[ago 05] Intervento – Ritiro presso la Casa del clero

05-08-2024

Faenza, Casa del clero 5 agosto 2024.

Il Vangelo di Mc 6,30-34 narra che gli apostoli, ritornati dalla missione, si radunano intorno a Gesù e gli raccontano quello che hanno fatto; allora Lui dice loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’» (v. 31). La gente però capisce i loro movimenti e, quando scendono dalla barca, Gesù trova la folla che lo aspetta, ne sente compassione e si mette a insegnare (cfr v. 34).

Dunque, da una parte l’invito a riposare e, dall’altra, la compassione di Gesù per la folla. Sembrano due cose inconciliabili, l’invito a riposare e la compassione, e invece vanno insieme: riposo e compassione.

Gesù che si preoccupa della stanchezza dei discepoli forse sta cogliendo un pericolo che può riguardare anche la nostra vita e il nostro apostolato, quando ad esempio l’entusiasmo nel portare avanti la missione, o il lavoro, così come il ruolo e i compiti che ci sono affidati ci rendono preda dell’attivismo, e questa è una cosa pericolosa: troppo preoccupati delle cose da fare, troppo preoccupati dei risultati. E allora succede che ci agitiamo e perdiamo di vista l’essenziale, rischiando di esaurire le nostre energie e di cadere nella stanchezza del corpo e dello spirito. È un monito importante per la nostra vita, spesso prigioniera della fretta, ma anche per la Chiesa e per il servizio pastorale: stiamo attenti alla dittatura del fare!

Il riposo proposto da Gesù non è una fuga dal mondo, un ritirarsi nel benessere personale. Dal Vangelo impariamo che le due realtà – riposo e compassione – sono legate: solo se impariamo a riposare, a stare con Lui, possiamo avere compassione. Infatti, è possibile avere uno sguardo compassionevole, che sa cogliere i bisogni dell’altro, soltanto se il nostro cuore non è consumato dall’ansia del fare, se sappiamo fermarci e, nel silenzio dell’adorazione e della preghiera, ricevere la Grazia di Dio.

L’anno scorso il 3 agosto, ad Alfonsine, presso la Madonna del Bosco, per ricordare il curato d’Ars, grande pastore e patrono dei parroci, catecheta, confessore, esorcista, riflettemmo sulla LETTERA APOSTOLICA DI PAPA FRANCESCO NEL IV CENTENARIO DELLA MORTE DI SAN FRANCESCO DI SALES: TOTUM AMORIS EST[1]

La riflessione conclusiva ci portava a considerare che la vera estasi della vita e dell’azione presbiterale, per san Francesco di Sales, è quella che si attua nella carità di Cristo, che culmina sulla croce. Il solo fare per fare ci imprigiona nell’attivismo. Il nostro agire pastorale dev’essere un fare nella contemplazione. Solo guardando al Calvario si comprende che lì e solo lì non è possibile avere la vita senza l’amore, né l’amore senza la morte del Redentore. La croce di Cristo è la fonte sorgiva di ogni vero cambiamento pastorale, della sua incisività, della capacità di donarsi senza misure.

Quest’anno ricorderemo il santo pastore d’Ars, stimato e ricercato per la sua santità – le stesse vie di comunicazione da Lione, e poi, da Parigi, per Ars, furono potenziate – ricorrendo ad un altro testo di papa Francesco, donato ai vescovi in visita ad limina Santi, non mondani.

 

 

Nella brevissima introduzione si legge: la battaglia interiore è vincere la chiusura del nostro io per lasciarci abitare dall’amore crocifisso

Come accennavo, il pericolo è quello di chiuderci nel fare abitudinario, senza aperture alla preghiera, alla contemplazione della dimensione sovrannaturale della vita e dell’impegno pastorale.

Non dobbiamo dimenticare che la fede cristiana è una lotta, una battaglia interiore, per vincere la tentazione della chiusura nel nostro io e lasciarci abitare dall’amore di un Padre che desidera la nostra felicità. È una lotta bella perché, quando lasciamo irrompere il Signore nella nostra vita, nella nostra pastorale, il nostro cuore esulta di pienezza e la nostra esistenza è illuminata da un raggio di infinito.

 

LA VITTORIA DI GESÙ HA UN NOME: LA CROCE

La vita del cristiano e dei presbiteri è un combattimento.

È, in particolare, lotta contro la mondanità spirituale, che è, secondo papa Francesco, un paganesimo travestito con vesti ecclesiastiche. Per quanto camuffato da una parvenza di sacro, è un atteggiamento che finisce con l’essere idolatrico, perché non riconosce la presenza di Dio come Signore e liberatore della nostra vita e della storia del mondo. La mondanità spirituale ci lascia in balia del nostro capriccio e delle nostre voglie.

