Faenza, cattedrale 21 febbraio 2021.
L’inizio della Quaresima coincide quest’anno con la festa liturgica di San Pier Damiani. Sulla nostra strada di impegno nella partecipazione della creazione di un mondo nuovo da parte di Cristo, che sale sulla croce, troviamo un santo che ha molto da insegnarci su come vivere un’esperienza quaresimale rigeneratrice della Chiesa e dell’umanità. San Pier Damiani morì proprio qui a Faenza la notte fra il 22 ed il 23 febbraio dell’anno 1072, appena trascorso il mercoledì delle ceneri, mentre si presume volesse raggiungere l’eremo di Gamogna per trascorrervi il periodo penitenziale in raccoglimento e preghiera.
Le sue spoglie sono venerate in questa Cattedrale nella sesta cappella alla vostra sinistra, che vedete illuminata. Fu una personalità fra le più complete ed importanti della spiritualità medievale, tanto che gli è riconosciuto il prestigioso titolo di Dottore della Chiesa.
Nacque nel 1007 a Ravenna ed ebbe un’infanzia segnata dalla precoce perdita dei genitori. Un fratello ne intuì l’acuta intelligenza ed il non comune talento e lo avviò agli studi, che seguì anche nella nostra Faenza, verosimilmente presso la scuola della Cattedrale o del Monastero di Santa Maria Foris Portam. Ben presto maturò in lui la scelta vocazionale, fortemente influenzata dai modelli monastici-eremitici di san Romualdo, il fondatore dei Camaldolesi. Nel 1035 divenne monaco e poi priore dell’eremo di Fonteavellana, ai piedi del Monte Catria, fra Gubbio e Pergola. Nel corso della sua vita – per rendere più partecipato e diffuso il rinnovamento portato nel mondo dall’incarnazione, passione, morte in croce e risurrezione di Cristo – fondò e riformò diversi eremi e monasteri nella zona compresa fra Romagna, Marche, Umbria e Toscana, fra cui, per limitarci alla Diocesi di Faenza, Gamogna ed Acereta. Parimenti, per quanto votato alla dimensione eremitica e contemplativa, mai esitò a porre le sue doti al servizio dei papi e della Chiesa affinché la vita nuova di Cristo si estendesse al mondo civile. Per tali ragioni si può annoverare fra i protagonisti assoluti di quel complesso movimento riformistico della Chiesa dell’XI secolo, nel pieno della lotta per le investiture e per la supremazia fra Papato ed Impero, comunemente detta “Riforma gregoriana”, dal nome di papa Gregorio VII, che tutti conosciamo fin dai banchi di scuola per via del celeberrimo incontro di Canossa con l’imperatore Enrico IV.
Pur essendo monaco ed eremita fu, dunque, anche eminente uomo della Chiesa “istituzionale”, collaboratore ed amico di tutti i papi del periodo, sempre disponibile ad uscire dall’eremo per recarsi dovunque si rendesse necessaria la sua opera mediatrice e pacificatrice. Per gli indiscussi meriti e servigi venne insignito della dignità cardinalizia, con il titolo della sede di Ostia (che conferiva il privilegio di consacrare i nuovi pontefici), anche se in seguito rinunciò all’incarico, volendo sempre essere monaco fino in fondo. In tal senso appare pregnante l’espressione con cui si sottoscriveva nei rogiti notarili: «Petrus peccator et monachus», vale a dire “Pietro peccatore e monaco”.
