Cari fratelli e sorelle,
vengo fra di voi per confermarvi nella fede, nella sequela, nell’amore per Gesù Cristo. È lui il Pastore che mai abbandona il suo Popolo, il Maestro che ci insegna la via da seguire per la gioia piena, la speranza che non delude. La Chiesa è e deve essere sempre di più il luogo nel quale ogni persona possa fare l’esperienza dell’amore del Padre.
La luce delle genti è Cristo: noi, suo Popolo, siamo chiamati ad annunciarlo, a renderlo presente nella celebrazione, nella vita rinnovata dall’unione con il Cuore di Gesù. È nel cuore a cuore con Gesù, è nell’adorazione[1] e nel dono della nostra vita a Lui, che poniamo le basi di un nuovo ardore nell’apostolato, nel vivere la carità, nell’avere il coraggio di annunciarlo, di non vergognarci nel riconoscere la nostra amicizia con Lui.[2]
La Chiesa è chiamata e mandata per le strade di questo mondo, di questo tempo, non ad annunciare sé stessa, non con un atteggiamento introverso, ripiegato sulle proprie iniziative, ma ad essere lievito, ad essere sale che dà sapore, ad essere «ospedale da campo» che accoglie tutte le ferite e sa curarle vivendo la misericordia del Signore.
Le vostre comunità parrocchiali sono chiamate a crescere in modo particolare rispetto a quattro dimensioni:
- L’unità
La Visita è stata pensata e organizzata non per ogni singola parrocchia, ma è rivolta a tutta l’Unità pastorale. È un atto comunitario che richiede un cambio di passo, sia nella collaborazione fra i presbiteri, sia nella programmazione, nell’organizzazione, nella consapevolezza, che la parrocchia non è realtà a sé stante, staccata dal resto della Chiesa. La parrocchia senza un riferimento alla Diocesi, all’intero Popolo di Dio, radunato attorno al Vescovo e al presbiterio, perde il proprio orizzonte più vasto, impoverisce la sua essenza sul piano della comunione ecclesiale. Detto altrimenti: l’unità con la Diocesi e fra le parrocchie, non è qualcosa che si aggiunge dall’esterno alla singola realtà parrocchiale, ma ne costituisce il tessuto base che la include in un orizzonte universale, come è quello della Chiesa di Gesù Cristo.
Le distanze geografiche non costituiscono un valido argomento perché ogni parrocchia continui a camminare per proprio conto: soprattutto in questi territori che devono fare i conti con un progressivo spopolamento e con l’assottigliamento delle generazioni giovanili, ove lo sviluppare sinergie e cammini condivisi risulta sempre più necessario.
Uno sguardo che sa cogliere la relazionalità aperta delle parrocchie, a partire dall’unione in Gesù Cristo, nel suo Amore; la conversione pastorale e missionaria permanenti, l’impulso alla fraternità e ad un agire comune sempre più amalgamato: tutto è al servizio dell’annuncio del Vangelo e della crescita del Regno in un determinato territorio.
Non bisogna pensare alla missione di comunicare Cristo «come se fosse solo una cosa tra me e Lui. La si vive in comunione con la propria comunità e con la Chiesa. Se ci allontaniamo dalla comunità, ci allontaneremo anche da Gesù. Se la dimentichiamo e non ci preoccupiamo per essa, la nostra amicizia con Gesù si raffredderà. Non va mai dimenticato questo segreto. L’amore per i fratelli della propria comunità – religiosa, parrocchiale, diocesana – è come un carburante che alimenta la nostra amicizia con Gesù. Gli atti d’amore verso i fratelli di comunità possono essere il modo migliore, o talvolta l’unico possibile, di esprimere agli altri l’amore di Gesù Cristo. L’ha detto il Signore stesso: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri”» (Gv 13,35).[3]
- La ministerialità
Abbiamo bisogno di investire maggiormente nei gruppi ministeriali, ovvero, dobbiamo incentivare e approfondire i carismi laicali, la corresponsabilità e la collaborazione dei laici. Il calo dei presbiteri residenti, il crescente analfabetismo religioso delle famiglie e della società, richiedono una presa di coscienza nuova sul ruolo dei laici all’interno della comunità cristiana e della società.
Ogni battezzato è chiamato ad annunciare il Vangelo, a partecipare ai sacramenti, a vivere la carità di Cristo, non da solo o individualmente, ma nella Chiesa, in comunione con i pastori e gli altri fratelli.
