[mag 16] Intervento – Rigenerare la democrazia

16-05-2024

La presentazione della 50.a edizione della Settimana Sociale dei Cattolici, recante come titolo Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo, avente un momento forte nei laboratori della partecipazione a Trieste (3-7 luglio 2024), offre l’occasione per fare il punto sul percorso compiuto fino ad ora dalla nostra comunità diocesana a partire dalla precedente Settimana Sociale di Taranto che si è svolta dal 21 al 24 ottobre 2021, dedicata al tema Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso. Il primo obiettivo concreto che era stato indicato a Taranto consisteva nella costruzione di comunità energetiche. La scelta di costituire una comunità energetica è prima di tutto una scelta etica, frutto di un cammino di riflessione a partire dall’enciclica Laudato sì e fondato sulla consapevolezza che l’umanità intera è chiamata a prendersi cura della casa comune. Tale scelta consente, altresì, di sperimentare che l’ecologia integrale proposta dalla Chiesa si può tradurre in un impegno concreto per realizzare un nuovo modello di sviluppo umano, economicamente sostenibile, giusto e inclusivo, contribuendo alla decarbonizzazione e a garantire la sicurezza energetica del Paese. Ho avuto più volte occasione di ribadire che in tale processo era auspicabile che fossero coinvolte le parrocchie e le scuole cattoliche e che nell’attuale contingenza di crisi energetica la scelta di costruire comunità energetiche non corrispondesse solo ad una scelta etica, ma anche ad una precisa necessità di carattere economico per affrontare la povertà e l’insicurezza energetica di nostre realtà parrocchiali, educative, scolastiche, aggregative, ma anche di numerose famiglie le cui difficoltà sono state aggravate da alluvioni e da terremoti.

Le tappe che erano state indicate per avviare una Comunità energetica erano state così individuate:

  1. formazione: i soggetti interessati devono essere disposti a vivere un percorso di formazione orientato alla costituzione di una CE;
  2. consumo condiviso: creare un’impresa cooperativa o un’associazione per il consumo congiunto di energia elettrica, godendo dei benefici tariffari e fiscali di legge;
  3. fattibilità e progettazione: con il supporto di tecnici specializzati, effettuare uno studio di fattibilità e un progetto tecnico finanziario;
  4. creare una CE per autoproduzione e autoconsumo di energia da fonti rinnovabili;
  5. finanziamento e realizzazione tramite il credito bancario o altre forme;
  6. realizzare convegni, attività formative ed informative, studi, campagne di sensibilizzazione e promozione sull’utilizzo e lo sviluppo delle energie rinnovabili.

Per noi, recepire la Settimana Sociale di Taranto ha significato cominciare a coinvolgere i giovani della Pastorale sociale nell’organizzazione e nella partecipazione alla scuola di formazione all’impegno sociale e politico, nella formazione dei giovani e nel dialogo con il Vescovo, nel coinvolgimento degli adulti impegnati nel sociale, nelle scuole paritarie, nel mondo dell’impresa, nella politica. Con queste modalità di incontro e di confronto giovani e adulti hanno iniziato a riflettere alla luce del Magistero della Chiesa e del Documento preparatorio della 50.a edizione nel cammino verso Trieste. Inoltre, grazie al lavoro di numerosi volontari è stato possibile raccogliere dati, organizzare momenti di confronto e di informazione nei Vicariati e nei Comuni della Diocesi per sensibilizzare all’utilizzo e allo sviluppo delle energie rinnovabili e per far crescere una vera coscienza ecologica integrale. Il lavoro, poi, di una Commissione che ho appositamente costituito ha consentito di affrontare e superare le problematiche economico-finanziarie, giuridico-fiscali, tecnico-progettuali, socio-ambientali che si sono presentate e che si presenteranno, anche a fronte di una legislazione non sempre chiara e completa. Solo con la collaborazione di tanti, che ringrazio sentitamente, è stato possibile costruire il percorso che ci sta conducendo al primo risultato concreto della Settimana Sociale di Taranto: parlo, ovviamente, della Comunità Energetica.

Non possiamo permetterci di perdere lo slancio e l’entusiasmo, in particolare, dei giovani che sono stati coinvolti in questo cammino. Un’opportunità che va pensata e costruita è quella di organizzare nelle nostre comunità parrocchiali, insieme a questo gruppo di giovani, incontri per presentare il Documento preparatorio della Settimana Sociale di Trieste. In questo modo la Settimana Sociale potrà avere un seguito anche dopo l’appuntamento del prossimo mese di luglio. I passi più concreti saranno la riflessione sulla partecipazione alla democrazia e l’impegno personale e comunitario a favore della transizione energetica che consiste nell’informarsi e nell’aderire alla Comunità Energetica Ecologia integrale che abbia come primo obiettivo un esercizio di solidarietà verso chi ha bisogno.

Avviandomi così alla conclusione della prima parte del mio intervento, desidero sottolineare che il cammino compiuto per giungere alla costituzione della cooperativa Comunità Energetica Ecologia Integrale, con il notaio Paolo Castellari alla fine di questo mese di maggio, si è sviluppato passando attraverso le tappe che poco sopra ho indicato. Credo sia significativo che si giunga alla costituzione della Comunità Energetica a poche settimane dall’inizio della nuova Settimana Sociale dedicata al tema Al cuore della democrazia. Anche con la costituzione della Comunità Energetica poniamo in essere una forma di partecipazione: concorriamo, infatti, a costruire, sia come singoli che come comunità, un modello di sviluppo umano sostenibile in coerenza con la visione dell’ecologia integrale proposta dalla Chiesa. Ma vedremo che questa forma di partecipazione non basta addentrandoci nel tema della Settimana Sociale di Trieste Al cuore della democrazia.

