- La democrazia non gode di buona salute: chiamati a rigenerare la democrazia
Attraverso il Documento preparatorio[1] i cattolici sono stati chiamati a dare il loro apporto peculiare in vista della rigenerazione della democrazia odierna, sia a livello nazionale sia a livello europeo.[2]
Perché? Perché la democrazia, come ha anche detto papa Francesco a Trieste, non gode di buona salute,[3] è fortemente in crisi.[4] Colin Crouch l’ha definita post-democrazia, ovvero democrazia senza cittadini.
Si tratta di una crisi profonda che non riguarda solo il piano delle istituzioni. I parlamenti spesso appaiono ostaggi dei governi. I loro percorsi legislativi appaiono una corsa ad ostacoli, contro il tempo, senza la possibilità di analisi attente dei testi proposti. Si è, poi, venuta a stabilire una progressiva distanza tra elettori e rappresentanti. Al momento delle votazioni i candidati fanno promesse, ma dopo di esse si comportano ignorando le speranze accese durante le campagne elettorali. Così, i partiti appaiono sempre più lontani dalla società civile, dalle famiglie, dai giovani, dal bene comune e divengono succubi di interessi particolari, di logiche di coalizione a servizio di una parte o di pochi. Anziché essere costanti canali di comunicazione tra base sociale e istituzioni pubbliche appaiono per lo più comitati elettorali al servizio del momento delle elezioni. In Italia, i partiti si presentano con liste bloccate.[5] Vivono pressocché in un vuoto:[6] non c’è nessuno che li rifornisca di sangue fresco. La metafora può sembrare azzardata, però rispecchia lo stato attuale di un’organizzazione che sembra abbia esaurito la sua capacità di reclutamento e mobilitazione, di rinnovamento della società e della cultura politica.[7] Detto altrimenti, è necessario – ecco una prima pista di lavoro – un impegno per la riforma degli attuali partiti, assieme al superamento dell’astensionismo, della disaffezione, come anche del populismo e dell’individualismo libertario, del liberismo economico.
- La democrazia senz’anima etica implode
Ma la crisi della democrazia maggiormente preoccupante è la crisi etico-culturale. A causa di ciò la democrazia finisce per perdere la sua anima. Come già affermava Alexis de Tocqueville, e come ha sottolineato il Presidente Mattarella a Trieste,[8] una democrazia senz’anima è destinata ad implodere. Non tanto per i suoi aspetti formali ma perché vengono meno i suoi contenuti valoriali, giuridici. La democrazia, infatti, non si esaurisce nelle sue forme di funzionamento o nelle regole procedurali, sebbene esse siano imprescindibili.
Una seconda pista di impegno per la democrazia è, dunque, quella di dare un’anima etica alla politica e alla democrazia.[9] Su questo versante di azione per i cattolici, ma anche per gli uomini di buona volontà, diventa cruciale l’importanza dell’insegnamento sociale della Chiesa che, con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI insegna a combattere la dittatura del relativismo.[10] Occorre, in particolare, che l’economia non abbia il primato sulla politica, ma si ponga a servizio della seconda, ossia del bene comune. Occorre che la vita civile e politica non sia guidata da un’etica di terza persona, ossia un’etica che, avendo perso come punto di riferimento il télos umano, riduce la vita morale ad un insieme di norme e di precetti da osservare e nulla più. La democrazia per realizzare la liberazione e l’umanizzazione di tutti i cittadini e, quindi, per essere democrazia inclusiva, ad alta intensità come ha scritto papa Francesco, deve riannodare i legami della libertà con la verità del bene della persona. La rigenerazione della democrazia avviene mediante il recupero dei valori morali, spirituali e culturali, specie quando unisce i diritti ai doveri.
Sotto i colpi di un individualismo arbitrario e di una sempre più diffusa dittatura del relativismo[11] si pone in gravi difficoltà lo Stato di diritto, lo Stato di diritto sociale, basi della democrazia sostanziale contemporanea. Con cittadini prevalentemente volti a realizzare una libertà individualistica, libertaria, utilitaria, consumistica, diventa sempre meno possibile una democrazia sostanziale (ossia accessibile a tutti i cittadini, non solo sul piano del potere politico, ma anche sul piano economico e sociale, come ebbe a spiegare Giuseppe Dossetti nell’Assemblea costituente), una democrazia partecipativa, solidale, deliberativa, inclusiva.
