[mag 25] Intervento – Ripensare e vivere la democrazia

25-05-2024

Premessa: partecipazione, via di rigenerazione

La 50.a edizione della Settimana Sociale dei Cattolici offre l’occasione di riflettere sul Documento preparatorio avente come titolo Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo (Trieste 3-7 luglio 2024).[1]

La prossima Settimana Sociale di Trieste evidenzia la direttrice della partecipazione quale via di rigenerazione della democrazia. Questa appare, infatti, realtà fortemente in crisi.[2]

  1. La crisi della democrazia contemporanea

Si tratta di una crisi profonda relativa al deficit del rendimento del sistema democratico, ad una rappresentanza indebolita a causa della crescente separazione tra élite e società civile, a istituzioni pubbliche che non lavorano a lunga scadenza, ma obbediscono a criteri di mero successo elettorale. I partiti si presentano non come canali di comunicazione tra società civile e istituzioni pubbliche a causa delle liste bloccate.[3] In tal modo, non consentono un adeguato coinvolgimento popolare nei processi decisionali. Favoriscono l’astensionismo, la disaffezione nei confronti della politica[4].

La crisi maggiormente preoccupante, però, è la crisi etico-culturale che sta alla base della democrazia. Sotto i colpi di un individualismo arbitrario e di una sempre più diffusa dittatura del relativismo[5] si pongono in gravi difficoltà lo Stato di diritto, lo Stato di diritto sociale, basi della democrazia sostanziale contemporanea. Con cittadini prevalentemente volti a realizzare una libertà individualistica, libertaria, utilitaria, consumistica, diventa sempre meno possibile una democrazia sostanziale, partecipativa, solidale, deliberativa, inclusiva. La democrazia come è stata delineata nella Costituzione italiana, ma non solo, presuppone un personalismo comunitario, incentrato attorno ad un asse costituito dalle persone libere e responsabili, intrinsecamente sociali, aperte al Trascendente.

Oggi, dunque, occorre riappropriarsi della democrazia[6] risemantizzandola, rafforzandola sulle basi di un umanesimo trascendente. La partecipazione è da coltivare come primo indicatore della salute della democrazia, come via che consente di perseguire la fioritura dell’umano.

Fa ben sperare – si legge nel Documento preparatorio – un tessuto sociale popolato da tante energie positive e da esperienze innovative, seppure circondate da una cultura ad impronta individualista e libertaria. C’è, in definitiva, una partecipazione attiva alla vita civile, che costituisce una base su cui far leva per ripartire con una nuova democrazia. Si possono riconoscere germogli di un futuro promettente. Essi sono: la perdurante vitalità dell’associazionismo, del terzo settore, lo sviluppo di una nuova economia civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale; l’attività di amministratori capaci di ascoltare e interpretare in modo responsabile e lungimirante i bisogni emergenti di città e territori, la costruzione di percorsi dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune; la spinta propulsiva dei giovani per la cura dell’ambiente; l’impegno di Chiese locali nella costruzione di comunità energetiche.

Ma la forza della partecipazione civile, benché contrassegnata da giovinezza e vitalità, per sproporzione e insufficienza di mezzi, non basta alla realizzazione del bene comune di un «noi comunitario» chiamato popolo.

Occorre una partecipazione politica, supportata da adeguata cultura e vita spirituale, da un’azione plurale, comunitaria, generativa.

Una tale partecipazione politica trova le sue radici profonde ultimamente nella persona libera e responsabile, intrinsecamente sociale, aperta alla Trascendenza. Oltre che nella persona trova origine nella stessa società civile e, da ultimo, nella Comunità-società politica, posta in atto dalla medesima comunità civile per il proprio compimento umano.

Tra i fenomeni più rilevanti del malessere della democrazia odierna sta la mancanza di una visione complessiva di Paese, di definizione di un progetto strategico di sviluppo integrale, inclusivo, e di partecipazione internazionale.

 

A proposito di una visione complessiva di Paese non va dimenticato che vi sono sfide che vanno affrontate con senso critico e nel quadro di una cultura integrale, poggiante sulla base di un umanesimo trascendente. Tra queste sfide vanno segnalate, evidenzia il Documento preparatorio:  la diminuzione delle diseguaglianze, la custodia dell’ambiente, la promozione del lavoro per tutti in un momento in cui irrompe l’intelligenza artificiale, l’urgenza della pace mondiale, la riforma radicale delle istituzioni internazionali, la trasformazione culturale nella direzione di un umanesimo trascendente, la tutela dello Stato di diritto (si pensi alla qualificazione giuridica quali diritti soggettivi dell’aborto, dell’eutanasia, della manipolazione genetica e della procreazione con le più moderne tecniche mediche) e della democrazia, l’integrazione socio-culturale dei migranti.