  1. Cattolici e democrazia: importanti questioni aperte

I cattolici sono chiamati a dare il loro apporto peculiare in vista della sua rigenerazione rispetto alla democrazia odierna, sia a livello nazionale sia a livello europeo. L’apporto dei cattolici, però, appare condizionato negativamente da più fattori che ne limitano l’efficacia. Tra le cause che lo indeboliscono vanno senz’altro annoverate: una crescente separazione tra fede – fonte di un nuovo pensiero, di una nuova cultura e di un umanesimo trascendente – e vita, che provoca una pericolosa frammentazione identitaria, tale da non consentire di partecipare al dialogo pubblico alla pari con altri soggetti che, al contrario, non hanno timore di promuovere la propria identità;[1] la conseguente perdita dell’ispirazione cristiana, la quale non offre al cattolico che interviene nella discussione pubblica una  ragione irrazionale, ma sovrarazionale, ossia capace di confrontarsi con altri sulla base di contenuti razionali o di contenuti che non contraddicono la ragione che funziona correttamente, ma semmai la arricchiscono; l’ancoramento ad una deleteria teoria della diaspora, che non tiene conto o sottovaluta l’importanza delle regole procedurali della democrazia, in particolare quella relativa al principio della maggioranza. Chi non tiene in considerazione la procedura della maggioranza mostra di ignorare un importante processo della democrazia – l’approvazione delle leggi avviene sulla base della maggioranza – che può far scivolare i cattolici verso una forma di analfabetismo politico ma anche di irrilevanza.[2]

Sulle cause che portano ad indebolire l’apporto dei cattolici nella necessaria rigenerazione della democrazia si ritornerà nel corso delle seguenti riflessioni.

 

  1. Documento preparatorio della 50.a Settimana sociale dei cattolici in Italia[3]

Di fronte al compito di rigenerare la democrazia odierna potrebbe assalirci sin dall’inizio lo scoramento. Perché? Perché la democrazia è fortemente in crisi.[4] Colin Crouch l’ha definita post-democrazia, ovvero democrazia senza cittadini.

Si tratta di una crisi profonda che non riguarda solo il piano delle istituzioni: i partiti, ad es., in Italia si presentano con liste bloccate.[5] La crisi della democrazia si manifesta anche dal punto di vista del coinvolgimento popolare nei processi decisionali. Si pensi all’astensionismo, alla disaffezione nei confronti della politica[6].

La crisi maggiormente preoccupante, però, è la crisi etico-culturale che sta alla base della democrazia: inquietano la frammentazione sociale e l’individualismo crescente, che lasciano poco spazio per pensarne il futuro. Sotto i colpi di un individualismo arbitrario e di una sempre più diffusa dittatura del relativismo[7] si pone in gravi difficoltà lo Stato di diritto, lo Stato di diritto sociale, basi della democrazia sostanziale contemporanea. Con cittadini prevalentemente volti a realizzare una libertà individualistica, libertaria, utilitaria, consumistica, diventa sempre meno possibile una democrazia sostanziale, partecipativa, solidale, deliberativa, inclusiva. La democrazia come è stata delineata nella Costituzione italiana, ma non solo, presuppone un personalismo comunitario, incentrato attorno ad un asse costituito dalle persone libere e responsabili, intrinsecamente sociali, aperte al Trascendente.

Oggi, dunque, occorre riappropriarsi della democrazia[8] risemantizzandola, rafforzandola sulle basi di un umanesimo trascendente. E la partecipazione è da coltivare come primo indicatore della salute della democrazia.

Fa ben sperare un tessuto sociale popolato da tante energie positive e da esperienze innovative, seppure circondate da una cultura ad impronta individualista e libertaria. C’è, in definitiva, una partecipazione attiva alla vita civile. Essa costituisce una base su cui far leva per ripartire con una nuova democrazia.  Possiamo riconoscere germogli di un futuro promettente. Essi sono: la perdurante vitalità dell’associazionismo, del terzo settore, lo sviluppo di una nuova economia civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale; l’attività di amministratori capaci di ascoltare e interpretare in modo responsabile e lungimirante i bisogni emergenti di città e territori, la costruzione di percorsi dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune; la spinta propulsiva dei giovani per la cura dell’ambiente; l’impegno di Chiese locali nella costruzione di comunità energetiche.

Vi sono sfide che vanno affrontate con senso critico e nel quadro di una cultura integrale, poggiante sulla base di un umanesimo trascendente. Tra queste sfide vanno segnalate:  la diminuzione delle diseguaglianze, la custodia dell’ambiente, la promozione del lavoro per tutti in un momento in cui irrompe l’intelligenza artificiale, l’urgenza della pace mondiale, la riforma radicale delle istituzioni internazionali, la trasformazione culturale nella direzione di un umanesimo trascendente, la tutela dello Stato di diritto (si pensi alla qualificazione giuridica quali diritti soggettivi dell’aborto, dell’eutanasia, della manipolazione genetica e della procreazione con le più moderne tecniche mediche) e della democrazia, l’integrazione socio-culturale dei migranti, le quali urgono un discernimento sapienziale, la compattazione di una nuova sintesi culturale come anche la creazione di percorsi comuni orientati alla partecipazione della vita civile.

La forza della partecipazione civile rivela giovinezza e vitalità incipienti. Detto altrimenti, non basta la partecipazione civile per dare attuazione al bene comune di un «noi comunitario» chiamato popolo. Occorre una partecipazione politica, supportata da adeguata cultura e vita spirituale, da un’azione plurale, comunitaria, generativa. Prima ancora di essere una forma di governo, di buone pratiche, di principi strutturali (Costituzione, rappresentanza, divisione dei poteri, ordinamenti giuridici, di regole procedurali come il metodo della maggioranza) la democrazia è espressione della vita morale e spirituale del popolo. Ha origine nelle persone, nella loro indigenza, nella loro ricchezza d’essere, intesa come capacità di pensiero e di parola, di creatività e di immaginazione. Ha a che fare con il sentirsi parte di un tutto che ci completa – in termini di solidarietà e di sussidiarietà – e che supporta il nostro compimento umano in Dio.

La suddetta partecipazione politica deve poter disporre di strumenti che la possano esprimere e far valere, in maniera che possa incidere nei processi decisionali, democratici e partecipativi, cruciali per la difesa e la promozione del bene comune in sintonia con la dignità delle persone.

La democrazia cresce con l’uso della partecipazione. Impoverisce se diventa un insieme di processi formali, burocratici, procedure senza anima. In essa non ci può essere una sistematica frustrazione del sogno e della profezia. Questo perché la democrazia non può ridursi ad un insieme di processi incapaci di ascoltare tante realtà associative. La democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività. Lascia fuori il popolo, i poveri, nella costruzione del bene comune, nella lotta quotidiana per la dignità, nell’approvazione delle leggi.

In una prospettiva di una democrazia sostanziale, partecipativa, deliberativa, inclusiva, nel Documento preparatorio della Settimana sociale ci si chiede opportunamente: «quale coinvolgimento, oltre alla gente comune, è dato agli immigrati? Questi sono, oltre che accolti, promossi ed integrati?».