Oggi si stanno, infatti, moltiplicando i tentativi di stravolgimento nei confronti di ciò che può essere definito l’ultimo «resto» del diritto naturale. Basti pensare alle varie proposte di includere l’aborto e l’eutanasia nel catalogo dei diritti umani fondamentali. Ciò è riuscito, ad esempio, alla Francia, nella quale c’è stata l’approvazione del parlamento francese di una risoluzione che eleva l’aborto a diritto fondamentale.[12]
Molte di queste proposte non equivalgono ad un aggiornamento dei diritti umani. Documentano, piuttosto, come i diritti non siano più pensati quali espressioni della dignità dell’uomo in quanto creatura di Dio, aventi un fondamento nella legge morale naturale. Si tratta, spesso, di pretese arbitrarie, prive di un fondamento obiettivo. Nascono da schemi culturali di natura meramente sociologica, sempre soggetti ai mutamenti della sensibilità dominante nei vari momenti storici e senza riscontro nella struttura antropologica ed etica degli esseri umani.
- La cura della democrazia: impegno-partecipazione, ma quale partecipazione? Basta la partecipazione civile? I cattolici devono ritirarsi dal politico e dalla presenza nei partiti?
Oggi, dunque, occorre riappropriarsi della democrazia[13] risemantizzandola, rafforzandola sulle basi di un umanesimo solidale e trascendente. E, come ha ben evidenziato il già citato Documento preparatorio della Settimana sociale dei Cattolici in Italia a Trieste, la partecipazione è da coltivare come primo indicatore della salute della democrazia sostanziale.
Oggi, nonostante i diversi limiti della democrazia, fa ben sperare – si legge sempre nel suddetto Documento – un tessuto sociale popolato da tante energie positive e da esperienze innovative, seppure circondate da una cultura ad impronta individualista e libertaria. C’è, in definitiva, una partecipazione attiva alla vita civile. Essa costituisce una base su cui far leva per ripartire con una nuova democrazia. Possiamo riconoscere germogli di un futuro promettente. Essi sono: la perdurante vitalità dell’associazionismo, del terzo settore, lo sviluppo di una nuova economia civile animata da imprese e cooperative orientate alla responsabilità sociale; l’attività di amministratori capaci di ascoltare e interpretare in modo responsabile e lungimirante i bisogni emergenti di città e territori, la costruzione di percorsi dal basso per una cura condivisa e partecipata del bene comune; la spinta propulsiva dei giovani per la cura dell’ambiente; l’impegno di Chiese locali nella costruzione di comunità energetiche.
Vi sono sfide che vanno affrontate con senso critico e nel quadro di una cultura integrale, poggiante sulla base di un umanesimo trascendente. Tra queste sfide vanno segnalate: la diminuzione delle diseguaglianze, la custodia dell’ambiente, la promozione del lavoro per tutti in un momento in cui irrompe l’intelligenza artificiale, l’urgenza della pace mondiale, la riforma radicale delle istituzioni internazionali, la trasformazione culturale nella direzione di un umanesimo trascendente, la tutela dello Stato di diritto (si pensi alla qualificazione giuridica quali diritti soggettivi dell’aborto, dell’eutanasia, della manipolazione genetica e della procreazione con le più moderne tecniche mediche) e della democrazia, l’integrazione socio-culturale dei migranti, le quali urgono un discernimento sapienziale, la compattazione di una nuova sintesi culturale come anche la creazione di percorsi comuni orientati alla partecipazione della vita civile.
Ma la forza della partecipazione civile, se rivela giovinezza e vitalità incipienti, non basta per dare attuazione al bene comune di un «noi comunitario» chiamato popolo.
Occorre anche una partecipazione politica (!), supportata da adeguata cultura e vita spirituale, da un’azione plurale, comunitaria, generativa. Occorre superare – non negare – il civile. Occorre essere presenti nel politico, là ove si prendono le decisioni e si approvano le leggi.
Naturalmente, prima ancora di essere una forma di governo, di buone pratiche, di principi strutturali (Costituzione, rappresentanza, divisione dei poteri, ordinamenti giuridici, di regole procedurali come il metodo della maggioranza) la democrazia è espressione della vita morale e spirituale del popolo. Ha origine nelle persone, nella loro indigenza, nella loro ricchezza d’essere, intesa come capacità di pensiero e di parola, di creatività e di immaginazione. Ha a che fare con il sentirsi parte di un tutto che ci completa – in termini di solidarietà e di sussidiarietà – e che supporta il nostro compimento umano in Dio.