Le suddette sfide, dunque, urgono un discernimento sapienziale, la compattazione di una nuova sintesi culturale come anche la creazione di percorsi comuni orientati alla partecipazione della vita civile, alla partecipazione politica.

  1. La forma di governo della democrazia proposta dalla Dottrina sociale della Chiesa

Premesso che dall’evolversi delle diverse organizzazioni statuali non deriva un’indicazione sicura circa questa o quella forma di governo, la DSC ritiene che quella democratica sia superiore alle altre forme perché maggiormente rispondente alla dignità della persona reale, che è la dignità di un essere libero e responsabile. Come ebbe a scrivere Pio XII, se si raffrontano le varie forme di governo alla dignità della persona, la democrazia – governo dai cittadini, dei cittadini, per i cittadini – appare quasi un postulato naturale imposto dalla ragione.

La democrazia, pertanto, è la forma statale più rispondente alla persona, alla sua capacità di ricercare il vero, il bene e Dio. Nella sua essenza prevede la partecipazione di tutti i cittadini alla vita pubblica in atteggiamento di libertà e responsabilità, protesi alla realizzazione del loro compimento umano in Dio.

La democrazia partecipativa consiste in una particolare organizzazione della società umana secondo i principi di solidarietà e di sussidiarietà, sicché i cittadini, singoli o associati, mediante molteplici iniziative e attività, portano il loro contributo alla realizzazione del bene comune, armonizzandovi i loro interessi particolari, elevandoli a momenti o ad elementi di esso. Relativamente alla prospettiva di una società partecipativa non va ignorata l’indispensabilità di un ambiente democratico.[7]

Prima ancora di essere una forma di governo, di buone pratiche, di principi strutturali (Costituzione, rappresentanza, divisione dei poteri, ordinamenti giuridici, di regole procedurali come il metodo della maggioranza) la democrazia è espressione della vita morale e spirituale del popolo. Ha origine nelle persone, nella loro indigenza, nella loro ricchezza d’essere, intesa come capacità di pensiero e di parola, di creatività e di immaginazione. Ha a che fare con il sentirsi parte di un tutto che completa – in termini di solidarietà e di sussidiarietà – e che supporta il proprio compimento umano in Dio.

  1. La democrazia cresce con l’uso della partecipazione.

Impoverisce se diventa un insieme di processi formali, burocratici, procedure senza anima, senza coinvolgimento dei cittadini nella programmazione e co-progettazione, nei processi decisionali. In essa non ci può essere una sistematica frustrazione del sogno e della profezia. Questo perché la democrazia non può ridursi ad un insieme di processi incapaci di ascoltare tante realtà associative. La democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività. Lascia fuori il popolo, i poveri, nella costruzione del bene comune, nella lotta quotidiana per la dignità, nell’approvazione delle leggi.

In una prospettiva di una democrazia sostanziale, partecipativa, deliberativa, inclusiva, nel Documento preparatorio della Settimana sociale ci si chiede opportunamente: «quale coinvolgimento, oltre alla gente comune, è dato agli immigrati? Questi sono, oltre che accolti, promossi ed integrati?».

Nonostante tante frustrazioni, delusioni rispetto ad una democrazia con luci, ma con non poche ombre, nella società italiana si legge il desiderio di una ripartenza, verso una nuova cittadinanza fondata sul contributo di tutti. Rispetto a ciò sollecita la stessa enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. Il Documento preparatorio della prossima Settimana sociale definisce una tale enciclica un abecedario, ove i cristiani possono trovare le prime lettere dell’alfabeto politico, in un contesto socioculturale in cui siamo tutti un po’ «analfabeti funzionali» (cf p. 24).

Ma se si ha a cuore la partecipazione come dinamica della rivitalizzazione della democrazia bisognerà generare reali occasioni in cui prendere la parola, proporre, ascoltarsi, condividere, immaginare con riferimento alle grandi questioni: l’economia e la democrazia economica,[8] la finanza, il potere, l’educazione, la dimensione pratica della carità, la responsabilità della cura dei luoghi e dell’ambiente, l’immaginazione politica.

