Omelia per l’ingresso di mons. Mariano Faccani Pignatelli a Ss. Agostino e Margherita

08-10-2017

Cari fratelli e sorelle, autorità civili, associazioni e movimenti, Signor Sindaco, oggi questa comunità parrocchiale vive un momento importante, ossia l’ingresso del nuovo parroco Mons. Mariano Faccani Pignatelli. Egli succede a Mons. Ivo Guerra che domenica scorsa è stato salutato dalla comunità, dopo circa trent’anni di servizio pastorale, generoso, ricco, apprezzato. Grazie Mons. Ivo per tutto quello che hai fatto e per quello che continuerai a fare specie nella nuova Casa del Clero. Il Signore ti ricompenserà.

L’avvicendamento del parroco giunge in una fase particolare della nostra Diocesi. Siamo, infatti, concentrati nella ricezione della lettera apostolica Evangelii Gaudium (=EG) e nella preparazione del Sinodo dei giovani. L’EG ci ricorda che nell’attuale contesto di progressiva scristianizzazione e secolarizzazione, tutti i credenti, nessuno escluso, è chiamato ad una nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede. Non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva degli eventi, dentro le nostre chiese. È necessario passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria. Le nostre comunità devono caratterizzarsi come «Chiesa in uscita», ossia come comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano (cf EG n. 24). Di fronte alle parole di papa Francesco, che recentemente ha visitato la nostra terra, molti reagiscono in maniera selettiva, prendendo solo ciò che interessa a loro. E così non pochi interpretano l’immagine della «Chiesa in uscita» come quella di una comunità protesa principalmente o unicamente al servizio dei poveri. Si tratta di una visione riduttiva. Non bisogna dimenticare che l’azione evangelizzatrice ed umanizzatrice della Chiesa, dal momento che Gesù Cristo salva l’uomo nella sua integralità, ossia in tutte le dimensioni del suo essere, è volta a dispiegarsi verso più ambiti. Sicuramente verso i più poveri, ma anche verso il mondo della vita, della famiglia, del lavoro e dell’impresa, dei mass media, della scuola, della cultura, dell’ecologia. Tutto questo è stato spiegato nella Lettera pastorale del vescovo. Nell’EG si trova scritto, inoltre, che la proclamazione del Vangelo deve rivolgersi anche a coloro che hanno rifiutato Gesù Cristo e a coloro che non lo conoscono ancora.

In un contesto di immigrazione di persone e di famiglie, provenienti da Paesi poveri oppure dilaniati da conflitti e da guerre fratricide, occorre certo ricordarsi che assieme alla preoccupazione dell’accoglienza, dell’integrazione, dell’offerta di un lavoro deve accompagnarsi la sollecitudine dell’annuncio di Gesù Cristo. Molti, presi da eccessivo pudore, esitano a parlare a loro di Gesù Cristo, quasi temendo di coartare la libertà religiosa altrui, di fare proselitismo aggressivo. Non è il nostro caso. L’annuncio di Cristo è praticato con tale discrezione che non corriamo sicuramente un simile pericolo. Alla fine, per fortuna, sono gli stessi immigrati che ci chiedono di Gesù, di aiutarli a concludere un cammino di fede iniziato o abbandonato nei loro Paesi di provenienza.

Quello che si vuol dire è questo: una Chiesa veramente missionaria, ossia «in uscita», dev’essere in grado di offrire nel nostro territorio, con l’aiuto umanitario, anche la proposta della fede. È venuto il tempo per noi, per le nostre parrocchie e la nostra diocesi di pensare all’evangelizzazione degli immigrati in maniera più decisa, istituendo, se è il caso, cammini catecumenali per coloro che hanno abbandonato la fede o per chi desidera di completare il proprio percorso di educazione alla fede, provenendo da un Paese lontano, da un’altra cultura.