La suddetta partecipazione politica, ma anche partitica, deve poter disporre di strumenti che la possano esprimere e far valere, in maniera che possa incidere nei processi decisionali, democratici e partecipativi, cruciali per la difesa e la promozione del bene comune in sintonia con la dignità delle persone.
La democrazia cresce con l’uso della partecipazione, che va educata. La partecipazione si impara da ragazzi, va «allenata» al senso critico.[14] Impoverisce se diventa un insieme di processi formali, burocratici, procedure senza anima. In essa non ci può essere una sistematica frustrazione del sogno e della profezia. Questo perché la democrazia non può ridursi ad un insieme di processi incapaci di ascoltare tante realtà associative. La democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività. Lascia fuori il popolo, i poveri, nella costruzione del bene comune, nella lotta quotidiana per la dignità, nell’approvazione delle leggi.
Nonostante tante frustrazioni, delusioni rispetto ad una democrazia con luci ma con non poche ombre, nella società italiana si legge il desiderio di una ripartenza, verso una nuova cittadinanza fondata sul contributo di tutti. L’enciclica Fratelli tutti sollecita a questo. Il Documento preparatorio della Settimana sociale dei cattolici in Italia a Trieste definisce una tale enciclica un abecedario, ove i cristiani possono trovare le prime lettere dell’alfabeto politico, in un contesto socioculturale in cui siamo tutti divenuti un po’ «analfabeti funzionali» (cf p. 24).
- Cattolici e partiti
Se si ha a cuore la partecipazione come dinamica della rivitalizzazione della democrazia bisognerà generare reali occasioni in cui prendere la parola, proporre, ascoltarsi, condividere, immaginare con riferimento alle grandi questioni: l’economia e la democrazia economica,[15] la finanza, il potere, l’educazione, la dimensione pratica della carità, la responsabilità della cura dei luoghi e dell’ambiente, l’immaginazione politica.
A proposito della partecipazione dei cattolici mediante i partiti va notato che a Trieste, a parte alcuni pochi cenni – peraltro, sarebbe stato davvero strano che non se ne fosse parlato, se non altro per la loro crisi e la loro indispensabilità rispetto alla rappresentanza – non si è presa di petto la questione del rapporto dei cattolici con i partiti. In sostanza, si è data per scontata l’attuale diaspora, ignorando che in democrazia vige il principio della maggioranza. Ancora si è sentito ripetere lo slogan già pronunciato a Rimini mesi fa da un gruppo di intellettuali: «a noi, non interessano partiti ma gli spartiti», ossia contenuti, prospettive, proposte di politiche. Un segnale che ha ribadito, almeno per ora, come per il mondo cattolico è, in fin dei conti, meglio privilegiare la partecipazione sociale e il prepolitico. Detto in altri termini, anche a Trieste è rimasto in ombra il fatto che per risolvere le cause dei molteplici mali sociali – sul cui piano non pochi cattolici sono molto impegnati – occorre non solo parlare di politica ma praticarla, farla, entrando nella camera dei bottoni, nei parlamenti, come soleva dire Nenni. Non impegnandosi direttamente in politica, nei parlamenti e nelle istituzioni, elaborando e approvando leggi ad hoc, è difficile rimuovere le cause dei mali sociali, risolvere le grandi questioni relative ai beni collettivi, al bene comune, alle povertà.
Peraltro, come ha ricordato lo stesso papa Francesco a Trieste, l’amore politico non si accontenta di curare gli effetti dei mali sociali, ma cerca di affrontarne le cause.[16]
Detto altrimenti, non si può essere «analfabeti di democrazia» sul piano politico.
- Il futuro della democrazia: superare la diaspora e appassionarsi al bene comune
Perché nel mondo cattolico persiste la difficoltà nel concepire una partecipazione democratica più che sociale, ossia una partecipazione politica. Si sta andando verso un analfabetismo istituzionale?
L’attuale situazione di diaspora dei cattolici in politica non è un fatto da dimostrare. Dispersi tra soggetti politici di altro orientamento ideologico, i cattolici faticano a portare, un loro specifico contributo ai principali temi dell’agenda politica, finendo, di fatto, per mostrarsi irrilevanti o, peggio, afoni.