Al termine dell’elenco nel Documento preparatorio si pone una finestra, a p. 28, con alcune domande. Tra queste la prima mi pare di particolare rilevanza in vista della partecipazione nella democrazia e per la nostra riflessione. È bene evidenziarla, per non perdersi in un discorso vago. Ecco la prima domanda: «Ci siamo ritirati nel sociale, nell’impegno civile e di volontariato abbandonando la presenza in politica. Come recuperare questo spazio di presenza e di impegno?».

Si tratta di una domanda per nulla banale che, però, espressa com’è, lascia in ombra il problema della partecipazione politica attraverso i partiti. La partecipazione attraverso i partiti sembra essere divenuta, in ambito cattolico, quasi un tema tabù, per la sua delicatezza, per le questioni che implica. E, tuttavia, è un tema che non può essere evaso, allorché, come appare nel Documento preparatorio, ci si ripropone di andare al cuore della democrazia mediante la partecipazione. Questa si articola in diversi modi e su più piani: sociale, economico, politico, culturale, mass-mediatico, informatico, non escluso il piano del potere (o, meglio, dell’esercizio dell’autorità), inteso come poter-essere, poter-fare e poter-cambiare (cf p. 26).

Può essere di aiuto, per farsi una visione più completa della questione della partecipazione, qualche accenno alla stessa Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa mediante un breve excursus.[9]

 

  1. Difficoltà nel mondo cattolico nel concepire una partecipazione democratica più che sociale, ossia politica, deliberativa: verso un analfabetismo istituzionale?

L’attuale situazione di diaspora dei cattolici in politica non è un fatto da dimostrare. Dispersi tra soggetti politici di altro orientamento ideologico, i cattolici faticano a portare, un loro specifico contributo ai principali temi dell’agenda politica, finendo, di fatto, per mostrarsi irrilevanti o, peggio, afoni. Ciò può dipendere sia da una sottovalutazione delle regole procedurali della vita democratica, in particolare di quella del principio di maggioranza, che porterebbe verso un analfabetismo politico,[10] sia dal venir meno del radicamento della vita dei cattolici nel contesto spirituale e culturale di una fede viva.[11] L’indebolimento della fede e di una spiritualità cristiana incarnata favorisce lo scollamento tra la dimensione religiosa della vita del credente e il suo impegno politico. A lungo andare, ciò ha prodotto il secolarismo dei movimenti sociali di ispirazione cristiana rispetto ai valori evangelici e all’esperienza di una fede vissuta profondamente, generando il disfacimento di una formazione e di una mentalità cristiane, ma anche la frammentazione della identità dei cattolici. Si è così diffuso il convincimento che la propria fede non includa una vera e propria vocazione al sociale e alla politica. Da ciò la tentazione di vivere una netta separazione tra fede e impegno sociale, tra fede e politica, tra ragione e politica. Nulla di nuovo e di rivoluzionario può derivare, per conseguenza, dalla propria fede per la società e per il mondo. Ciò premesso al credente è consentito qualsiasi apparentamento con questo o quel partito. In sostanza, non c’è granché che possa differenziare moralmente la propria condotta politica da quella degli altri.

Rispetto a tutto ciò sembra che la prossima 50.a Settimana sociale dei cattolici in Italia, porti con sé gli elementi o, almeno, le speranze per il superamento della diaspora e dell’attuale analfabetismo politico che caratterizza una non piccola parte del mondo cattolico. A Trieste si punta a rivitalizzare la democrazia non solo ascoltandosi, dialogando, praticando un discernimento della realtà alla luce della Parola di Dio, bensì condividendo prospettive pratiche, con una rinnovata immaginazione politica. Dopo aver letto il Documento preparatorio della Settimana sociale dei cattolici si ricava l’impressione che non bisognerà enfatizzare la pur importante partecipazione sociale da cui si vorrebbe prendere le mosse. Sarà necessaria anche un’adeguata riflessione sulla crisi della democrazia,[12] sulla partecipazione politica, sulle rappresentanze partitiche, sulle regole procedurali, sul principio della maggioranza, sulla nascita di nuovi movimenti sociali che sappiano occuparsi non solo del sociale. Devono adoperarsi per ripensare le regole del gioco, vale a dire per ridisegnare l’assetto istituzionale, entro il contesto del bene comune mondiale. La democrazia rinascerà eticamente, culturalmente, se si incentrerà sempre più su un umanesimo trascendente e comunitario, bypassando l’umanesimo transumano;[13] se saprà valorizzare i più poveri. Senza di loro la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, perde rappresentatività. Diventa una democrazia di pochi per pochi. Funzionale a tutto questo sarà il rilancio di una nuova evangelizzazione del sociale, quale grembo evangelico e culturale che alimenta le radici della democrazia sostanziale. Solo una nuova evangelizzazione del sociale ci aiuterà ad elaborare un nuovo pensiero e una nuova cultura politica, a fronte della complessità globale, della terza guerra mondiale a pezzi, delle epidemie, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici.