Nonostante tante frustrazioni, delusioni rispetto ad una democrazia con luci ma con non poche ombre, nella società italiana si legge il desiderio di una ripartenza, verso una nuova cittadinanza fondata sul contributo di tutti. Rispetto a ciò sollecita la stessa enciclica di papa Francesco Fratelli tutti. Il documento preparatorio della prossima Settimana sociale definisce una tale enciclica un abecedario, ove i cristiani possono trovare le prime lettere dell’alfabeto politico, in un contesto socioculturale in cui siamo tutti un po’ «analfabeti funzionali» (cf p. 24).

Ma se si ha a cuore la partecipazione come dinamica della rivitalizzazione della democrazia bisognerà generare reali occasioni in cui prendere la parola, proporre, ascoltarsi, condividere, immaginare con riferimento alle grandi questioni: l’economia e la democrazia economica,[9] la finanza, il potere, l’educazione, la dimensione pratica della carità, la responsabilità della cura dei luoghi e dell’ambiente, l’immaginazione politica.

Al termine dell’elenco nel Documento preparatorio si pone una finestra, a p. 28, con alcune domande. Tra queste la prima mi pare di particolare rilevanza in vista della partecipazione nella democrazia e per la nostra riflessione. È bene evidenziarla, per non perdersi in un discorso vago. Ecco la prima domanda: «Ci siamo ritirati nel sociale, nell’impegno civile e di volontariato abbandonando la presenza in politica. Come recuperare questo spazio di presenza e di impegno?».

Si tratta di una domanda per nulla banale che, però, espressa com’è, lascia in ombra il problema della partecipazione politica attraverso i partiti. La partecipazione attraverso i partiti sembra essere divenuta, in ambito cattolico, quasi un tema tabù, per la sua delicatezza, per le questioni che implica. E, tuttavia, è un tema che non può essere evaso, allorché, come appare nel Documento preparatorio, ci si ripropone di andare al cuore della democrazia mediante la partecipazione. Questa si articola in diversi modi e su più piani: sociale, economico, politico, culturale, mass-mediatico, informatico, non escluso il piano del potere, inteso come poter-essere, poter-fare e poter-cambiare (cf p. 26).

Può essere di aiuto, per farsi una visione più completa della questione della partecipazione, qualche accenno alla stessa Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa mediante un breve excursus.[10]

 

  1. La democrazia secondo il magistero sociale della Chiesa

Tralasciando l’importante Radiomessaggio natalizio del 1944 di Pio XII – ove il pontefice parla della democrazia quasi come di un postulato naturale imposto dalla ragione –[11] ci fermiamo principalmente sulla Pacem in terris di san Giovanni XXIII. Si è concluso da qualche mese l’anno del sessantesimo di pubblicazione.

Dalla Pacem in terris – l’enciclica sociale che si è maggiormente dedicata a riflettere sulla comunità politica – emerge chiaramente la proposta della democrazia come quella istituzione o forma statale che è più rispondente alla dignità delle persone. Si tratta della proposta di una democrazia rappresentativa, partecipativa, (deliberativa). Più precisamente, si tratta della proposta di una democrazia sostanziale ed inclusiva,[12] dei concetti di diritto, società, Stato, autorità, bene comune risemantizzati mediante l’ermeneutica di un personalismo comunitario, relazionale, aperto alla Trascendenza. Detto altrimenti, ancora oggi la PT ci consegna, in un contesto di guerra e di deriva della democrazia in forme populiste, oligarchiche, nonché del deterioramento dei suoi strumenti partecipativi quali sono ad esempio gli attuali partiti, una rielaborazione personalista e relazionale delle principali categorie politiche. Ciò che è importante sottolineare è che attraverso una tale ermeneutica, frutto di un pensiero pensante, non strumentale, la PT indica un metodo di discernimento, utile a rivisitare la democrazia nei vari contesti storici, compreso quello attuale in cui la 50.ma Settimana dei cattolici in Italia intende giungere dentro il suo cuore,[13] per progettarla sempre più commisurata al fondamento, soggetto e fine che sono le persone e i gruppi, i popoli reali e concreti.

Secondo la PT, la libertà è connessa con la verità, la giustizia e l’amore. L’assenza di uno di questi quattro beni-valori, beni spirituali, pregiudica l’ordine essenzialmente morale sia della convivenza sociale sia della democrazia.

Il livello più profondo della democrazia è dato dalla vita morale e spirituale del popolo, inteso non in senso ideologico, bensì come comunione di persone, intrinsecamente sociali, membra di un corpo sociale organizzato a Stato, protese nell’ottenimento del bene comune mediante collaborazione. Altro livello della democrazia è dato concretamente dal riconoscimento dei diritti e dei doveri dell’uomo, che non sono concessione dello Stato. Sono inalienabili e inviolabili. Essi sono espressione del diritto sussistente che è la persona.

Vita morale e spirituale del popolo, riconoscimento dei diritti e dei doveri, costituiscono l’elemento sostanziale della democrazia. Mentre l’elemento formale o strutturale della democrazia è dato da più «principi», che configurano lo Stato nella sua intelaiatura e nel suo funzionamento. Essi sono: la costituzionalità,[14] la rappresentatività,[15] la divisione dei poteri.[16] Assieme a questi tre principi va annoverato il metodo della maggioranza che caratterizza la democrazia nel suo funzionamento.[17] Questi elementi, compreso il metodo democratico della maggioranza, vanno modellati in rispondenza all’elemento sostanziale, in modo da poterne essere ricettacolo idoneo e non refrattario. Nello Stato democratico i suddetti principi (costituzionalità, rappresentatività, divisione dei poteri) formano un tutt’uno: non sono estranei tra di loro o soltanto giustapposti. Si relazionano appartenendosi, mentre sono reciprocamente sussidiari. Co-principi di una stessa realtà, uno richiama l’altro e porta in sé le ragioni di tale rimando. Come l’anima dà vita al corpo e questo, a sua volta, la individualizza specificandola spazialmente e temporalmente, così nello Stato democratico esiste un rapporto intrinseco tra forma o corporeità politica e sostanza umana o popolo, soggetto vivente della democrazia. In forza di un nesso vitale, il corpo della democrazia può considerarsi prolungamento estrinseco e connaturale della sostanza umana o anima che, a sua volta, gli conferisce l’esistenza plasmandolo umanisticamente.