Raffinato teologo, canonista, moralista e dotato di eccezionale cultura, è riconosciuto come uno dei più prolifici autori medievali, eccellendo nei più diversi generi letterari, dai sermoni alle lettere, dalle agiografie alle preghiere, dai poemi agli epigrammi, per diverse centinaia di titoli complessivi. Notevole la sua trattatistica contro la mondanità della Chiesa ed il degrado morale dei suoi ministri, non temendo in alcun modo di stigmatizzare lo stato di corruzione esistente nei monasteri e tra il clero, a motivo del commercio dei benefici ecclesiastici (la cosiddetta simonia) e del concubinato dei sacerdoti. A tale devianza dalla purezza evangelica della Chiesa egli antepose un’ideale di perfezione monastica perseguito nella penitenza, umiltà ed obbedienza. Dal Papa fino all’ultimo sacerdote esigeva un distacco da onori e privilegi e li ammoniva circa l’ideale della loro missione. Ma, nonostante la sua intransigenza, fu incline al recupero del clero “deviato”, ritenendo i sacramenti da esso amministrati validi a tutti gli effetti, evenienza peraltro accettata dalla Chiesa ancora oggi.
In quest’anno in cui ricorre il settimo centenario della morte di Dante Alighieri è doveroso ricordare che san Pier Damiani, una delle personalità più emblematiche della spiritualità medievale, non poteva non avere un adeguato ruolo nella più grande “sintesi” del mondo medievale che fu, per l’appunto, la Divina Commedia. Nel canto XXI del Paradiso, quello degli spiriti contemplativi, il Santo incontra il Poeta lanciandosi in un’invettiva contro la mondanità della Chiesa. Alcuni versi del canto dantesco sono peraltro leggibili nella grande lapide posta nella facciata esterna di questa Cattedrale.
La vita di san Pier Damiani, come accennato, è un ottimo viatico per immergerci nel cammino di autentica conversione che la Quaresima ci invita ad intraprendere. Egli ha inteso tutta la sua vita come una sorta di percorso quaresimale, all’insegna della penitenza e della preghiera, ponendo sempre Cristo e la Croce al centro della propria vita. La Croce, come ha ricordato papa Benedetto XVI nel corso dell’Udienza generale del 9 settembre 2009 dedicata al nostro santo, è il mistero cristiano che più di tutti gli altri ha affascinato Pier Damiani. Questi scrive in un suo Sermone: “Non ama Cristo, chi non ama la croce di Cristo” (Sermo XVIII, 11, p. 117). Più di una volta si qualifica significativamente come: “Petrus crucis Christi servorum famulus – Pietro servitore dei servitori della croce di Cristo” (Ep, 9, 1). Alla Croce Pier Damiani rivolge bellissime orazioni, nelle quali rivela una visione di questo mistero che ha dimensioni cosmiche, perché abbraccia l’intera storia della salvezza, come anche la nostra vita e questo tempo in cui viviamo.
San Pier Damiani ha ancora molto da dire all’uomo del nostro tempo, di questo nostro tempo funestato dal Covid, che esattamente un anno fa iniziava a diffondersi in maniera incontrollata, provocando ormai quasi centomila morti, la cui sofferenza vogliano oggi unire a quella di Cristo crocifisso.
Nel cammino sinodale dei giovani da poco concluso l’anno scorso ho proposto san Pier Damiani come esempio da imitare. La sua attualità risiede soprattutto nel “rigore dell’eremo”, la “cella”, che, per usare sempre le parole di Benedetto XVI, diviene «parlatorio dove Dio conversa con gli uomini». Senza l’incontro con Dio perdiamo noi stessi, creati a sua immagine somigliantissima. Senza Dio perdiamo noi stessi e il prossimo. Troviamo qui un forte richiamo anche per noi a non lasciarci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi, dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci che Gesù deve essere veramente al centro della nostra vita, Colui in cui vivere per rinascere incessantemente. La comunione con Cristo crea unità d’amore tra i cristiani e nell’umanità. Pier Damiani, che ha testimoniato per tutta la sua vita un’obbedienza indiscussa alla Chiesa in momenti in cui non era affatto facile restarvi fedeli, ci insegna ad essere in ogni momento autentici “innamorati di Cristo” e della sua Croce per partecipare alla sua Pasqua di risurrezione.
+ Mario Toso