  1. La situazione di diaspora

È tempo ormai di riflettere seriamente sul vuoto tragico in cui sono precipitati i cattolici. L’attuale situazione di diaspora oltre che essere un errore fatale dal punto di vista ideologico lo è anche dal punto di vista pratico, ossia dell’apporto di uno specifico contributo in vista della realizzazione del bene comune della famiglia umana.

Come ha incisivamente sottolineato il cardinale Matteo Zuppi, in occasione dell’anniversario del Codice di Camaldoli, celebrato nel mese di luglio 2023, uno dei problemi di oggi è «il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, […] con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati».[14] C’è bisogno di nuove generazioni di intellettuali, professionisti, pedagogisti, giuristi, economisti, politici, comunicatori e umanizzatori dell’intelligenza artificiale, che sappiano, come ai tempi di Pio XII fecero i Laureati cattolici, passare all’azione sul piano culturale, traducendo l’insegnamento sociale della Chiesa in un linguaggio politico, accessibile ai più. Una nuova presenza politica può nascere da una nuova cultura e, prima ancora, da una nuova evangelizzazione del sociale.[15] Queste consentiranno di superare la falsa ideologia della diaspora, per formare una «massa critica» a livello politico, capace di una più incisiva e convinta partecipazione, tipica di una democrazia deliberativa.

 

  1. La riforma dei partiti

I partiti sono nati allorché si volle rendere più responsabili della gestione del bene comune i rappresentanti della società civile, dei sindacati dei lavoratori, dei movimenti sociali, delle associazioni religiose e culturali e non solo. Non pochi studiosi dell’attuale crisi della democrazia registrano che nel tempo anche i partiti, considerati un’importante istituzione della partecipazione e della rappresentanza, a motivo del prevalere della figura dei partiti personali, di oligarchie della ricchezza e dell’affermarsi di un pensiero politico populista, sono entrati anch’essi in crisi.

Oggi è chiaro che, se si vuole superare la fine della democrazia dei partiti[16] ed essere presenti ed influenti nell’arena politica, è necessario conoscere e saper utilizzare i nuovi mezzi di coagulo degli interessi, di discussione dei problemi, di verifica delle opinioni, nonché di reperimento di fondi (fund raising), secondo i nuovi scenari legislativi e comunicativi. A questo proposito una riflessione seria andrà fatta anche sulle modalità pubbliche del finanziamento dei partiti, naturalmente senza illudersi che ciò possa eliminare la corruzione. Non si può, dunque, immaginare di riproporre l’organizzazione dei partiti quale si configurava nel secolo scorso. Va, però, senz’altro mantenuto il loro compito originario, di canali di comunicazione e di raccordo tra società civile ed istituzioni pubbliche, in vista di una sintesi degli interessi particolari alla luce del bene comune. E questo, sulla base di una vita interna di stampo democratico e partecipativo, trasparente, sempre aperta all’ascolto dei problemi emergenti, disponibile a farsene carico e a veicolarli nel circuito parlamentare. Attualmente, la costituzione di nuovi partiti sembra avvenire a partire da club, o da lobby, o da fondazioni, o da movimenti, a cui il mondo cattolico non pare interessato a partecipare, se non in ordine alquanto sparso. Si tratta di un insieme di associazioni, organizzazioni, movimenti, istituzioni, che, come mostra l’esperienza, consegna gli stessi partiti a culture e a ideologie sempre più lontane dalla visione cristiana della vita. La conseguenza più rilevante è che le istituzioni cattoliche, o di ispirazione cristiana stentano sempre più a trovare adeguata rappresentanza politica, e sono esposte ai venti e alle aggressioni di culture laiciste, contrarie ai valori evangelici.