Quali sono le cause principali?
Ciò può dipendere, come già accennato, sia da una sottovalutazione delle regole procedurali della vita democratica, in particolare di quella del principio di maggioranza, che di fatto porterebbe verso un analfabetismo politico,[17] sia dal venir meno del radicamento della vita dei cattolici nel contesto spirituale e culturale di una fede viva.[18]
L’indebolimento della fede e di una spiritualità cristiana incarnata favorisce lo scollamento tra la dimensione religiosa della vita del credente e il suo impegno politico. A lungo andare, ciò produce il secolarismo dei movimenti sociali di ispirazione cristiana rispetto ai valori evangelici e all’esperienza di una fede vissuta profondamente. Ciò finisce per generare il disfacimento di una formazione e di una mentalità cristiane, ma anche la frammentazione della identità dei cattolici.
Si è così diffuso il convincimento che la propria fede non includa una vera e propria vocazione al sociale e alla politica. Da ciò è derivata la tentazione di vivere una netta separazione tra fede e impegno sociale, tra fede e politica, tra ragione e politica. Il convincimento base è: nulla di nuovo e di rivoluzionario può derivare dalla propria fede per la società e per il mondo.
Ciò premesso, al credente è consentito qualsiasi apparentamento con questo o quel partito, non importa l’impostazione ideologica. In sostanza, non c’è granché che possa differenziare moralmente la propria condotta politica dei credenti da quella degli altri.
Rispetto a tutto ciò, la 50.a Settimana sociale dei cattolici in Italia, recante come titolo Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo, che ha avuto un momento forte nei laboratori della partecipazione a Trieste (3-7 luglio 2024), sembra abbia individuato gli elementi e, soprattutto, le speranze per il superamento della diaspora e dell’attuale analfabetismo politico che caratterizza una non piccola parte del mondo cattolico. A Trieste si è puntato a rivitalizzare la democrazia non solo ascoltandosi, dialogando, praticando un discernimento della realtà alla luce della Parola di Dio, bensì condividendo prospettive pratiche, con una rinnovata speranza politica che deve trovare forme adeguate. Attende ancora nelle nostre associazioni, specie a livello locale, un’adeguata riflessione sulla crisi della democrazia,[19] sulla partecipazione politica, sulle rappresentanze partitiche, sulle regole procedurali, sul principio della maggioranza, sulla nascita di nuovi movimenti sociali che sappiano occuparsi non solo del sociale. Bisognerà battersi affinché non vi siano analfabeti di democrazia. Occorrerà adoperarsi per ripensare le regole del gioco, vale a dire per ridisegnare l’assetto istituzionale, entro il contesto del bene comune mondiale. La democrazia rinascerà eticamente, culturalmente, se si incentrerà sempre più su un umanesimo trascendente e comunitario, bypassando l’umanesimo transumano;[20] se saprà valorizzare i più poveri. Senza di loro la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, perde rappresentatività. Diventa una democrazia di pochi per pochi.
- Una nuova evangelizzazione del sociale e la rialfabetizzazione politica rispetto alla democrazia
Funzionale a tutto questo sarà il rilancio di una nuova evangelizzazione del sociale, quale grembo evangelico e culturale che alimenta le radici della democrazia sostanziale. Solo una nuova evangelizzazione del sociale ci aiuterà ad elaborare un nuovo pensiero e una nuova cultura politica, a fronte della complessità globale, della terza guerra mondiale a pezzi, delle epidemie, delle migrazioni, dei cambiamenti climatici, della cultura dello scarto.[21]
È tempo ormai di riflettere seriamente sul vuoto tragico in cui sono precipitati i cattolici. L’attuale situazione di diaspora oltre che essere un errore fatale dal punto di vista ideologico lo è anche dal punto di vista pratico, ossia dell’apporto di uno specifico contributo in vista, di una democrazia ad alta intensità, della realizzazione del bene comune della famiglia umana.[22]
Come cattolici, ha sottolineato papa Francesco a Trieste, non possiamo accontentarci di una fede marginale o privata.
Occorre vivere, come propone la Fratelli tutti, l’amore politico, che è una forma di carità che permette alla politica di essere realista, di essere all’altezza delle sue responsabilità, sulla base di un’intensa passione civile.