Il richiamo di queste elementari e basiche riflessioni, che la rilettura della PT ci consente, è da considerare un tesoro prezioso per la valorizzazione dell’anima etica della democrazia, per la sua risemantizzazione antropologica, per il recupero e la ricentralizzazione nella vita politica dell’umano concreto universale: ossia della dignità della persona, intesa come capacità di vero e di bene, capacità di Dio, garanzia della continuità tra etica personale ed etica pubblica, base del dialogo pubblico. L’essenza morale del popolo e della democrazia non può essere costruita solo sulla base di elementi razziali, etnici, classisti, bensì sull’humanitas che accomuna i cittadini, compresi profughi ed immigrati. Il fondamento ultimo della democrazia è la persona concreta e reale, con i suoi doveri e diritti.[18]

 

 

  1. Fede, democrazia e pace: il dovere per i cattolici di partecipare attivamente alla vita pubblica

Posto che oggi si trascura l’unità tra fede e azione,[19] in vista della costruzione della pace sono ancora attuali, anzi attualissime, le parole dell’ultima sezione della PT, che ricordano ai credenti il dovere di partecipare attivamente alla vita pubblica nella luce della Fede e con la forza dell’Amore, con competenza e capacità,[20] ricomponendo l’unità interiore tra credenza religiosa e azione temporale, previa una solida formazione cristiana.[21] Giovanni XXIII auspica la collaborazione con i non cattolici e i non credenti. In tale collaborazione, suggerisce il pontefice, siano coerenti con sé stessi, per non venire mai a compromessi riguardo alla religione e alla morale. Ma nello stesso tempo siano e si mostrino animati da spirito di comprensione, disinteressati e disposti ad operare lealmente nell’attuazione di oggetti che siano di loro natura buoni o riducibili al bene.[22] Inoltre, sappiano distinguere tra false dottrine e movimenti sociopolitici. Sappiano essere testimoni di verità, di giustizia e di amore fraterno.[23]

Frontiere dell’azione dei cattolici, in collaborazione con gli uomini e le donne di buona volontà, sono, tra le altre: la promozione dei lavoratori, l’ingresso della donna nella vita pubblica, lotta contro le diseguaglianze e le discriminazioni razziali, la trasformazione sociopolitica dell’umanità in popoli uguali per dignità, indipendenti, non colonizzati;[24] la istituzione di poteri pubblici sia europei sia mondiali, secondo il principio di sussidiarietà, a fronte della necessaria attuazione del bene comune universale;[25] un’azione di adeguazione proficua dell’O.N.U., in vista di una migliore organizzazione giuridico-politica  della comunità politica mondiale.[26]

Ancora oggi si continua a vivere – in forma, forse, più accentuata – la separazione tra fede e vita, sottolineata dalla PT nei termini di una frammentazione identitaria. Non si tratta propriamente della frammentazione politica, causata dalla cosiddetta ideologia della diaspora. Si tratta, invece, del fatto che la propria fede religiosa non sembra più conformare, ossia non riesce ad unificare i vari comportamenti dei credenti. Sicché essi tendono a vivere una netta separazione tra fede e impegno sociale, tra fede e politica, tra ragione e politica. Per esemplificare, possono amare papa Francesco e volere che i porti siano chiusi ad un’umanità sofferente. In altri termini, non pochi cattolici riterrebbero di stare in politica non ultimamente per ragioni di fede – perché ciò, secondo loro, sarebbe deleterio per il dialogo pubblico – ma solo per ragioni umane. E così, il cuore dei credenti in politica graviterebbe inevitabilmente e solo verso i partiti e non certo verso la comunione con Cristo e il suo Vangelo. Il che indurrebbe o giustificherebbe scelte e comportamenti non coerenti con i valori in cui si crede e con la coscienza rettamente formata, bensì solo conformi agli ordini di scuderia dei partiti. Poco importa se le leggi da votare sono ad impronta laicista, imperniate attorno a visioni antropologiche fortemente riduttive o addirittura irrazionali. Basta che siano state messe all’ordine del giorno dal proprio partito.

È indubbio, diciamocelo pure, che questo modo di pensare di non pochi cattolici pone per la Chiesa, che si sta avviando ad un altro anno di cammino sinodale, una questione teologica ed ecclesiologica, una «questione cattolica» direbbe Gianfranco Brunelli, non piccola. Infatti, il suddetto modo di pensare si nutre di questo errato presupposto secondo cui l’essere specifico del cristiano non giustificherebbe un impegno peculiare dei credenti nella politica, un impegno secondo l’ispirazione cristiana.[27] In politica si dovrebbe essere presenti senza ragioni religiose, in definitiva senza il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa. Ma non finisce qui. A ben riflettere, quanto detto implicherebbe altri presupposti, davvero gravi per cattolici che intenderebbero impegnarsi in politica: all’atto pratico, non varrebbe l’incarnazione di Cristo che assume e redime l’umanità, ponendo le premesse di una nuova cultura politica. Il credente che si impegna in politica non avrebbe, per conseguenza, il compito di vivere la politica, come suggerisce, peraltro, papa Francesco nella Fratelli tutti, secondo carità,[28] ossia secondo l’amore trasfigurante e redentivo di Cristo. Parimenti, il credente non avrebbe il compito di vivere la politica scegliendo la fraternità come principio architettonico della democrazia e sarebbe chiamato a servire il bene comune come semplice cittadino.[29] Non esisterebbe una vocazione cristiana al bene comune. In definitiva, ai cattolici non servirebbe la fede per vivere in politica. Pertanto, in politica, il cattolico potrebbe vivere scisso da sé. Se ciò fosse vero si avrebbe un impoverimento motivazionale dell’impegno politico del credente, il quale sarebbe esposto, per conseguenza, a facili infeudamenti in questo o in quel partito. Tra l’altro si andrebbe esattamente a negare l’appartenenza ad una comunità di discepolato missionario ecclesiale in cui si può vivere l’esperienza dell’essere amati da Dio, e con ciò stesso del vivere il suo amore anche in politica.

Per superare la separazione tra fede ed impegno politico occorre riflettere sul fatto che il credente vive in Cristo nell’interezza del suo essere cristiano ed umano. Proprio per questo il credente vive la sua vocazione al sociale e al politico, al bene comune, non disgiungendola dall’essere in Cristo bensì nella comunione con Lui, tenendo presente la differenza o, meglio, la distinzione degli ambiti della fede e della politica. Il rapporto tra fede e politica va letto ed interpretato in termini di unità e di distinzione. Il cristiano vive il suo impegno nella politica in termini laici, non laicisti.

 

  1. Difficoltà nel mondo cattolico nel concepire una partecipazione democratica più che sociale, ossia politica, deliberativa: verso un analfabetismo istituzionale?

