[mag 22] Intervento – Messaggio della conferenza episcopale regionale

La ripresa delle liturgie comunitarie: prudenza e speranza
22-05-2020

A partire da oggi le nostre comunità possono riprendere le celebrazioni liturgiche assembleari, nei limiti del Protocollo firmato il 7 maggio scorso dal Ministero dell’Interno e dalla Conferenza Episcopale Italiana. È un passaggio delicato ed atteso, nel quale facciamo nostri i sentimenti delle donne tornate dal sepolcro la mattina di Pasqua: “timore e gioia grande” (Mt 28,8). “Timore”, perché viviamo ancora nell’incertezza circa l’evoluzione della pandemia, della quale non si esclude un’ulteriore diffusione: di qui la prudenza, continuamente raccomandata dalle autorità civili, dal Papa, dai vescovi. Ma anche “gioia grande”, perché possiamo cominciare ad incontrarci, a recuperare l’integralità dell’esperienza ecclesiale: di qui la speranza, alimentata per noi cristiani non tanto dalle proiezioni e dalle statistiche, quanto dalla parola di Dio e dalla fede.

Sostiamo per un momento sulla prudenza, che si intreccia con le altre virtù cardinali: giustizia, fortezza, temperanza. La tempesta che abbiamo vissuto in questi tre mesi, nella quale alcuni paesi tuttora si trovano, è stata così violenta che ha lasciato e lascerà ferite profonde nel mondo. Centinaia di migliaia di morti legate al coronavirus e milioni di persone ammalate significano una schiera di famiglie in crisi, in lutto, in ansia; e i riflessi economici e sociali della crisi sanitaria sono appena iniziati. Nessuno può sapere dove porterà questa situazione, per quanto alcune avvisaglie siano già chiare. È una condizione che richiede estrema prudenza, prima di tutto per una ragione di giustizia: non possiamo mettere a rischio la vita e la salute dei fratelli, specialmente quelli più fragili ed esposti; il principio di precauzione è una esigenza del principio di responsabilità. Per noi cristiani c’è inoltre una ragione di carità: il rispetto per l’altro, anzi la custodia dell’altro, è una traduzione pratica del comandamento dell’amore. Ed è proprio la celebrazione eucaristica, la condivisione del pane spezzato, a nutrire la solidarietà. Il corpo eucaristico del Signore rafforza l’unità del suo corpo ecclesiale; il culto della Messa raccoglie e alimenta il “culto spirituale” della vita. Non avrebbe senso quindi partecipare alla mensa del Signore, qualora mettesse a rischio la salute dei fratelli. La prudenza si traduce in gradualità nella ripresa, osservanza scrupolosa delle disposizioni, attesa ulteriore nei casi di dubbio.

Ora è tuttavia possibile riunire insieme, nuovamente, il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale, la mensa imbandita e l’assemblea, senza mettere a repentaglio la salute dei fratelli. È un bel segnale che ravviva la speranza. È stato doloroso del resto, in questi mesi, constatare la separazione tra eucaristia e comunità e tra ministri e popolo di Dio. Le celebrazioni trasmesse in video, pur permettendo a tutti i fedeli di rimanere “collegati” e di riconoscersi nelle rispettive comunità parrocchiali e diocesane, o di ascoltare papa Francesco, non potevano ovviamente sostituire l’eucaristia comunitaria. L’esperienza cristiana vive della parola, dei sacramenti, della fraternità missionaria, della preghiera: già a partire dalle prime comunità cristiane (cf. At 2,42-27) sono queste le dimensioni che la plasmano e sulle quali è nato quell’intreccio di relazioni che si chiama “Chiesa”. In queste settimane la parola di Dio è stata seminata in maniera abbondante, e generalmente apprezzata, attraverso sussidi, trasmissioni, incontri “da remoto”; la fraternità si è espressa nelle modalità più svariate, dall’attenzione ai propri familiari alla prossimità verso le persone fragili, povere e frastornate, nelle forme possibili; la missione è stata interpretata da tante persone in modo esemplare: pensiamo  a tanti medici, infermieri e operatori sanitari, ma anche volontari, sacerdoti, insegnanti, lavoratori nelle attività più umili, professionisti e operatori della comunicazione; la preghiera ha trovato nelle case una sua ricollocazione, al punto che ha ripreso vigore l’esperienza della “Chiesa domestica”. La vita sacramentale, invece, è stata necessariamente ridotta. Da oggi riprende anch’essa, restituendo a poco a poco all’esperienza cristiana la sua completezza; ripresa che si accompagna alla riapertura graduale di quasi tutte le attività sociali. Confidiamo che questa “fase due”, di cui non possiamo prevedere né la stabilizzazione né la durata, continui a raccogliere le migliori energie dei fedeli e dei pastori, evitando polemiche inutili e dannose e concentrandoci sulle cose essenziali. Ricordiamo l’auspicio di papa Francesco: questo è «il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è» (papa Francesco, 27 marzo 2020). E la carità è la realtà necessaria, suprema, essenziale e duratura (cf. 1 Cor 13,13), perché Dio stesso è carità (cf. 1 Gv 4,8.16).

Gli arcivescovi e vescovi dell’Emilia Romagna