Una nuova evangelizzazione del sociale consentirà di aggiornare l’insegnamento sociale della Chiesa, la cui ricchezza, come ha sottolineato papa Francesco a Trieste, dev’essere condivisa, moltiplicando gli sforzi per una formazione all’impegno sociale e politico che parta dai giovani – per popolarizzare il discernimento sociale, per organizzare l’alfabetizzazione (principi, criteri di giudizio, orientamenti pratici, autorità, popolo, bene comune a partire dall’identità) nonché la speranza,[23] elaborando sia una nuova cultura politica, una cultura cattolica (!), sia una progettualità che evidenzia l’apporto del cristianesimo allo sviluppo sociale italiano ed europeo non tanto per occupare spazi ma per avviare decisamente processi di trasformazione e di inclusione dei più fragili. In definitiva, si tratta di diventare artigiani della democrazia, la quale va considerata, poste certe condizioni, un bene da universalizzare.
- A quale politica formare nelle associazioni, aggregazioni e nei movimenti?
La grandezza della politica si mostra quando opera sulla base del bene comune a lungo termine,[24] attento alle generazioni presenti, ma soprattutto a quelle future. È grande la politica che non pensa solo ai risultati elettorali immediati. Di una grande politica ha bisogno la società mondiale che per le sue riforme strutturali non necessita di rattoppi, ma di soluzioni lungimiranti.
La grande politica, la vera politica, ha bisogno dell’amore politico.
Esso ci fa amare il bene comune e ci fa cercare effettivamente il bene di tutte le persone.
Non è un sentimento sterile. È molto di più di un sentimento soggettivo, perché si accompagna all’impegno per la verità.[25] Proprio per il suo rapporto con la verità favorisce un dinamismo universale ed è base di una civiltà dell’amore. Senza la verità, l’emotività si vuota di contenuti sociali oggettivi. La Carità per essere maggiormente sé stessa ha bisogno di verità, quella della ragione e quella della fede.[26]
La Carità politica si articola su più piani di espressione. Sul piano personale, comunitario, sul piano delle istituzioni e delle strutture democratiche.
L’attività dell’amore politico crea istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali. È Carità politica innalzare strutture perché il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria. Se è Carità stare vicino a una persona che soffre, è pure Carità tutto ciò che si fa per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. «Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica».[27]
La vera carità politica non è quella che promuove strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. La vera carità politica non promuove un assistenzialismo che misconosce la dignità delle persone e finisce per essere un’ipocrisia sociale.[28] Agisce in modo da rendere ogni essere umano artefice del proprio destino assieme agli altri. La democrazia si applica, in particolare, alla cura degli scartati.[29]
Il politico è un realizzatore, un costruttore con grandi obiettivi, con sguardo ampio e pragmatico. «Le maggiori preoccupazioni di un politico non dovrebbero essere quelle causate da una caduta nelle inchieste, bensì dal non trovare un’effettiva soluzione al fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato».[30]
Se la democrazia – non tanto (o solo) come forma di governo – è strettamente connessa con la parte migliore della persona, ed è per questo una sfida dell’uomo a sé stesso, è chiaro che tutto ciò che guarisce il cuore dei cittadini e li rende capaci di amare il popolo come ama Cristo, guarisce anche le democrazie a «bassa intensità», mantenendole società aperte ed inclusive, specie dei più poveri. La carità sociale e la fraternità liberano le democrazie dalla cultura dello scarto che, come ha detto papa Francesco a Trieste in occasione della 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia (7 luglio 2024), costruisce città e democrazie dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i migranti, i vecchi, la giustizia sociale. Uno Stato, ha aggiunto il Pontefice citando Aldo Moro, non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali integra la propria personalità.[31]
[1] Cf DOCUMENTO PREPARATORIO DELLA 50ASETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI IN ITALIA. Al cuore della democrazia#PartecipareTraStoriaeFuturo, Trieste (3-7 luglio 2024)
[2] Alla fine del ventesimo secolo, scrive Emilio Gentile, «la peggiore forma di governo, eccetto tutte le altre» sembrava destinata a trionfare nel mondo. Nel 1991 Norberto Bobbio riteneva che non fosse «troppo temerario chiamare il nostro tempo l’era delle democrazie». Ma nel primo ventennio del ventunesimo secolo, la democrazia rappresentativa e partecipativa appare ovunque in crisi. Appare in crisi soprattutto la sua anima etico-culturale,[2] senza dimenticarne la crisi strutturale. Oggi, inoltre, appare chiaro che, a fronte della rinascita di nazionalismi arcaici, solo una visione sovranazionale, coniugata in termini di solidarietà e di sussidiarietà, può salvare le democrazie, superando sovranismi asfittici.