L’attuale situazione di diaspora dei cattolici in politica non è un fatto da dimostrare. Dispersi tra soggetti politici di altro orientamento ideologico, i cattolici faticano a portare, un loro specifico contributo ai principali temi dell’agenda politica, finendo, di fatto, per mostrarsi irrilevanti o, peggio, afoni. Ciò può dipendere sia da una sottovalutazione delle regole procedurali della vita democratica, in particolare di quella del principio di maggioranza, che porterebbe verso un analfabetismo politico,[30] sia dal venir meno del radicamento della vita dei cattolici nel contesto spirituale e culturale di una fede viva.[31] L’indebolimento della fede e di una spiritualità cristiana incarnata favorisce lo scollamento tra la dimensione religiosa della vita del credente e il suo impegno politico. A lungo andare, ciò ha prodotto il secolarismo dei movimenti sociali di ispirazione cristiana rispetto ai valori evangelici e all’esperienza di una fede vissuta profondamente, generando il disfacimento di una formazione e di una mentalità cristiane, ma anche la frammentazione della identità dei cattolici. Si è così diffuso il convincimento che la propria fede non includa una vera e propria vocazione al sociale e alla politica. Da ciò la tentazione di vivere una netta separazione tra fede e impegno sociale, tra fede e politica, tra ragione e politica. Nulla di nuovo e di rivoluzionario può derivare, per conseguenza, dalla propria fede per la società e per il mondo. Ciò premesso al credente è consentito qualsiasi apparentamento con questo o quel partito. In sostanza, non c’è granché che possa differenziare moralmente la propria condotta politica da quella degli altri.

Rispetto a tutto ciò sembra che la prossima 50.a Settimana sociale dei cattolici in Italia, porti con sé gli elementi o, almeno, le speranze per il superamento della diaspora e dell’attuale analfabetismo politico che caratterizza una non piccola parte del mondo cattolico. A Trieste si punta a rivitalizzare la democrazia non solo ascoltandosi, dialogando, praticando un discernimento della realtà alla luce della Parola di Dio, bensì condividendo prospettive pratiche, con una rinnovata immaginazione politica. Dopo aver letto il Documento preparatorio della Settimana sociale dei cattolici si ricava l’impressione che non bisognerà enfatizzare la pur importante partecipazione sociale da cui si vorrebbe prendere le mosse. Sarà necessaria anche un’adeguata riflessione sulla crisi della democrazia,[32] sulla partecipazione politica, sulle rappresentanze partitiche, sulle regole procedurali, sul principio della maggioranza, sulla nascita di nuovi movimenti sociali che sappiano occuparsi non solo del sociale. Devono adoperarsi per ripensare le regole del gioco, vale a dire per ridisegnare l’assetto istituzionale, entro il contesto del bene comune mondiale. La democrazia rinascerà eticamente, culturalmente, se si incentrerà sempre più su un umanesimo trascendente e comunitario, bypassando l’umanesimo transumano;[33] se saprà valorizzare i più poveri. Senza di loro la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, perde rappresentatività. Diventa una democrazia di pochi per pochi. Funzionale a tutto questo sarà il rilancio di una nuova evangelizzazione del sociale, quale grembo evangelico e culturale che alimenta le radici della democrazia sostanziale. Solo una nuova evangelizzazione del sociale ci aiuterà ad elaborare un nuovo pensiero e una nuova cultura politica, a fronte della complessità globale, della terza guerra mondiale a pezzi, delle epidemie, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici.

È tempo ormai di riflettere seriamente sul vuoto tragico in cui sono precipitati i cattolici. L’attuale situazione di diaspora oltre che essere un errore fatale dal punto di vista ideologico lo è anche dal punto di vista pratico, ossia dell’apporto di uno specifico contributo in vista della realizzazione del bene comune della famiglia umana.

Come ha incisivamente sottolineato il cardinale Matteo Zuppi, in occasione dell’anniversario del Codice di Camaldoli, celebrato nel mese di luglio 2023, uno dei problemi di oggi è «il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, […] con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati».[34] C’è bisogno di nuove generazioni di intellettuali, professionisti, pedagogisti, giuristi, economisti, politici, comunicatori e umanizzatori dell’intelligenza artificiale, che sappiano, come ai tempi di Pio XII fecero i Laureati cattolici, passare all’azione sul piano culturale, traducendo l’insegnamento sociale della Chiesa in un linguaggio politico, accessibile ai più. Una nuova presenza politica può nascere da una nuova cultura e, prima ancora, da una nuova evangelizzazione del sociale. Queste consentiranno di superare la falsa ideologia della diaspora, per formare una «massa critica» a livello politico, capace di una più incisiva e convinta partecipazione, tipica di una democrazia deliberativa.

 

  1. A mo’ di conclusione: la partecipazione mediante i partiti

I partiti sono nati allorché si volle rendere più responsabili della gestione del bene comune i rappresentanti della società civile, dei sindacati dei lavoratori, dei movimenti sociali, delle associazioni religiose e culturali e non solo. Non pochi studiosi dell’attuale crisi della democrazia registrano che nel tempo anche i partiti, considerati un’importante istituzione della partecipazione e della rappresentanza, a motivo del prevalere della figura dei partiti personali, di oligarchie della ricchezza e dell’affermarsi di un pensiero politico populista, sono entrati anch’essi in crisi.

Oggi è chiaro che, se si vuole superare la fine della democrazia dei partiti[35] ed essere presenti ed influenti nell’arena politica, è necessario conoscere e saper utilizzare i nuovi mezzi di coagulo degli interessi, di discussione dei problemi, di verifica delle opinioni, nonché di reperimento di fondi (fund raising), secondo i nuovi scenari legislativi e comunicativi. A questo proposito una riflessione seria andrà fatta anche sulle modalità pubbliche del finanziamento dei partiti, naturalmente senza illudersi che ciò possa eliminare la corruzione. Non si può, dunque, immaginare di riproporre l’organizzazione dei partiti quale si configurava nel secolo scorso. Va, però, senz’altro mantenuto il loro compito originario, di canali di comunicazione e di raccordo tra società civile ed istituzioni pubbliche, in vista di una sintesi degli interessi particolari alla luce del bene comune. E questo, sulla base di una vita interna di stampo democratico e partecipativo, trasparente, sempre aperta all’ascolto dei problemi emergenti, disponibile a farsene carico e a veicolarli nel circuito parlamentare. Attualmente, la costituzione di nuovi partiti sembra avvenire a partire da club, o da lobby, o da fondazioni, o da movimenti, a cui il mondo cattolico non pare interessato a partecipare, se non in ordine alquanto sparso. Si tratta di un insieme di associazioni, organizzazioni, movimenti, istituzioni, che, come mostra l’esperienza, consegna gli stessi partiti a culture e a ideologie sempre più lontane dalla visione cristiana della vita. La conseguenza più rilevante è che le istituzioni cattoliche, o di ispirazione cristiana stentano sempre più a trovare adeguata rappresentanza politica, e sono esposte ai venti e alle aggressioni di culture laiciste, contrarie ai valori evangelici.