Chiamati a combattere, la nostra non è una lotta vana né senza speranza, perché tale combattimento ha già un vincitore: Gesù, colui che ha sconfitto nella sua morte la forza del peccato, risorgendo. Con la sua morte e resurrezione ci dà la possibilità di diventare persone nuove.

La vittoria di Gesù ha un nome: croce, segno di un amore sconfinato, umile e tenace, amore eterno. Questo amore eterno interpella e orienta le vie del cristiano e della Chiesa stessa. La croce di Gesù risorto è il criterio di ogni scelta di fede.

Il beato Pierre Claverie, vescovo di Orano, (vescovo francese naturalizzato algerino, membro professo dell’Ordine dei frati predicatori, vescovo dal 1981 fino al suo omicidio), in una sua omelia affermava: «Io credo che la Chiesa muoia se non sta sufficientemente vicina alla croce del suo Signore. Per quanto possa sembrare paradossale, la forza, la vitalità, la speranza, la fecondità cristiana, la fecondità della Chiesa vengono da lì. Non da altrove. Tutto il resto non è che fumo negli occhi, illusione mondana. La Chiesa si inganna e inganna il mondo, quando si pone come una potenza fra le potenze, o come un’organizzazione, foss’anche umanitaria, o come un movimento evangelico capace di dare spettacolo. Può anche brillare, ma non può bruciare del fuoco dell’amore di Dio, “forte come la morte” – dice il Cantico dei Cantici».

Proprio per questo motivo, scrive papa Francesco, ho voluto raccogliere in questo volumetto due testi pubblicati in tempi diversi: uno, scritto nel 1991, poi ripubblicato nel 2005 quando ero arcivescovo di Buenos Aires, dedicato alla corruzione e al peccato; l’altro, una Lettera ai sacerdoti di Roma del 5 agosto 2023. Cosa li unisce? La preoccupazione, che sento come una chiamata forte di Dio a tutta la Chiesa, a restare vigilanti e lottare, con la forza della preghiera, contro ogni cedimento alla mondanità spirituale.

Questa lotta ha un nome: si chiama santità. La santità non è uno stato di beatitudine raggiunto una volta per sempre, è invece l’incessante, instancabile desiderio di restare attaccati alla croce di Gesù, lasciandoci plasmare dalla logica che viene dal dono di sé e dal resistere a chi, il nemico, ci lusinga instillandoci la convinzione della nostra autosufficienza. Ci farà bene invece ricordare ciò che ci ha detto Gesù: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). Santità è dunque il restare aperti al “di più” che Dio ci chiede e che si manifesta nell’adesione alla nostra vita quotidiana. Il padre Alfred Delp scriveva: «Dio ci abbraccia con la realtà». Ecco, è il nostro quotidiano il luogo in cui lasciar spazio al Signore che ci salva dalla nostra autosufficienza, e che ci chiede quel magis di cui parla Sant’Ignazio di Loyola: quel “di più” che ci spinge verso una felicità non effimera ma piena e serena.

Offro al lettore questi testi come occasione di riflessione sulla propria vita e su quella della Chiesa nella convinzione che Dio ci chiede di essere aperti alle Sue novità, ci chiede di essere inquieti e mai appagati, in ricerca e mai installati in accomodanti opacità, non arroccati in false sicurezze bensì in cammino sulla via della santità.

Diamoci da fare non per il cibo che non dura ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo ci dona.

 

                                                    + Mario Toso

 

Angelus

L’Angelo del Signore portò l’annunzio a Maria.
Ed ella concepì per opera dello Spirito Santo.
Ave Maria…

Eccomi, sono la serva del Signore.
Si compia in me la tua parola.
Ave Maria…

E il Verbo si fece carne.
E venne ad abitare in mezzo a noi.
Ave Maria…

Prega per noi, santa Madre di Dio.
Perché siamo resi degni delle promesse di Cristo.

Preghiamo.
Infondi nel nostro spirito la Tua grazia, o Padre; Tu, che nell’annunzio dell’angelo ci hai rivelato l’incarnazione del Tuo Figlio, per la Sua passione e la Sua croce guidaci alla gloria della risurrezione. Per Cristo nostro Signore.

Amen.

Gloria al Padre… (3 volte)
L’Eterno riposo…

Benedizione apostolica o papale

Il Signore sia con voi.
E con il tuo spirito.

Sia benedetto il nome del Signore.
Ora e sempre.

Il nostro aiuto è nel nome del Signore.
Egli ha fatto cielo e terra.

Vi benedica Dio onnipotente,
Padre, e Figlio, e Spirito  Santo.

Amen.

 

[1] Cf FRANCESCO, Lettera apostolica Totum amoris est, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2022.