[3] Cf Francesco, Discorso in occasione della 50aSettimana Sociale dei Cattolici in Italia (Trieste, 7 luglio 2024).
[4] A proposito della crisi della democrazia c’è una letteratura molto vasta. Qui, ci limitiamo a rimandare ai seguenti volumi: S. J. Pharr- R. D. Putnam (a cura di), Disaffected Democracies. What’s Troubling the Trilateral Countries, Princeton University Press, Princeton 2000; G. Zagrebelsky, La democrazia e la felicità, a cura di E. Mauro, Laterza, Roma-Bari 2011; C. Galli, Il disagio della democrazia, Einaudi, Torino 2011; E. Gentile, Il capo e la folla, Laterza, Roma-Bari 2016. Ma si vedano anche: Strade e Pensieri per Domani, È ancora possibile una buona politica? Stili e obiettivi, Edizioni Paoline, Milano 2023; C. Galli, Democrazia ultimo atto?, Einaudi, Torino 2023; M. Conway, L’età della democrazia. L’Europa occidentale dopo il 1945, Carocci editore, Roma 2023; M. Barberis, Separazione dei poteri e giustizia digitale, Mimesis edizioni, Milano 2023; F. Pastore, Migramorfosi. Apertura o declino, Einaudi editore, Torino 2023; T. Boeri-R. PerottI, PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, Milano 2023; S. Cassese, Le strutture del potere, Intervista di Alessandra Sardoni, Editori Laterza, Bari-Roma 2023; ID., Miseria e nobiltà d’Italia. Dialoghi sullo Stato della Nazione, Solferino, Milano 2024; L. Becchetti, Guarire la democrazia. Per un nuovo paradigma politico ed economico, Minimum fax, Roma 2024; A. Colombo, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2022. Dal punto di vista della Dottrina sociale della Chiesa può essere consultato: M. Toso, Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016; ID., Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.
[5] Il tema della riforma dei partiti in senso democratico e della partecipazione dei cittadini, descritto da Bruno Bignami (cf Intervista a Bruno Bignami di Massimo Venturelli in «La voce del popolo» 27 mar 2024), acquista ancora maggiore rilievo alla luce dell’attuale discussione parlamentare sul cosiddetto premierato di cui parleremo in conclusione.
[6] Cf P. Mair, Governare il vuoto. La fine della democrazia dei partiti, Rubbettino, Catanzaro 2016.
[7] Cf P. Ignazi, Partito e democrazia. L’incerto percorso della legittimazione dei partiti, Il Mulino, Bologna 2019, pp. 349-350.
[8] Cf intervento del Presidente della Repubblica alla cerimonia di apertura della 50aedizione della Settimana sociale dei Cattolici in Italia (Trieste 3 luglio 2024).
[9] Su questo si legga B. Bignami, Dare un’anima alla politica, Edizioni San Paolo, Milano 2024.
[10] Cf M. Toso, Chiesa e democrazia, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2024.