La sola via per risalire la china della partecipazione attiva elettorale è quella di riformare i partiti nella direzione democratica, prevista, peraltro, dalla Costituzione. Le leggi elettorali in vigore, che ammettono nei partiti liste bloccate di candidati non danno all’elettore l’effettiva possibilità di scegliere i propri rappresentanti. Non favoriscono la partecipazione.[36]

Il tema della riforma dei partiti in senso democratico e della partecipazione dei cittadini acquista ancora maggiore rilievo alla luce dell’attuale discussione parlamentare sul cosiddetto premierato, destinato a mutare profondamente l’assetto costituzionale della Repubblica. Come detto sopra, i partiti sono organizzati in modo diverso rispetto alla previsione di cui all’art. 49 della Costituzione (secondo cui “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”).

Inoltre, con l’introduzione del premierato, si realizzerebbe questa situazione paradossale: quella, cioè di un capo del Governo eletto direttamente dal popolo, da quel popolo elettore che da tempo non ha più il diritto di scegliere i propri rappresentanti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica che rispondono direttamente ai leader di quelle, ormai, ristrette comunità, che chiamiamo partiti, ma che rischiano di diventare semplici comitati elettorali.

Come detto sopra, la legge elettorale vigente non attribuisce al cittadino elettore il potere di scegliere il deputato o il senatore perché può manifestare il proprio consenso solo su liste bloccate di candidati. Pertanto, l’elettore può semplicemente confermare la scelta dei segretari di partito: ciò dà vita ad un Parlamento di nominati non ad un Parlamento di eletti. Senza modifiche della legge elettorale, quindi, avremo un capo del Governo che in qualità di leader della maggioranza si sceglierebbe i parlamentari ai quali, oltretutto, potrebbe prospettare l’alternativa tra la fiducia o lo scioglimento delle Camere e il conseguente ritorno anticipato alle urne. È di tutta evidenza che in questo modo salterebbero definitivamente il rapporto tra Parlamento e Governo che abbiamo conosciuto fino ad ora, come pure le funzioni di indirizzo e di controllo parlamentare con le ulteriori conseguenze sulla separazione dei poteri che non è difficile comprendere. Per concludere, oltre alla crisi di partecipazione dei cittadini, qui rischia di andare in crisi addirittura la partecipazione dei rappresentanti del popolo ai meccanismi decisionali perché, selezionati dalle oligarchie di partito in base alla fedeltà al leader, non hanno interesse a concorrere con il proprio contributo derivante dal personale patrimonio culturale ed esperienziale alla formazione di decisione rilevanti per l’intera comunità nazionale, posto che il proprio contributo potrebbe non essere in linea con i desiderata della segreteria.

Collateralismo e ispirazione cristiana: i cattolici oggi non devono pensare al vecchio collateralismo alla DC perché questa non esiste più. Se una simile condizione storica consente alle varie associazioni e aggregazioni, come anche a movimenti sociali cattolici o di ispirazione cristiana, una maggior autonomia questo non significa il venir meno del discernimento per non vivere altri collateralismi che fanno perdere, tra l’altro, il riferimento alla propria ispirazione cristiana.

La maggiore autonomia di cui godono i vari soggetti di ispirazione cristiana va investita nell’impegno di essere semmai «collaterali» alle persone concrete, sulle orme del Verbo incarnato che assume l’umano per elevarlo al livello dell’uomo perfetto quale si realizza nel Signore Gesù.

 

                                            + Mario Toso        

 

[1] «L’autentico dialogo sociale – si legge nell’enciclica Fratelli tutti – presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi. A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia ancora più completo. È vero che, quando una persona o un gruppo è coerente con quello che pensa, aderisce saldamente a valori e convinzioni, e sviluppa un pensiero, ciò in un modo o nell’altro andrà a beneficio della società. Ma questo avviene effettivamente solo nella misura in cui tale sviluppo si realizza nel dialogo e nell’apertura agli altri. Infatti, “in un vero spirito di dialogo si alimenta la capacità di comprendere il significato di ciò che l’altro dice e fa, pur non potendo assumerlo come una propria convinzione. Così diventa possibile essere sinceri, non dissimulare ciò in cui crediamo, senza smettere di dialogare, di cercare punti di contatto, e soprattutto di lavorare e impegnarsi insieme”. La discussione pubblica, se veramente dà spazio a tutti e non manipola né nasconde l’informazione, è uno stimolo costante che permette di raggiungere più adeguatamente la verità, o almeno di esprimerla meglio. Impedisce che i vari settori si posizionino comodi e autosufficienti nel loro modo di vedere le cose e nei loro interessi limitati. Pensiamo che “le differenze sono creative, creano tensione e nella risoluzione di una tensione consiste il progresso dell’umanità”» (203).

[2] Su questo si legga M. Toso, Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale, Prefazione di Stefano Zamagni, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 53-57.

[3] Cf DOCUMENTO PREPARATORIO DELLA 50ASETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI IN ITALIA. Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo, Trieste (3-7 luglio 2024)

[4] A proposito della crisi della democrazia c’è una letteratura molto vasta. Qui, ci limitiamo a rimandare ai seguenti volumi: S. J. Pharr- R. D. Putnam (a cura di), Disaffected Democracies. What’s Troubling the Trilateral Countries, Princeton University Press, Princeton 2000; G. Zagrebelsky, La democrazia e la felicità, a cura di E. Mauro, Laterza, Roma-Bari 2011; C. Galli, Il disagio della democrazia, Einaudi, Torino 2011; E. Gentile, Il capo e la folla, Laterza, Roma-Bari 2016.   Ma si vedano anche: Strade e Pensieri per Domani, È ancora possibile una buona politica? Stili e obiettivi, Edizioni Paoline, Milano 2023; C. Galli, Democrazia ultimo atto?, Einaudi, Torino 2023; M. Conway, L’età della democrazia. L’Europa occidentale dopo il 1945, Carocci editore, Roma 2023; M. Barberis, Separazione dei poteri e giustizia digitale, Mimesis edizioni, Milano 2023; F. Pastore, Migramorfosi. Apertura o declino, Einaudi editore, Torino 2023; T. Boeri-R. PerottI, PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano 2023; S. Cassese, Le strutture del potere, Intervista di Alessandra Sardoni, Editori Laterza, Bari-Roma 2023; ID., Miseria e nobiltà d’Italia. Dialoghi sullo Stato della Nazione, Solferino, Milano 2024; L. Becchetti, Guarire la democrazia. Per un nuovo paradigma politico ed economico, Minimum fax, Roma 2024; A. Colombo, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2022. Dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa può essere consultato: M. Toso, Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016; ID., Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.