La sola via per risalire la china della partecipazione attiva elettorale è quella di riformare i partiti nella direzione democratica, prevista, peraltro, dalla Costituzione. Le leggi elettorali in vigore, che ammettono nei partiti liste bloccate di candidati non danno all’elettore l’effettiva possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Non favoriscono la partecipazione.[17]

Il tema della riforma dei partiti in senso democratico e della partecipazione dei cittadini acquista ancora maggiore rilievo alla luce dell’attuale discussione parlamentare sul cosiddetto premierato, destinato a mutare profondamente l’assetto costituzionale della Repubblica. Come detto sopra, i partiti sono organizzati in modo diverso rispetto alla previsione di cui all’art. 49 della Costituzione (secondo cui “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”).

Con l’introduzione del premierato si realizzerebbe questa situazione paradossale: quella, cioè di un capo del Governo eletto direttamente dal popolo, da quel popolo elettore che da tempo non ha più il diritto di scegliere i propri rappresentanti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica che rispondono direttamente ai leader di quelle, ormai, ristrette comunità, che chiamiamo partiti, ma che rischiano di diventare semplici comitati elettorali.

Come detto sopra, la legge elettorale vigente non attribuisce al cittadino elettore il potere di scegliere il deputato o il senatore perché può manifestare il proprio consenso solo su liste bloccate di candidati. Pertanto, l’elettore può semplicemente confermare la scelta dei segretari di partito: ciò dà vita ad un Parlamento di nominati non ad un Parlamento di eletti. Senza modifiche della legge elettorale, quindi, avremmo un capo del Governo che in qualità di leader della maggioranza si sceglierebbe i parlamentari ai quali, oltretutto, potrebbe prospettare l’alternativa tra la fiducia o lo scioglimento delle Camere, potere oggi riservato al Presidente della Repubblica, e il conseguente ritorno anticipato alle urne. È di tutta evidenza che in questo modo salterebbero definitivamente il rapporto tra Parlamento e Governo che abbiamo conosciuto fino ad ora, come pure le funzioni di indirizzo e di controllo parlamentare con le ulteriori conseguenze sulla separazione dei poteri che non è difficile comprendere. Già oggi la separazione tra potere esecutivo (Governo) e potere legislativo (Parlamento) risulta articolata molto diversamente dall’originaria idea dei Costituenti, se si considera che l’attività legislativa (tramite decreti legge, decreti legislativi, approvazione di atti normativi aventi forza di legge mediante lo strumento della fiducia che elimina il dibattito) fa prevalentemente capo al Governo e non al Parlamento. Per concludere, oltre alla crisi di partecipazione dei cittadini, qui rischia di andare in crisi addirittura la partecipazione dei rappresentanti del popolo ai meccanismi decisionali perché, selezionati dalle oligarchie di partito in base alla fedeltà al leader, non hanno interesse a concorrere con il proprio contributo derivante dal personale patrimonio culturale ed esperienziale alla formazione di decisione rilevanti per l’intera comunità nazionale, posto che il proprio contributo potrebbe non essere in linea con i desiderata della segreteria.

Collateralismo e ispirazione cristiana: i cattolici oggi non devono pensare con timore al vecchio collateralismo alla DC perché questa non esiste più. Se una simile condizione storica consente alle varie associazioni e aggregazioni, come anche a movimenti sociali cattolici o di ispirazione cristiana, una maggior autonomia questo non significa, però, il venir meno del discernimento, per non vivere nuovi collateralismi che fanno perdere, tra l’altro, il riferimento alla propria ispirazione cristiana.

La maggiore autonomia di cui godono i vari soggetti di ispirazione cristiana va investita nell’impegno di essere semmai «vicini», prossimi alle persone concrete, alle famiglie, alle imprese, sulle orme del Verbo incarnato che assume l’umano per elevarlo al livello dell’uomo perfetto.

  1. Conclusione: difficoltà per i cattolici nel dare un apporto di umanizzazione della politica relativamente alla partecipazione nei vari livelli