[11] La dittatura del relativismo di cui ha più volte scritto anche Benedetto XVI è frutto di un ecclettismo e di un appiattimento culturale per cui tutto si equivale e non esiste alcuna verità, né alcun punto di riferimento assoluto. Secondo la dittatura del relativismo è giustificabile la separazione della cultura dalla natura umana. Così, le culture non trovano più la loro misura in una natura che le trascende (cf Caritas in veritate, n. 26). La costituzionalizzazione in Francia della «libertà garantita» di abortire e il riconoscimento del diritto all’eutanasia, come anche l’approvazione (avvenuta l’11 aprile 2024) dell’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione da parte del Parlamento europeo, appaiono frutto della dittatura del relativismo oggi imperante. In tal modo, lo Stato di diritto viene piegato, dalle maggioranze culturali prevalenti nei parlamenti, ad essere uno Stato che riconosce e tutela gli arbitri. L’aborto volontario è l’uccisione di un essere umano innocente. Pertanto, non può costituire l’oggetto di un diritto di alcuno, né della donna che lo porta in grembo, né di qualsiasi altra persona o dello Stato. Parimenti non esiste un diritto alla morte. Esiste il diritto alla cura, all’accompagnamento alla morte, ma non il diritto di provocare la morte o di aiutare qualsiasi forma di suicidio. Lo Stato ha il dovere di garantire il diritto alla cura. In caso contrario, lo Stato diviene uno stato violento e totalitario avente talora la pretesa di abolire la stessa obiezione di coscienza (cf Dicastero Per La Dottrina Della Fede, Dignitas infinita, Libreria Editrice vaticana, Città del Vaticano 2024, pp. 81-82). Il relativismo assolutizzato non rafforza lo Stato di diritto, come anche la democrazia, bensì li indebolisce. Li porta alla fine. Affinché lo Stato di diritto e la connessa democrazia abbiano un futuro più certo è necessario che la cultura che li sorregge non subisca deformazioni soggettivistiche. Occorre che la cultura che li anima sia sostanziata da verità oggettive e da principi morali e giuridici stabili. Senza di questi è facile che le leggi approvate dalle maggioranze si tramutino in imposizioni arbitrarie. Occorre un convinto rispetto verso la verità della dignità umana, dei diritti e dei doveri delle persone e delle comunità. In caso contrario, i diritti umani fondamentali possono essere negati dalle maggioranze e dai potenti di turno. L’indifferenza verso il bene rende le comunità spietate. Al relativismo si somma il rischio che una presunta verità venga imposta senza ragioni. Ci vogliono un nuovo pensiero, un nuovo umanesimo trascendente, una nuova cultura, per dotare tutti i cittadini, di qualsiasi razza o Nazione, della capacità abituale di riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso dagli altri. Occorre ricominciare tutti dalla comune ricerca della verità, per non essere radicalmente divisi. Muovendo tutti da una comune dignità, che consente a tutti di riconoscere una comune appartenenza all’umanità, diventa possibile il dialogo sociale, non riconducibile ad un monologo, data l’inevitabile diversità delle singole persone.
[12] Considerare l’aborto come «diritto» apre un baratro di cui non si scorge il fondo: si praticherà quando e come si vuole, senza limiti, nei suoi confronti non varrà l’obiezione di coscienza, che pure è caposaldo delle libertà personali. Nell’ottica della decisione francese, chi obietterà si opporrà all’esercizio di un diritto, entrerà in uno spazio giuridico negativo, fino a poter subire sanzioni.
[13] Cf M. Toso, Riappropriarsi della Democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014.
[14] Cf Francesco, Discorso a Trieste, 7 luglio 2024.
[15] A questo proposito è da prendere in considerazione la proposta di legge di iniziativa popolare presentata dalla CISL in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. La proposta prevede che la partecipazione si realizzi attraverso accordi contrattuali tra sindacati e imprese su materie che vanno dall’informazione ai dipendenti alla codecisione nell’organizzazione del lavoro, dalla partecipazione agli utili a quella al capitale dell’azienda, fino all’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli d’amministrazione o di Sorveglianza delle imprese. La diffusione di questi modelli partecipativi potrà essere favorita da incentivi fiscali per dipendenti e aziende. Dopo aver definito le varie tipologie di partecipazione (gestionale, economica-finanziaria, organizzativa e consultiva), la proposta esplicita come queste diverse forme possano realizzarsi concretamente fino a prevedere l’ingresso dei rappresentanti dei lavoratori nei Consigli di sorveglianza delle imprese che adottano il sistema dualistico di governance e la partecipazione ai Consigli di amministrazione delle società sulla base delle modalità stabilite nei contratti. Per entrambi i casi, non ci sono obblighi per le imprese private di aderire a questo modello. Inoltre, si prevede che le società a partecipazione pubblica «devono integrare il Cda con almeno un amministratore designato dai lavoratori dipendenti». Invece di stabilire obblighi di legge, la proposta mira, pertanto, a valorizzare gli accordi contrattuali. Si configurano, sul modello delle esperienze nordeuropee, in particolare tedesche, dove l’adozione di modelli partecipativi rappresenta un punto di forza nelle relazioni industriali. La proposta di legge della Cisl non parte da zero, ma da buone pratiche già sperimentate in Italia. Si citano almeno 40 esempi di gruppi grandi e medi – da Luxottica a Piaggio a Leroy Merlin – dove si sono consolidate le più diverse esperienze di partecipazione contrattata tra sindacati e imprenditori. Senza dimenticare, poi, che anche nel sistema cooperativo si vanno sviluppando queste buone pratiche. Ad esempio, nel Consiglio di amministrazione della cooperativa Cofra siedono già 4 rappresentanti dei lavoratori. Si vorrebbe, dunque, estendere e generalizzare quanto in parte già esiste.