[5] Il tema della riforma dei partiti in senso democratico e della partecipazione dei cittadini, descritto da Bruno Bignami (cf. Intervista a Bruno Bignami di Massimo Venturelli in «La voce del popolo» 27 mar 2024), acquista ancora maggiore rilievo alla luce dell’attuale discussione parlamentare sul cosiddetto premierato di cui parleremo in conclusione.

[6] Sul tema dell’astensionismo si legga la Lettera all’Unione Europea in occasione della Giornata dell’Europa 2024 il nella Lettera all’Unione Europea del Card. Matteo Maria Zuppi e di Mons. Mariano Crociata in occasione della Giornata dell’Europa 2024: «Non andare a votare non equivale a restare neutrali, ma assumersi una precisa responsabilità, quella di dare ad altri il potere di agire senza, se non addirittura contro, la nostra libertà. L’assenteismo ha l’effetto di accrescere la sfiducia, la diffidenza degli uni nei confronti degli altri, la perdita della possibilità di dare il proprio contributo alla vita sociale, e quindi la rinuncia ad avere capacità e titolo per rendere migliore lo stare insieme nell’Unione Europea».

[7] La dittatura del relativismo di cui ha più volte scritto anche Benedetto XVI è frutto di un ecclettismo e di un appiattimento culturale per cui tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto. Secondo la dittatura del relativismo è giustificabile la separazione della cultura dalla natura umana. Così, le culture non trovano più la loro misura in una natura che le trascende (cf Caritas in veritate, n. 26). La costituzionalizzazione in Francia della «libertà garantita» di abortire e il riconoscimento del diritto all’eutanasia, come anche l’approvazione (avvenuta l’11 aprile 2024) dell’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione da parte del Parlamento europeo, appaiono frutto della dittatura del relativismo oggi imperante. In tal modo, lo Stato di diritto viene piegato, dalle maggioranze culturali prevalenti nei parlamenti, ad essere uno Stato che riconosce e tutela gli arbitri. L’aborto volontario è l’uccisione di un essere umano innocente. Pertanto, non può costituire l’oggetto di un diritto di alcuno, né della donna che lo porta in grembo, né di qualsiasi altra persona o dello Stato. Parimenti non esiste un diritto alla morte. Esiste il diritto alla cura, all’accompagnamento alla morte, ma non il diritto di provocare la morte o di aiutare qualsiasi forma di suicidio. Lo Stato ha il dovere di garantire il diritto alla cura. In caso contrario, lo Stato diviene uno stato violento e totalitario avente talora la pretesa di abolire la stessa obiezione di coscienza (cf Dicastero Per La Dottrina Della Fede, Dignitas infinita, Libreria Editrice vaticana, Città del Vaticano 2024, pp. 81-82). Il relativismo assolutizzato non rafforza lo Stato di diritto, come anche la democrazia, bensì li indebolisce. Li porta alla fine. Affinché lo Stato di diritto e la connessa democrazia abbiano un futuro più certo è necessario che la cultura che li sorregge non subisca deformazioni soggettivistiche. Occorre che la cultura che li anima sia sostanziata da verità oggettive e da principi morali e giuridici stabili. Senza di questi è facile che le leggi approvate dalle maggioranze si tramutino in imposizioni arbitrarie. Occorre un convinto rispetto verso la verità della dignità umana, dei diritti e dei doveri delle persone e delle comunità. In caso contrario, i diritti umani fondamentali possono essere negati dalle maggioranze e dai potenti di turno. L’indifferenza verso il bene rende le comunità spietate. Al relativismo si somma il rischio che una presunta verità venga imposta senza ragioni. Ci vogliono un nuovo pensiero, un nuovo umanesimo trascendente, una nuova cultura, per dotare tutti i cittadini, di qualsiasi razza o Nazione, della capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso dagli altri. Occorre ricominciare tutti dalla comune ricerca della verità, per non essere radicalmente divisi. Muovendo tutti da una comune dignità, che consente a tutti di riconoscere una comune appartenenza all’umanità, diventa possibile il dialogo sociale, non riconducibile ad un monologo, data l’inevitabile diversità delle singole persone.

[8] Cf M. Toso, Riappropriarsi della Democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014.

[9] A questo proposito è da prendere in considerazione la proposta di legge di iniziativa popolare presentata dalla CISL in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. La proposta prevede che la partecipazione si realizzi attraverso accordi contrattuali tra sindacati e imprese su materie che vanno dall’informazione ai dipendenti alla codecisione nell’organizzazione del lavoro, dalla partecipazione agli utili a quella al capitale dell’azienda, fino all’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli d’amministrazione o di Sorveglianza delle imprese. La diffusione di questi modelli partecipativi potrà essere favorita da incentivi fiscali per dipendenti e aziende. Dopo aver definito le varie tipologie di partecipazione (gestionale, economica-finanziaria, organizzativa e consultiva), la proposta esplicita come queste diverse forme possano realizzarsi concretamente fino a prevedere l’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di sorveglianza delle imprese che adottano il sistema dualistico di governance e la partecipazione ai Consigli di amministrazione delle società sulla base delle modalità stabilite nei contratti. Per entrambi i casi, non ci sono obblighi per le imprese private di aderire a questo modello. Inoltre, si prevede che le società a partecipazione pubblica «devono integrare il Cda con almeno un amministratore designato dai lavoratori dipendenti». Invece di stabilire obblighi di legge, la proposta mira, pertanto, a valorizzare gli accordi contrattuali. Si configurano, sul modello delle esperienze nordeuropee, in particolare tedesche, dove l’adozione di modelli partecipativi rappresenta un punto di forza nelle relazioni industriali. La proposta di legge della Cisl non parte da zero, ma da buone pratiche già sperimentate in Italia. Si citano almeno 40 esempi di gruppi grandi e medi – da Luxottica a Piaggio a Leroy Merlin – dove si sono consolidate le più diverse esperienze di partecipazione contrattata tra sindacati e imprenditori. Senza dimenticare, poi, che anche nel sistema cooperativo si vanno sviluppando queste buone pratiche. Ad esempio, nel consiglio di amministrazione della cooperativa Cofra siedono già 4 rappresentanti dei lavoratori. Si vorrebbe, dunque, estendere e generalizzare quanto in parte già esiste.