I cattolici sono chiamati a dare il loro apporto peculiare in vista della rigenerazione della democrazia odierna, sia a livello nazionale sia a livello europeo, mondiale. L’apporto dei cattolici, però, appare oggi condizionato negativamente da più fattori che ne limitano l’efficacia. Tra le cause che lo indeboliscono vanno senz’altro annoverate, come in parte già accennato: una crescente separazione tra fede – fonte di un nuovo pensiero, di una nuova cultura e di un umanesimo trascendente – e vita, che provoca una pericolosa frammentazione identitaria, tale da non consentire di partecipare al dialogo pubblico alla pari con altri soggetti che, al contrario, non hanno timore di promuovere la propria identità;[18] la conseguente perdita dell’ispirazione cristiana, la quale non offre al cattolico che interviene nella discussione pubblica una  ragione irrazionale, ma sovrarazionale, ossia capace di confrontarsi con altri sulla base di contenuti razionali o di contenuti che non contraddicono la ragione che funziona correttamente, ma semmai la trascendono e la arricchiscono; l’ancoramento ad una deleteria teoria della diaspora, che non tiene conto o sottovaluta l’importanza delle regole procedurali della democrazia, in particolare quella relativa al principio della maggioranza. Chi non tiene in considerazione la procedura della maggioranza mostra di ignorare un importante processo della democrazia – l’approvazione delle leggi avviene sulla base della maggioranza – che può far scivolare i cattolici verso una forma di analfabetismo politico ma anche di irrilevanza.[19]

I cattolici, credenti o uomini di buona volontà, consentiranno alla democrazia di essere a servizio della fioritura dell’umano quando, come propone papa Francesco, perseguiranno una politica animata da un amore pieno di verità (caritas in veritate), ossia una politica vissuta in termini di libertà e responsabilità, di tenerezza, con una visione ampia, creando istituzioni più sane, ordinamenti giuridici più giusti, strutture più solidali.[20]

                                                        + Mario Toso

 

[1] Cf DOCUMENTO PREPARATORIO DELLA 50ASETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI IN ITALIA. Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo, Trieste (3-7 luglio 2024)

[2] A proposito della crisi della democrazia c’è una letteratura molto vasta. Qui, ci limitiamo a rimandare ai seguenti volumi: S. J. Pharr- R. D. Putnam (a cura di), Disaffected Democracies. What’s Troubling the Trilateral Countries, Princeton University Press, Princeton 2000; G. Zagrebelsky, La democrazia e la felicità, a cura di E. Mauro, Laterza, Roma-Bari 2011; C. Galli, Il disagio della democrazia, Einaudi, Torino 2011; E. Gentile, Il capo e la folla, Laterza, Roma-Bari 2016.   Ma si vedano anche: Strade e Pensieri per Domani, È ancora possibile una buona politica? Stili e obiettivi, Edizioni Paoline, Milano 2023; C. Galli, Democrazia ultimo atto?, Einaudi, Torino 2023; M. Conway, L’età della democrazia. L’Europa occidentale dopo il 1945, Carocci editore, Roma 2023; M. Barberis, Separazione dei poteri e giustizia digitale, Mimesis edizioni, Milano 2023; F. Pastore, Migramorfosi. Apertura o declino, Einaudi editore, Torino 2023; T. Boeri-R. PerottI, PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano 2023; S. Cassese, Le strutture del potere, Intervista di Alessandra Sardoni, Editori Laterza, Bari-Roma 2023; ID., Miseria e nobiltà d’Italia. Dialoghi sullo Stato della Nazione, Solferino, Milano 2024; L. Becchetti, Guarire la democrazia. Per un nuovo paradigma politico ed economico, Minimum fax, Roma 2024; A. Colombo, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2022. Dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa può essere consultato: M. Toso, Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016; ID., Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.

 

[3] Il tema della riforma dei partiti in senso democratico e della partecipazione dei cittadini, descritto da Bruno Bignami (cf. Intervista a Bruno Bignami di Massimo Venturelli in «La voce del popolo» 27 mar 2024), acquista ancora maggiore rilievo alla luce dell’attuale discussione parlamentare sul cosiddetto premierato di cui parleremo in conclusione.

[4] Sul tema dell’astensionismo si legga la Lettera all’Unione Europea in occasione della Giornata dell’Europa 2024 il nella Lettera all’Unione Europea del Card. Matteo Maria Zuppi e di Mons. Mariano Crociata in occasione della Giornata dell’Europa 2024: «Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea».