[16] Francesco, Discorso presso il Centro Congressi “Generali Convention Center” (7 luglio 2024).
[17] Su questo si legga M. Toso, Cattolici e politica, con prefazione di Stefani Zamagni, Società Cooperativa Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 61-63.
[18] Cf M. Toso, Basta guerre: è l’ora della pace. Il ruolo dei cattolici: non violenza attiva e creatrice e impegno politico, Cittadella Editrice, Assisi 2023, pp. 81-83.
[19] Per una riflessione sintetica sul rapporto tra comunità civile e società politica, sugli elementi costitutivi della comunità politica, sul rapporto tra persona, multietnicità e multireligiosità; sulla relazione tra comunità politica, Nazione e Stato; sul concetto di autorità, sulla relazione tra autorità e ordinamento giuridico, su autorità partecipata (rappresentanza, referendum, partiti, informazione), plurale o decentrata, sulla democrazia e sulla sua crisi contemporanea, nonché sull’apporto di papa Francesco in vista della sua soluzione, si veda M. Toso, Dimensione sociale della fede. Sintesi aggiornata di Dottrina sociale della Chiesa, LAS, Roma 20233, pp. 345-422.
[20] Cf S. Zamagni, Prefazione, in M. Toso, Cattolici e politica in un tempo di cambiamento epocale, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2019, pp. 28-29.
[21] «La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani, i vecchi.» (Francesco, Discorso a Trieste, 7 luglio 2024.
[22] Come ha incisivamente sottolineato il cardinale Matteo Zuppi, in occasione dell’anniversario del Codice di Camaldoli, celebrato nel mese di luglio 2023, uno dei problemi di oggi è «il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, […] con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati».[22] C’è bisogno di nuove generazioni di intellettuali, professionisti, pedagogisti, giuristi, economisti, politici, comunicatori e umanizzatori dell’intelligenza artificiale, che sappiano, come ai tempi di Pio XII fecero i Laureati cattolici, passare all’azione sul piano culturale, traducendo l’insegnamento sociale della Chiesa in un linguaggio politico, accessibile ai più. Una nuova presenza politica può nascere da una nuova cultura e, prima ancora, da una nuova evangelizzazione del sociale. Queste consentiranno di superare la falsa ideologia della diaspora, per formare una «massa critica» a livello politico, capace di una più incisiva e convinta partecipazione, tipica di una democrazia deliberativa.
[23]Come ha incisivamente sottolineato il cardinale Matteo Zuppi, in occasione dell’anniversario del Codice di Camaldoli, celebrato nel mese di luglio 2023, uno dei problemi di oggi è «il divorzio tra cultura e politica, non solo per i cattolici, […] con il risultato di una politica epidermica, a volte ignorante, del giorno per giorno, con poche visioni, segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati».[23] C’è bisogno di nuove generazioni di intellettuali, professionisti, pedagogisti, giuristi, economisti, politici, comunicatori e umanizzatori dell’intelligenza artificiale, che sappiano, come ai tempi di Pio XII fecero i Laureati cattolici, passare all’azione sul piano culturale, traducendo l’insegnamento sociale della Chiesa in un linguaggio politico, accessibile ai più. Una nuova presenza politica può nascere da una nuova cultura e, prima ancora, da una nuova evangelizzazione del sociale.
[24] Cf FT 178.
[25] Cf ib. 183-184.
[26] Cf ib. 185.
[27] Ib. 186.
[28] Cf Francesco, Discorso in occasione della 50aSettimana Sociale dei Cattolici in Italia (2 luglio 2024).
[29] Cf Francesco, Al cuore della democrazia, Libreria Editrice Vaticana-Il Piccolo, Noventa Padovana 2024. p. 91.
[30] Ib. 188.
[31] Cf Francesco, Discorso in occasione della 50aSettimana Sociale dei Cattolici in Italia (7 luglio 2024).