 

[10] Per una visione più ampia si rimanda a M. Toso, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.

[11] Cf PIO XII, Radiomessaggio natalizio 1944 (=RN44) in AAS 37 (1945) 10-23.

[12] Su questo tema si legga M. Toso, Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016.

[13] Cf Documento Preparatorio Della 50A Settimana Sociale Dei Cattolici In Italia, Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro (Trieste 3-7 luglio 2024), Design e grafica: spaziouau.it

[14] Cf ib., 31.

[15] Cf ib., 29-30.

[16] Cf ib., 28.

[17] Su quest’ultimo, non esplicitamente censito dalla PT, si rinvia a P. Pavan, La democrazia e le sue ragioni, con uno Studio introduttivo di Mario Toso, Studium, Roma 2003, pp. 104-106.

[18] Per tali ragioni la PT suggerisce che, in teoria, la democrazia potrebbe essere esportabile per i suoi elementi procedurali, ma, tenuto conto della sua anima etica, ciò non sarebbe fattibile. Infatti, l’anima etica e culturale della democrazia, occidentale o no, non è fisicamente esportabile. Potranno essere divulgate e comunicate più facilmente la nozione, le regole procedurali, gli aspetti tecnici, ma le sue radici antropologiche, ontologiche ed etiche, culturali e sociologiche, non si possono trapiantare. In termini di libertà e di responsabilità, esse non sussistono che in loco, ovvero nelle persone, nelle famiglie, nei gruppi, nei popoli, i quali ne sono soggetti originari e originanti (Su questo si veda M. Toso, Democrazia e libertà. Laicità oltre il neoilluminismo postmoderno, LAS, Roma 2006, pp. 108-110).

[19] Su questo si confronti G. Galeazzi-M. Toso, Fede e ragione nel terzo millennio, Tipografia Faentina Editrice, Faenza 2022, pp. 29-31.

[20] A questo proposito si legge nella PT: «Non basta essere illuminati dalla fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo. A tale scopo è necessario inserirsi nelle sue istituzioni e operare validamente dal di dentro delle medesime. Però la nostra civiltà si contraddistingue soprattutto per i suoi contenuti scientifico-tecnici. Per cui non ci si inserisce nelle sue istituzioni e non si opera con efficacia dal di dentro delle medesime se non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente esperti». (51) Nel paragrafo successivo si legge anche: «Amiamo pure richiamare all’attenzione che la competenza scientifica, la capacità tecnica, l’esperienza professionale, se sono necessarie, non sono però sufficienti per ricomporre i rapporti della convivenza in un ordine genuinamente umano; e cioè in un ordine, il cui fondamento è la verità, misura e obiettivo la giustizia, forza propulsiva l’amore, metodo di attuazione la libertà. A tale scopo si richiede certamente che gli esseri umani svolgano le proprie attività a contenuto temporale, obbedendo alle leggi che sono ad esse immanenti, e seguendo metodi rispondenti alla loro natura; ma si richiede pure, nello stesso tempo, che svolgano quelle attività nell’ambito dell’ordine morale; e quindi come esercizio o rivendicazione di un diritto, come adempimento di un dovere e prestazione di un servizio; come risposta positiva al disegno provvidenziale di Dio mirante alla nostra salvezza; si richiede cioè che gli esseri umani, nell’interiorità di se stessi, vivano il loro operare a contenuto temporale come una sintesi di elementi scientifico-tecnico-professionali e di valori spirituali». (52)

[21] Cf PT 50-51.

[22] Cf ib., 56.

[23] Cf ib., 62.

[24] Cf ib., 21-24.

[25] Cf ib., 44-48.

[26] Cf ib., 49.

[27] In un suo intervento sul Corriere.it del 19 settembre 2022, il prof. Andrea Riccardi sembra innanzitutto identificare partito cattolico con partito di ispirazione cristiana. Ma non solo. Giunge a sostenere che i cattolici in politica debbono contraddistinguersi per la loro cultura generata dalla fede e non per la ispirazione cristiana. Ma la cultura generata dalla fede non può essere anche una cultura di ispirazione cristiana? Perché negare perentoriamente che la prospettiva di un partito di ispirazione cristiana sia superata dalla storia?

[28] Cf Francesco, Fratelli tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, capitolo quinto.

[29] Si legga in proposito M. Toso, Fraternità o fratellanza? Introduzione alla lettura dell’Enciclica «Fratelli tutti», Tipografia Editrice Faentina, Faenza 2021.

[30] Su questo si legga M. Toso, Cattolici e politica, con prefazione di Stefani Zamagni, Società Cooperativa Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 61-63.

[31] Cf M. Toso, Basta guerre: è l’ora della pace. Il ruolo dei cattolici: non violenza attiva e creatrice e impegno politico, Cittadella Editrice, Assisi 2023, pp. 81-83.

[32] Per una riflessione sintetica sul rapporto tra comunità civile e società politica, sugli elementi costitutivi della comunità politica, sul rapporto tra persona, multietnicità e multireligiosità; sulla relazione tra comunità politica, Nazione e Stato; sul concetto di autorità, sulla relazione tra autorità e ordinamento giuridico, su autorità partecipata (rappresentanza, referendum, partiti, informazione), plurale o decentrata, sulla democrazia e sulla sua crisi contemporanea, nonché sull’apporto di papa Francesco in vista della sua soluzione, si veda M. Toso, Dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata di Dottrina sociale della Chiesa, LAS, Roma 20233, pp. 345-422.

[33] Cf S. Zamagni, Prefazione, in M. Toso, Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 28-29.

[34] Cf M. Zuppi, Prolusione al Convegno su «Il Codice di Camaldoli», 21/07/ 2023.

[35] Cf P. Mair, Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti, Rubbettino, Catanzaro 2016.

[36] Cf anche M. Toso, La Chiesa e la democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024, pp. 205-209.