[5] La dittatura del relativismo di cui ha più volte scritto anche Benedetto XVI è frutto di un ecclettismo e di un appiattimento culturale per cui tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto. Secondo la dittatura del relativismo è giustificabile la separazione della cultura dalla natura umana. Così, le culture non trovano più la loro misura in una natura che le trascende (cf Caritas in veritate, n. 26). La costituzionalizzazione in Francia della «libertà garantita» di abortire e il riconoscimento del diritto all’eutanasia, come anche l’approvazione (avvenuta l’11 aprile 2024) dell’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione da parte del Parlamento europeo, appaiono frutto della dittatura del relativismo oggi imperante. In tal modo, lo Stato di diritto viene piegato, dalle maggioranze culturali prevalenti nei parlamenti, ad essere uno Stato che riconosce e tutela gli arbitri. L’aborto volontario è l’uccisione di un essere umano innocente. Pertanto, non può costituire l’oggetto di un diritto di alcuno, né della donna che lo porta in grembo, né di qualsiasi altra persona o dello Stato. Parimenti non esiste un diritto alla morte. Esiste il diritto alla cura, all’accompagnamento alla morte, ma non il diritto di provocare la morte o di aiutare qualsiasi forma di suicidio. Lo Stato ha il dovere di garantire il diritto alla cura. In caso contrario, lo Stato diviene uno stato violento e totalitario avente talora la pretesa di abolire la stessa obiezione di coscienza (cf Dicastero Per La Dottrina Della Fede, Dignitas infinita, Libreria Editrice vaticana, Città del Vaticano 2024, pp. 81-82). Il relativismo assolutizzato non rafforza lo Stato di diritto, come anche la democrazia, bensì li indebolisce. Li porta alla fine. Affinché lo Stato di diritto e la connessa democrazia abbiano un futuro più certo è necessario che la cultura che li sorregge non subisca deformazioni soggettivistiche. Occorre che la cultura che li anima sia sostanziata da verità oggettive e da principi morali e giuridici stabili. Senza di questi è facile che le leggi approvate dalle maggioranze si tramutino in imposizioni arbitrarie. Occorre un convinto rispetto verso la verità della dignità umana, dei diritti e dei doveri delle persone e delle comunità. In caso contrario, i diritti umani fondamentali possono essere negati dalle maggioranze e dai potenti di turno. L’indifferenza verso il bene rende le comunità spietate. Al relativismo si somma il rischio che una presunta verità venga imposta senza ragioni. Ci vogliono un nuovo pensiero, un nuovo umanesimo trascendente, una nuova cultura, per dotare tutti i cittadini, di qualsiasi razza o Nazione, della capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso dagli altri. Occorre ricominciare tutti dalla comune ricerca della verità, per non essere radicalmente divisi. Muovendo tutti da una comune dignità, che consente a tutti di riconoscere una comune appartenenza all’umanità, diventa possibile il dialogo sociale, non riconducibile ad un monologo, data l’inevitabile diversità delle singole persone.

[6] Cf M. Toso, Riappropriarsi della Democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014.

[7] I regimi democratici sono l’espressione politico-guridica di una convivenza democratica, la quale è caratterizzata da aspetti propri a contenuto economico, culturale, etico, spirituale, psicologico: sufficiente benessere, diffusione della proprietà e responsabilità in campo economico; sufficiente grado di istruzione, partecipazione e iniziativa culturale; coltivazione di determinate qualità psicologico-morali; rispetto delle visioni altrui: settarismo e fanatismo sono attitudini di spirito nettamente contrarie all’animo democratico; collaborazione, intraprendenza, responsabilità, sensibilità sociale, pazienza, perseveranza, gradualità, maturità politica. Su questo può tornare utile la lettura di un testo classico sulla democrazia, ossia P. Pavan, La democrazia e le sue ragioni, Studio introduttivo di Mario Toso, Studium, Roma 2003, pp.172-179.

