Cari fratelli e sorelle,
il Vangelo di questo giorno non ci lascia spazio per proporre metafore concilianti o immagini edulcorate rispetto alla serietà che comporta seguire il Signore anche nell’ambito della scuola e dell’educazione. La Parola di Dio, rispetto all’emergenza primaria che è l’educazione – prima ancora della follia della terza guerra mondiale a pezzetti, della rivoluzione tecnologica che assolutizza la tecnica, dei cambiamenti climatici estremi, dei problemi migratori, del cambio dell’ordine mondiale -, ci viene incontro. Ci dice che dobbiamo – anche come insegnanti, come educatori – dare il primato a Dio. «Se uno viene a me – dice il Signore Gesù – e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14, 24).
Gesù dice chiaro ciò che per ogni credente – anche in quanto insegnante – è più importante, essenziale. Di fronte alle parole del Signore, la scelta che si impone è netta dal punto di vista del suo valore: è quella di un’esistenza incentrata su Dio, su un’esistenza aperta al dono, alla gratuità. Assegnare il primato a Dio non vuol dire, però, non amare la propria professione, i propri allievi. È vero il contrario. Se nella propria vita si pone Dio al primo posto si è più lucidi e più determinati nel conseguire gli obiettivi della propria professione, dell’insegnamento e dell’educazione. Se Dio è amato sopra ogni cosa si è in grado di amare di più – in una giusta prospettiva – le persone dei propri studenti, il proprio impegno educativo. Si è in grado di sviluppare, assieme alla comunità dei gestori, dei propri colleghi e delle famiglie, un’azione pedagogica, un ambiente educativo che pongono chiaramente al centro le persone degli allievi, considerate alla luce del primato dello spirituale.
Nelle scuole cattoliche, per queste premesse valoriali, diviene cruciale e decisivo la coltivazione dell’asse centrale di un personalismo comunitario, relazionale, aperto alla Trascendenza. Un tale personalismo non è frutto di una conoscenza aprioristica, deduttivistica. Riconduce incessantemente la nostra conoscenza e il processo educativo all’esperienza concreta delle persone e della loro formazione integrale. Si tratta di una via che non fossilizza il pensiero e la prassi educativa entro schemi preconcetti o statici. Indirizza, piuttosto, ad una pedagogia della persona considerata storicamente, dinamicamente. L’educazione viene strutturata commisurandola agli studenti con i quali si è in relazione e che sono sempre in crescita. Gli studenti rimangono sempre in primo piano, rispetto a indagini sociologiche, analisi delle situazioni, tecniche, processi, metodi: realtà rilevanti ed utili sì, ma non assolute.
Un’ulteriore considerazione. Proprio per un’impostazione non astratta, bensì commisurata alla realtà delle persone con le quali si è in relazione, si è indotti a modellare l’azione pedagogica al loro essere integrale, alla loro intrinseca apertura a Dio. In forza di questo, docenti ed aiuto-educatori sono sollecitati ad impostare la propria prassi pedagogica non semplicemente all’autorealizzazione dei ragazzi o dei giovani, bensì alla loro capacità di dono, di gratuità, di servizio agli altri, specie ai più poveri. I propri studenti vanno educati non solo a studiare per il voto ma per la vita, vanno stimolati non solo a conoscere ma a studiare con passione, con senso critico, con un cuore che vede il bisogno d’amore delle persone, per rispondervi con la misura alta dell’amore del Cuore di Gesù. L’educazione, diceva don Bosco, è questione di cuore e non ha come obiettivo l’amare i giovani kantianamente, ossia come fini in sé, bensì come persone capaci di vivere per Dio, in Gesù Cristo. L’educazione che orienta a vivere ultimamente per Dio e per gli altri, più che per sé stessi, rafforza l’ethos delle società, tramite coscienze che riconoscono in Dio il bene più alto, la ragione fondante del proprio perdere sé stessi per il bene altrui, per il bene comune. Dio, comunità trinitaria – ciò non va mai dimenticato –, consente la rettitudine della vita della gente. Una scuola cattolica, tale non solo nominalmente, ma nella sua sostanza e nelle sue relazioni, impronta contenuti, metodi, processi educativi in termini di dono, di quella gratuità che rende tutti servitori senza padroni. Non calpesta le identità e le differenze nell’illusione di un’unità che è solo omogeneità.
Se gli insegnanti, nell’attuale cultura prevalentemente scristianizzata, fluida, sperimentano difficoltà nelle relazioni non vanno ignorate le fatiche dei giovani.
Molte volte quest’ultimi si trovano accanto adulti, anche in famiglia, che non testimoniano e non “salvano” niente, semmai concedono tutto e, quindi, non permettono loro di respirare aria buona, di percepire positività, di trovare il sogno che Dio ha su ciascuno. Portano dentro grandi domande, le domande di senso fondamentali che, per fortuna, la cultura dominante e l’omologazione non riescono ad estirpare del tutto. Aiutiamo i ragazzi e i giovani che incontriamo a rispondere a tali domande, mettendole a tema. Comunichiamo speranza, siamo portatori di un annuncio di salvezza. Il Signore Gesù va posto al centro e prima di tutto anche dai giovani (questo evidentemente nella scuola statale non può essere proposto direttamente come in una scuola cattolica il cui carattere è confessionale). Una scuola, comunque, che ha paura di fare proposte di qualità, forti, coraggiose, diviene un ambiente incapace di forgiare personalità forti e all’altezza dei tempi.
+ Mario Toso