Chiesa di san Francesco, 8 dicembre 2020.
La devozione della città di Faenza e del suo territorio all’Immacolata trova radici nel secolo XV. Una tale devozione era viva ancor prima della definizione del dogma, avvenuta nel 1854. Crebbe coinvolgendo tutto il popolo faentino e, in particolare, il mondo rurale. Nacque una specifica devozione per la protezione e i bisogni della campagna, per l’abbondanza dei raccolti e dei frutti, per impetrare, a seconda delle necessità, la pioggia o il sole.
In questo territorio, il prezioso ed indispensabile lavoro dei campi, non è venuto meno. Esiste in forme mutate, mescolato con le attività lavorative dei servizi, del settore quaternario, dell’industria, sempre più connotata dalla digitalizzazione e dalla robotizzazione. I coltivatori agricoli, nonostante le fatiche e i guadagni talvolta magri, hanno mille motivi per ringraziare Dio e sua Madre, l’Immacolata.
La Parola di Dio, tratta dal libro della Genesi (Gen 3, 9-15.20), ci parla del peccato che si è introdotto nella storia dell’umanità. Avvenne agli inizi, con Adamo ed Eva. Si tratta di un inganno macchinato dal nemico di Dio, Satana, raffigurato dal serpente che parla alla donna ed induce a disobbedire al comando del Creatore. Ecco il punto cruciale per noi. L’umanità, nell’unità di uomo e di donna, creata da Dio per vivere in piena armonia con Lui, gli volta le spalle. Distaccandosi da Dio, perde la propria identità. Non sa più chi è, per chi è. Viene meno la direzione del cammino.
La solennità dell’Immacolata è per la Chiesa intera l’occasione per festeggiare in Maria di Nazareth l’umanità che finalmente risponde all’amore di Dio e non delude alle sue attese. Celebrare l’Immacolata è onorare ed amare la Madre del Redentore, la Madre di una nuova umanità, che ritrova la propria identità. È comprendere che, come Lei, ognuno di noi, uomo o donna, giovane o anziano, è chiamato a mettersi a disposizione di Dio, per la nuova creazione, per consentire a Gesù di diventare cuore di un mondo nuovo. Come Maria doniamo Gesù al mondo, perché ogni persona possa amare e servire Dio e il prossimo col cuore di Cristo.
L’ultima enciclica di papa Francesco Fratelli tutti ci aiuta a comprendere meglio chi è per l’umanità Maria Immacolata. È Colei che vive in piena comunione con Dio per generare Gesù, il Buon Samaritano. Ella diviene Madre dell’Uomo nuovo per aiutare l’umanità ad uscire dalle sue debolezze, dal male, dalla presa micidiale di coloro che la depredano della sua dignità. Maria è Madre di Dio che si fa prossimo dell’umanità ferita, a terra, sul bordo della strada. Genera il Figlio di Dio per aiutare ogni persona a vivere al meglio la propria fraternità, per prendere su di sé il dolore dei fallimenti dei propri fratelli, singoli o popoli che siano. L’Uomo-Dio generato da Maria dona un amore aperto a tutti, che rende possibile la fraternità, l’amicizia sociale. È un amore che promuove identità che non separano dagli altri. Sollecita a riconoscere a tutti, qualunque sia il luogo di nascita, la dignità umana. Punta al meglio per sé e per gli altri. Integra coloro che vivono nelle periferie esistenziali, i disabili, le persone anziane. Non tollera né il degrado morale né ambientale, né sociale, né la sclerosi religiosa e culturale.
Generando Gesù Cristo, fonte di un rinascimento senza tramonto, Maria investe sul futuro dell’umanità. Dobbiamo imparare da Lei ad investire, in momenti difficili, come quello della pandemia e della prevalenza di una cultura liquida, caratterizzata da un individualismo libertario, su un nuovo tipo di umanità. Il primo passo da compiere è proprio quello di annunciare a tutti Gesù Cristo, per donarlo come il primo e principale fattore di una crescita integrale. Non solo. Dobbiamo accoglierlo come Colui nel quale noi siamo e viviamo figli nel Figlio, ossia come umanità fraterna. Vivendo in Gesù Cristo – ecco il perno di una vita nuova – sperimentiamo sia una Paternità trascendentesia una fraternità universale, in tutto il loro spessore metafisico e il loro traboccante amore che viene dalla Trinità. Incarnandosi, Gesù Cristo innesta e stabilizza nella nostra umanità il principio divino dell’amore trinitario, un amore trascendente, che accresce la responsabilità fraterna di ogni uomo e di ogni donna nei confronti di tutti gli altri. Un tale amore si occupa di tutte le dimensioni della persona: quella corporea, psicologica, morale, sociale, religiosa, culturale. Se ci impegneremo in una evangelizzazione recante il segno della promozione globale ci troveremo sulla stessa strada percorsa da Maria. Con Lei, saremo capaci di sconfiggere qualsiasi cultura immanentista, imbevuta da un umanesimo antropocentrico, che smarrisce la percezione della paternità di Dio e, con ciò stesso, partorisce orfani, che vivono in una estraneità reciproca.
Se desideriamo, dunque, portare novità di vita e una fraternità trascendente nelle relazioni e nelle istituzioni, nei vari ambiti di vita, guardiamo all’Immacolata che investe sul futuro dell’umanità. Impariamo da Lei a generare un’umanità fraterna, quale principio architettonico del sociale e via per la pace. Un’umanità fraterna è fondamentale anche per le persone che coltivano la terra. Il loro lavoro sarà più amato e attento al creato, che è casa di tutti. Nel giorno in cui veneriamo l’Immacolata, qui a Faenza protettrice da secoli dei contadini, siamovicini con la preghiera e l’affetto al mondo rurale, specialmente ai piccoli coltivatori. Il loro lavoro è più che mai importante in questo tempo di crisi. Il pane e il vino che saranno consacrati siano cibo e bevanda di salvezza per tutti noi, per la gloria di Dio e della Madre di ogni uomo e di ogni donna.
+ Mario Toso