

 

  1. Gesù chiamò a sé un bambino.

L’azione iniziale di Gesù è il chiamare un bambino. Non dobbiamo passare frettolosamente su questa prima azione di Gesù. Chiamare vuol dire sbilanciarsi verso l’altro, dare attenzione, cercare l’incontro. Lo Spirito d’amore che ci donano il Padre e il Figlio Gesù nella santa Messa ci pongono in relazione con ogni persona.

Un buon “inizio di scuola” non ci sarà se alla base dell’azione educativa non ci sarà il desiderio fondamentale di entrare in relazione con l’altro a cui ci predispone Dio stesso dandocene la capacità. Questo vale per gli educatori verso gli educanti, ma vale anche per i ragazzi e i giovani che sono chiamati non solo ad apprendere delle nozioni, ma soprattutto a creare una vera comunità scolastica, fatta di tanti «io» in relazione, aperti tra di loro. La “scuola” è proprio un vivere insieme, non in una maniera qualsiasi, bensì con relazioni di comunione, di dialogo, in un crescendo continuo di empatia, di comunicazioni nel vero, nel bene e nel bello. Occorre superare l’individualismo e la separazione. Pensare così: “quando ho raggiunto il mio obbiettivo sono a posto” significa isolarsi, non entrare in una comunità-comunione. Diventiamo comunione di persone, comunità scolastica vera quando tutti sono pronti a includere chi è emarginato, quando si aspetta chi rimane indietro, quando si disapprova la violenza, quando si è pronti ad accompagnare i compagni disabili o extracomunitari in una integrazione piena. Il Presidente Mattarella ce lo ha ricordato inaugurando l’anno scolastico a Forlì: «La scuola è per tutti e di tutti. Non tollera esclusioni, marginalizzazioni, differenze, divari. Ne sarebbe – e, talvolta, ne viene – deformata».

Ne abbiamo avuto una testimonianza nei giorni dell’alluvione. Sempre il Presidente Mattarella ci ha ricordato: «Nei giorni successivi all’alluvione tanti volontari provenienti da tutta Italia, soprattutto ragazze e ragazzi, hanno impugnato pale, scope e secchi. Il loro contributo è stato prezioso nella lotta contro il fango e nel manifestare cultura della solidarietà. Hanno dimostrato, concretamente, che l’Italia è una comunità. Che dai problemi si esce tutti insieme».

Anche nella scuola bisogna operare insieme, non lasciare indietro nessuno: che la lezione degli «angeli del fango» ci rimanga stampata nella testa.

 

  1. Gesù pose il bambino in mezzo.

“Porre in mezzo” è un’altra azione molto forte e chiara dell’educazione che fugge ogni astrazione. La persona, gli scolari devo essere posti al centro delle relazioni e dei progetti formativi. La cultura e tutte le iniziative collegate non vanno rese funzionali alla creazione di élite staccate dalla realtà, rinserrate in piccole roccaforti intellettualistiche. Al centro dell’educazione dobbiamo mettere la persona concreta, considerata nella sua integralità, con le sue domande insopprimibili, che chiedono conto della complessità di questo nostro tempo. Dunque, non si educa la “persona” in generale. Si coltivano le persone reali, quelle che vivono in questo tempo, nel nostro territorio, che condividono le nostre difficoltà e i nostri motivi di speranza.

E con i ragazzi e i giovani, l’approfondimento, lo studio e la formazione, devono mettere al centro degli approcci e delle strategie pedagogiche la realtà che oggi ci chiama con urgenza ad un’opera di cambiamento, di rinnovamento.

In questo mi pare utile di indicare a voi, maestre e professori, un criterio atto a valutare la qualità dell’opera educativa. È il criterio dell’incarnazione, che propongo a mo’ di domanda. Come il Verbo di Dio si è incarnato in ogni persona, nel suo intimo, per divinizzarla e, quindi, umanizzarla, anch’io insegnante, docente, mi rendo vicino agli alunni, entro in empatia, solidarizzo non per manipolare, per coartare la libertà, ma per fare fiorire una nuova umanità, per educare la ragione e le coscienze?

 

  1. Chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli.

Il Vangelo ci chiede un salto, una via nuova, inedita. La conversione e il ritornare piccoli sono la porta per la vera grandezza del Regno dei cieli.

Ma ci sono tre tipi di piccolezza. La prima è quella propria dei bambini, che Gesù prende proprio come simbolica; è la piccolezza per cui tutto è dono, tutto è speciale, tutto è nuovo; è la piccolezza che sa meravigliarsi delle cose genuine e familiari della vita, quella che sa di dipendere dall’amore di una mamma e di un padre. Questa piccolezza è unica ed è legata alla nostra piccolezza anagrafica.

La seconda piccolezza è quella delle persone che sperimentano nel proprio corpo e nella propria psiche ferite inferte dalla vita. Le malattie, le disabilità, le perdite degli affetti cari, ci mettono in maniera del tutto involontaria in una condizione di piccolezza, dove siamo chiamati a fare i conti con i nostri limiti e le nostre debolezze. Nessuno desidera o cerca la sofferenza; ma essa, pur nella domanda di senso che risveglia nella nostra coscienza, può essere la porta per riconoscerci bisognosi di un Padre che ci tenga in mano, dal quale siamo amati sopra ogni cosa, e che nella sofferenza di Cristo, alla sua passione, ci è vicino.

La terza piccolezza è la piccolezza più difficile da raggiungere: quella della conversione continua. Il “farsi piccoli” che chiede Gesù, è la sfida della maturità. Farsi piccoli non vuol dire ritornare sui propri passi o tentare di conservare il paradigma di giovinezza che ci sta vendendo il villaggio globale; non vuol dire neanche rimanere fermi nella costruzione della nostra identità o buttare all’aria la nostra storia personale.

Farsi piccoli vuol dire prendere sul serio la maturità e la necessità di fondare la nostra vita su qualcosa di più importante del successo personale, della ricchezza, di tutte quelle cose che ci promettono sicurezze legate alle cose materiali.

Il “farsi piccoli” è il riconoscere che la nostra vita non è niente senza il Signore, il solo “grande”, il solo che può condurci alla gioia, e alla gioia piena.

Cari docenti, cari ragazzi e giovani, per iniziare bene l’anno scolastico impariamo da Gesù, che si fa uno di noi e vive con noi per renderci persone umane compiute, la capacità di renderci vicini agli altri, di essere dono per gli altri nella comunità della scuola.

Che i santi Angeli, coloro che vedono direttamente il volto di Dio, ci accompagnino nel nostro viaggio terreno perché anche noi un giorno possiamo essere ammessi a quella gioia che non avrà mai fine.

Buoni “inizi” a tutti!

 

                                                           + Mario Toso