Questo vuol dire che tutti, dal Vescovo all’ultimo battezzato, siamo chiamati a vivere la Chiesa da protagonisti e non da spettatori; a camminare insieme nella comunione con Cristo, il missionario per eccellenza.
Non possiamo essere spettatori dell’evangelizzazione, inclusa l’evangelizzazione del sociale,[4] pensando che è compito di altri; non possiamo essere spettatori dell’Eucaristia pensando che è il compito del prete; non possiamo pensare di essere spettatori della carità, perché “tanto ci penserà la Caritas”.
Siamo noi tutti che dobbiamo animare, far fermentare, portare a pienezza i desideri di bene che nascono dal Vangelo e sono destinati ad ogni uomo.
Se mancherà il nostro protagonismo comunitario questa terra vedrà mancare i presupposti per una rinnovata primavera del Vangelo.
- La formazione
Emerge il bisogno di adeguare i nostri strumenti e percorsi pedagogici, culturali, nonché l’urgenza di incentivare una conoscenza della fede non approssimativa o superficiale, ma approfondita e costante. In un contesto di cultura fluida, in cui tutto è uguale a tutto, abbiamo bisogno di pensare la nostra fede. Se la fede non è pensata, approfondita anche dal punto di vista razionale, rischia di morire.
Chi ama vuole anche conoscere Colui che ama.
Molte volte ci mancano i contenuti più che i metodi, ovvero possiamo essere specializzati in tecniche di annuncio, ma se ci manca il contenuto essenziale da comunicare siamo come pappagalli che ripetono parole senza senso. La nostra voce sarà vuota di significato.
Dobbiamo rimettere al centro Gesù Cristo e l’annuncio che ha cambiato la storia e il mondo: Lui è morto e risorto, è il vivente, che continua a guidare la sua Chiesa alla pienezza di vita. Egli è Colui che ci ama senza limiti e che non vuole perdere nessuno di noi. Questo annuncio, questo kerygma, deve essere alla base di ogni formazione, di ogni crescita nella fede.
Nessuno deve considerarsi “arrivato”, completo, perfetto: tutti abbiamo bisogno di metterci continuamente in discussione, di approfondire la cultura che dà forma alla società odierna alla luce del Vangelo.
- L’accompagnamento vocazionale
Abbiamo il coraggio di spendere energie e tempo nell’accompagnamento paziente e generoso dei giovani. Stiamo in mezzo a loro, passiamo del tempo con loro, viviamo esperienze autentiche di vita per poter testimoniare che la vita con il Signore è bella. Non abbiamo paura di parlare apertamente di Gesù: il Vangelo non toglie nulla all’umanità, ma la rende più se stessa, più libera.
Se questo annuncio liberante riuscirà a raggiungere il cuore dei giovani, allora potremo coinvolgerli in una vita responsabile e sperare in una rinnovata fioritura di vocazioni alla vita familiare, alla vita religiosa, al ministero ordinato.
+ Mario Toso
[1] L’adorazione è rivolta solo a Cristo vivo, nella sua divinità e in tutta la sua umanità, per lasciarci abbracciare dal suo amore umano e divino. «Al di là dell’immagine utilizzata, è certo che il Cuore vivo di Cristo – mai un’immagine – è oggetto di adorazione, perché è parte del suo corpo santissimo e risorto, inseparabile dal Figlio di Dio che lo ha assunto per sempre. È adorato in quanto “Cuore della Persona del Verbo, al quale è inseparabilmente unito”. Non lo adoriamo isolatamente, ma in quanto con questo Cuore è il Figlio stesso incarnato che vive, ama e riceve il nostro amore. Pertanto, ogni atto d’amore o adorazione del suo Cuore è in realtà “veramente e realmente tributato a Cristo stesso”, poiché tale figura rimanda spontaneamente a Lui ed è “simbolo e immagine espressiva dell’infinita carità di Gesù Cristo”» (cf Francesco, Dilexit nos, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024, n.50).
[2] Cf Francesco, Dilexit nos, n.211.
[3] Francesco, Dilexit nos, n. 212.
[4] Cf M. TOSO, Nuova evangelizzazione del sociale. Per una nuova cultura politica e di democrazia, Edizioni Chiesa di Faenza-Modigliana, Faenza 2024.