Faenza, Monache Benedettine Vallombrosane, 11 luglio 2021.
Care monache di sant’Umiltà, cari fratelli e sorelle, in questa quindicesima domenica dell’anno B in cui ci è presentata, tramite la Lettera agli Efesini (1,3-14), la meravigliosa visione cristiana della storia della salvezza, nonché la missione di Gesù e dei suoi discepoli, ci è data l’opportunità di considerare l’importante apporto del cristianesimo alla civiltà umana. Il Cristo partecipa attivamente all’opera di trasfigurazione del mondo con la sua incarnazione, morte e risurrezione. Lo Spirito santo ne guida lo sviluppo e i progressi. Noi, esseri creati, siamo stati scelti, prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati di fronte al Padre nella carità. Secondo il disegno d’amore di Dio, siamo stati predestinati ad essere figli adottivi mediante Gesù Cristo, nello splendore della sua grazia. Mediante il sangue del Figlio abbiamo redenzione, il perdono delle colpe, la rivelazione del suo disegno: ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. In altri termini, siamo chiamati a partecipare all’opera della nuova creazione che Cristo, ancora presente nella storia, porta a compimento. Fulcri centrali di una tale partecipazione all’opera di Cristo sono: la predicazione alle genti della conversione, l’attuazione delle sue opere, comprese l’unzione degli infermi, la loro guarigione e la cacciata dei demòni (cf Mc 6, 7-13).
In questo modo, le letture di questa domenica ci prospettano una dimensione della storia sempre attuale, che prende una configurazione diversa a seconda dei tempi e dei contesti. In tale scenario di salvezza e di trasfigurazione dell’umanità e del creato, che abbraccia il tempo, ha operato nei primi secoli del cristianesimo san Benedetto Abate, patrono d’Europa, messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente. Come scrisse Paolo VI nel suo Breve del 24 ottobre 1964: «al crollare dell’Impero Romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d’Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l’aurora di una nuova èra. Principalmente lui e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con l’aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall’Irlanda alle pianure della Polonia (Cf AAS 39 (1947), p. 453). Con la croce, cioè con la legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordinamenti della vita pubblica e privata. A tal fine va ricordato che egli insegnò all’umanità il primato del culto divino per mezzo dell’opus Dei, ossia della preghiera liturgica e rituale. Fu così che egli cementò quell’unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l’unico popolo di Dio; unità che, grazie allo sforzo costante di quei monaci che si misero al seguito di sì insigne maestro, divenne la caratteristica distintiva del Medio Evo. […] Col libro, ossia con la cultura, lo stesso san Benedetto, da cui tanti monasteri attinsero denominazioni e vigore, salvò con provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimonio umanistico stava disperdendosi, la tradizione classica degli antichi, trasmettendola intatta ai posteri e restaurando il culto del sapere. Fu con l’aratro, infine, cioè con la coltivazione dei campi e con altre iniziative analoghe, che riuscì a trasformare terre deserte e inselvatichite in campi fertilissimi e in graziosi giardini; e unendo la preghiera al lavoro materiale, secondo il suo famoso motto ora et labora, nobilitò ed elevò la fatica umana».
Sappiamo che alla tradizione monastica benedettina si riallaccia santa Umiltà, al secolo Rosanese Negusanti (nata a Faenza 1226, morta a Firenze 1310), che fondò un ramo femminile della Congregazione Vallombrosana dell’Ordine di san Benedetto. Sia san Benedetto sia santa Umiltà appaiono, nella nostra condizione storica, santi estremamente attuali per affrontare le sfide di un’epoca di decadenza che, anche a motivo della recente pandemia e delle sue serie conseguenze non solo sanitarie ed economiche, richiede una rinascita dell’Europa. Entrambi i santi che oggi ricordiamo ci insegnano che primo e principale fattore di uno sviluppo integrale e sostenibile per i nostri Paesi è l’annuncio di Gesù Cristo. Se parliamo della crisi della Chiesa odierna, Chiesa che alcuni Autori descrivono, prendendo spunto dal doloroso incendio di Nôtre Dame nella notte tra il 15 e il 16 aprile 2019, come «Chiesa che brucia», dobbiamo riconoscere che la crisi viene soprattutto dall’interno. Se la Chiesa, nella sua lunga storia, è stata provata da tante crisi dall’esterno, come la secolarizzazione degli Stati, da un laicismo radicale ed aggressivo, dalla persecuzione comunista, oggi la crisi viene soprattutto dalla decrescita degli indicatori della vitalità cattolica, ossia da cause interne: calo delle vocazioni, invecchiamento del clero, eclissi degli adulti e della trasmissione della fede alle nuove generazioni, scandali, calo del senso di appartenenza alla comunità cristiana, assolutizzazione del proprio io e spegnimento della considerazione dell’autorità religiosa. Si profila l’urgenza di una nuova evangelizzazione, da cui possa derivare un nuovo pensiero teologico e una nuova cultura antropologica delle relazioni, imperniata su un umanesimo trascendente e conviviale, ad impronta trinitaria. Solo così sarà possibile ritrovare una nuova scala di valori, fondamentale per la realizzazione di un’ecologia integrale, per un proficuo rapporto tra etica e nuove tecnologie, tra etica e finanza, tra etica e politica. Solo mettendo al primo posto Dio e non il proprio io, come fecero san Benedetto e sant’Umiltà, potrà sorgere una nuova epoca e un nuovo pensiero, una nuova cultura della cura e delle relazioni, per la rinascita dei nostri Paesi europei, dopo il coronavirus.
San Benedetto e santa Umiltà ci aiutino ad essere protagonisti della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Preghino il Padre per noi, perché con la nostra vita siamo costruttori di una nuova civiltà dell’amore fraterno.
+ Mario Toso