[8] A questo proposito è da prendere in considerazione la proposta di legge di iniziativa popolare presentata dalla CISL in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. La proposta prevede che la partecipazione si realizzi attraverso accordi contrattuali tra sindacati e imprese su materie che vanno dall’informazione ai dipendenti alla codecisione nell’organizzazione del lavoro, dalla partecipazione agli utili a quella al capitale dell’azienda, fino all’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli d’amministrazione o di Sorveglianza delle imprese. La diffusione di questi modelli partecipativi potrà essere favorita da incentivi fiscali per dipendenti e aziende. Dopo aver definito le varie tipologie di partecipazione (gestionale, economica-finanziaria, organizzativa e consultiva), la proposta esplicita come queste diverse forme possano realizzarsi concretamente fino a prevedere l’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di sorveglianza delle imprese che adottano il sistema dualistico di governance e la partecipazione ai Consigli di amministrazione delle società sulla base delle modalità stabilite nei contratti. Per entrambi i casi, non ci sono obblighi per le imprese private di aderire a questo modello. Inoltre, si prevede che le società a partecipazione pubblica «devono integrare il Cda con almeno un amministratore designato dai lavoratori dipendenti». Invece di stabilire obblighi di legge, la proposta mira, pertanto, a valorizzare gli accordi contrattuali. Si configurano, sul modello delle esperienze nordeuropee, in particolare tedesche, dove l’adozione di modelli partecipativi rappresenta un punto di forza nelle relazioni industriali. La proposta di legge della Cisl non parte da zero, ma da buone pratiche già sperimentate in Italia. Si citano almeno 40 esempi di gruppi grandi e medi – da Luxottica a Piaggio a Leroy Merlin – dove si sono consolidate le più diverse esperienze di partecipazione contrattata tra sindacati e imprenditori. Senza dimenticare, poi, che anche nel sistema cooperativo si vanno sviluppando queste buone pratiche. Ad esempio, nel Consiglio di amministrazione della cooperativa Cofra siedono già 4 rappresentanti dei lavoratori. Si vorrebbe, dunque, estendere e generalizzare quanto in parte già esiste.

 

[9] Per una visione più ampia si rimanda a M. Toso, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.

[10] Su questo si legga M. Toso, Cattolici e politica, con prefazione di Stefani Zamagni, Società Cooperativa Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 61-63.

[11] Cf M. Toso, Basta guerre: è l’ora della pace. Il ruolo dei cattolici: non violenza attiva e creatrice e impegno politico, Cittadella Editrice, Assisi 2023, pp. 81-83.

[12] Per una riflessione sintetica sul rapporto tra comunità civile e società politica, sugli elementi costitutivi della comunità politica, sul rapporto tra persona, multietnicità e multireligiosità; sulla relazione tra comunità politica, Nazione e Stato; sul concetto di autorità, sulla relazione tra autorità e ordinamento giuridico, su autorità partecipata (rappresentanza, referendum, partiti, informazione), plurale o decentrata, sulla democrazia e sulla sua crisi contemporanea, nonché sull’apporto di papa Francesco in vista della sua soluzione, si veda M. Toso, Dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata di Dottrina sociale della Chiesa, LAS, Roma 20233, pp. 345-422.

[13] Cf S. Zamagni, Prefazione, in M. Toso, Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 28-29.

[14] Cf M. Zuppi, Prolusione al Convegno su «Il Codice di Camaldoli», 21/07/ 2023.

[15] Cf M. Toso, Nuova evangelizzazione del sociale. Per una nuova cultura politica e di democrazia, Edizioni Chiesa di Faenza-Modigliana 2024.

[16] Cf P. Mair, Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti, Rubbettino, Catanzaro 2016.

[17] Cf anche M. Toso, La Chiesa e la democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024, pp. 205-209.

 

[18] «L’autentico dialogo sociale – si legge nell’enciclica Fratelli tutti – presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi. A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia ancora più completo. È vero che, quando una persona o un gruppo è coerente con quello che pensa, aderisce saldamente a valori e convinzioni, e sviluppa un pensiero, ciò in un modo o nell’altro andrà a beneficio della società. Ma questo avviene effettivamente solo nella misura in cui tale sviluppo si realizza nel dialogo e nell’apertura agli altri. Infatti, “in un vero spirito di dialogo si alimenta la capacità di comprendere il significato di ciò che l’altro dice e fa, pur non potendo assumerlo come una propria convinzione. Così diventa possibile essere sinceri, non dissimulare ciò in cui crediamo, senza smettere di dialogare, di cercare punti di contatto, e soprattutto di lavorare e impegnarsi insieme”. La discussione pubblica, se veramente dà spazio a tutti e non manipola né nasconde l’informazione, è uno stimolo costante che permette di raggiungere più adeguatamente la verità, o almeno di esprimerla meglio. Impedisce che i vari settori si posizionino comodi e autosufficienti nel loro modo di vedere le cose e nei loro interessi limitati. Pensiamo che “le differenze sono creative, creano tensione e nella risoluzione di una tensione consiste il progresso dell’umanità”» (203).

[19] Su questo si legga M. Toso, Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale, Prefazione di Stefano Zamagni, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 53-57.

[20] Su questo si legga M. Toso, La politica al servizio del bene comune in Chiesa e politica. Modelli teologici e questioni aperte, a cura di Marco Salvioli, ESD, BO 2024, p. 115.