SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI
Faenza, 1° novembre 2024.
Cari fratelli e sorelle, oggi contempliamo e viviamo il mistero della comunione dei santi del cielo e della terra. Con loro formiamo la famiglia di Dio, il Corpo di Cristo. Tutti siamo uniti nella comunione e nella missione del Signore Gesù. Con loro siamo fatti santi dallo Spirito d’amore di Dio.
Noi che in questo tempo camminiamo come comunità sinodale dobbiamo ritenerci inseriti in quella moltitudine immensa di cui ci ha parlato il Libro dell’Apocalisse (Ap 7,9): una moltitudine che nessuno può contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Sant’Agostino ha descritto una tale moltitudine come una grande schiera di testimoni che forma: la Chiesa pellegrinante, che si snoda nella storia; la Chiesa che attende la purificazione ed è in procinto di entrare nel tempio di luce, che è il Paradiso; la Chiesa che è già arrivata nella Gerusalemme celeste, la città ove si vive esultanti nella piena comunione con Dio Amore.
La solennità di oggi è l’occasione per prendere coscienza che la gloriosa miriade dei santi che è in cielo vive con noi, tifa per noi, ci incoraggia a procedere spediti nell’accrescimento della comunione tra di noi, con Cristo e con la sua missione. I santi ci accompagnano nel nostro percorso verso il Regno. Ci spronano a tenere fisso lo sguardo su Gesù, il Grande Pastore che ci precede e ci conduce e ci attende. Egli ci sostiene e ci trasfigura con il suo amore di tenerezza, allo stato puro, vissuto fin sulla croce. Il suo amore ci sospinge in avanti, nei tornanti della storia, per portare a tutti la vita nuova del Risorto.
È l’amore di Cristo che ci rende santi. La santità è dono che proviene da Dio Amore, mediante la Chiesa e i suoi sacramenti. E così, oggi noi festeggiamo la Chiesa Madre di tutti i santi. I tanti santi da lei nati e nutriti, come scrisse san Bernardo, ci mostrano Cristo. Fanno ardere in noi il desiderio di Lui. Raffigurano la pienezza di vita e la statura spirituale del Redentore, il suo volto e la sua presenza, l’assoluto umano di Dio. Ci insegnano la via verso Cristo ed intercedono per noi.
Per essere santi a casa nostra, nelle nostre attività quotidiane, nelle nostre comunità ed aggregazioni, non occorre compiere azioni ed opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali. Come ci ha insegnato santa Teresa di Lisieux, dichiarata dottore della Chiesa nel 1997 da san Giovanni Paolo II, la santità ha tantissimi volti ma un’unica sorgente. Leggendo san Paolo, in particolare il capitolo XII della prima Lettera ai Corinti, Teresa di Gesù Bambino si rende conto che la Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, è formata da tante membra tutte necessarie per la vita della Chiesa. Meditando l’inno alla Carità, Teresa capisce che le membra nella Chiesa, pur svolgendo ministeri diversi, godono di un’unica vita. La carità è il punto di partenza indispensabile e il punto di arrivo di tutte le vocazioni. Vivendo la carità, tutte le vocazioni si incontrano in Cristo, formano un tutt’uno. Il loro cuore, come dice la nuova enciclica Dilexit nos, batte all’unisono con quello di Gesù.[1] Teresa, che desiderava essere allo stesso tempo sacerdote, missionaria e altro ancora, e si struggeva in un martirio interiore senza fine, ci confida che è giunta ad acquisire la pace allorché riuscì a cogliere l’essenza profonda della Chiesa: «La carità mi diede la chiave della mia vocazione. Capii che, se la Chiesa ha un corpo composto da diverse membra, l’organo più necessario, più nobile di tutti – ossia il Cuore di Cristo coronato di spine – non le manca; capii che la Chiesa ha un cuore e che questo cuore arde d’amore. Capii che solo l’amore fa agire le membra della Chiesa. Se l’amore si spegnesse, gli Apostoli non annunzierebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue. Capii che l’amore racchiude tutte le vocazioni. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, esclamai: “Gesù, amore mio, la mia vocazione l’ho finalmente trovata: la mia vocazione è l’amore! Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa e questo posto, Dio mio, me l’avete dato voi! Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’amore. Così sarò tutto”». Cioè, così vivrò tutte le vocazioni, perché l’anima di tutte le vocazioni è l’amore (Manoscritto B, f. 3v).
Santa Teresa è giunta a cogliere la radice della santità e a vivere misticamente la comunione dei santi, perché ha incontrato e vissuto l’Amore di Dio e di Cristo. Partecipando all’Eucaristia viviamo l’esperienza alta dell’amore crocifisso di Cristo. Parola e frazione del pane sono le due esperienze fondamentali attraverso cui è possibile, per la Chiesa di ogni tempo, incontrare Gesù, il suo amore crocifisso e la sua risurrezione dai morti. Unendoci a Cristo morto e risorto, alla sua Pasqua in atto nell’Eucaristia, entriamo nella comunione dei santi che è in Cristo, che tiene unite le molte generazioni dei credenti e le rende solidali tra di loro. Cristo, incarnato, morto e risorto, rappresenta per noi il ponte che unisce la sponda di coloro che vivono sulla terra e la sponda di coloro che sono già pervenuti all’immortalità. In questa Eucaristia facciamo giungere a Cristo le nostre preghiere per la purificazione delle anime del purgatorio. In Cristo innalziamo le nostre preci perché i nostri fratelli defunti intercedano per noi dal Signore la vita delle beatitudini. È Cristo il vero beato, il povero in spirito, l’afflitto, il mite, l’affamato, l’assetato di giustizia, il misericordioso, il puro di cuore, l’operatore di pace (cf Mt 5, -12a). Lui è per noi dono d’amore e con ciò stesso fondamento di ogni santità.
+ Mario Toso
[1] Cf Francesco, Dilexit nos, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2024, n. 134.