Ma la Chiesa, come detto poco fa, dev’essere protagonista di un’evangelizzazione a trecentosessanta gradi, in particolare nella cura della dimensione sociale della fede (cf EG capitolo IV). Decenni fa le nostre parrocchie si caratterizzavano per l’intraprendenza nell’innalzare istituzioni a vantaggio dei poveri come le scuole di formazione professionale, casse rurali, cooperative. Esse, inoltre, emergevano per la capacità di esprimere personalità di grande caratura dal punto di vista politico e culturale. Faenza e il suo Seminario erano definiti la piccola Atene della Romagna. Domandiamoci: rispetto ad un passato così glorioso come ci troviamo ora? Riusciamo ad eguagliare, in qualche modo, coloro che hanno onorato questa terra e la fede? Caro Mons. Mariano, pensando alla tua preparazione, mi domando se divenendo parroco in questa città, non possa renderti anche animatore e promotore di una crescita culturale di tanti nostri fratelli laici, che gravitano in questa parrocchia e che ricoprono posti di responsabilità nella società e nelle sue istituzioni. Penso che sarebbe davvero utile e confortante se la fede in Gesù Cristo e la partecipazione all’Eucaristia potessero ancora generare nelle nostre comunità e nella nostra città un pensiero nuovo, stili di vita disinteressata, quel senso critico che non distrugge ma ama e coltiva la verità sull’uomo, sulla vita, sulla famiglia dal punto di vista cristiano. Abbiamo bisogno di credenti che non sminuiscono o svendono la proposta del Vangelo, e che non vivano nel sottobosco della storia. L’identità cristiana non va pensata come una iattura per una società pluralista e per il dialogo pubblico. Semmai va ritenuta una garanzia per l’umanizzazione della città e della civiltà. Occorre lavorare perché il terreno che riceve il seme della Parola non sia sassoso e impedisca alle radici della fede di affondare nel terreno della vita. La fede va costantemente nutrita, va pensata. Altrimenti è nulla, incapace di innervare la cultura e le istituzioni. Seguiamo quanto ci suggerisce l’apostolo Paolo nella Lettera ai Filippesi: «… quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri» (Fil 4, 6-9).

Il prossimo Sinodo dei giovani sarà per ogni comunità, ma anche per questa, occasione propizia per avviare i giovani a divenire più adulti nella fede, cioè ad essere sia costruttori dell’edificio spirituale che è la Chiesa sia costruttori della civiltà dell’amore. Come dice la parola «Sinodo», bisognerà che le componenti della comunità parrocchiale, compiano uno sforzo convergente sui giovani per camminare insieme con loro. Si tratterà di accompagnarli nel discernere la loro vocazione cristiana: al sociale, al matrimonio, ossia alla formazione di famiglie o chiese domestiche; alla vita sacerdotale o religiosa, alla consacrazione laicale. Una comunità parrocchiale che non ha sufficiente cura della crescita umana e cristiana dei suoi giovani è come si «suicidasse». Proprio per questo il parroco se deve aver cura di tutti, dai bimbi agli anziani, dagli ammalati ai poveri, dalle persone sole ai figli abbandonati, non può esimersi dall’impegnarsi, assieme al suo laicato, ben formato, nell’educazione dei giovani. A questo proposito il vescovo ha preparato un vademecum che è bene divulgare e seguire come traccia di un cammino compiuto comunitariamente. Non dobbiamo dimenticare che è la vita fraterna e fervorosa della comunità che risveglia il desiderio di vocazioni forti, di consacrarsi interamente a Dio e all’evangelizzazione, soprattutto se si prega insistentemente per le vocazioni e si ha il coraggio di proporre ai giovani mete alte. Le parole del Vangelo odierno sono ammonitrici: «A voi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21, 43). Che non ci capiti questo.

Caro Mons. Mariano, il lavoro non ti mancherà, come anche nella Curia diocesana. Il Signore, come ha sostenuto il tuo predecessore, sosterrà anche te. La Madonna, stella della nuova evangelizzazione, ti accompagni.