Faenza, Cattedrale 13 febbraio 2022.
Cari fratelli e sorelle, questa sera celebriamo la trentesima Giornata mondiale del malato. A questa Giornata è dato come tema di riflessione l’impegno di vivere la misericordia di Dio nei confronti dei malati: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso». Si tratta del versetto 36 del capitolo 6 del Vangelo di Luca, che oggi è stato proclamato giungendo al versetto 35.
In questo periodo l’invito di Gesù a essere misericordiosi come il Padre, acquista un significato particolare, perché ci troviamo ancora – sia pure in una fase di crollo dei contagi che fa ben sperare – nella dura esperienza della pandemia da Covid-19. Non raramente le persone ammalate sono state isolate e sono morte senza il conforto dei propri cari, senza una loro carezza. Per fortuna assistiamo all’impegno eroico dei medici, degli infermieri, dei numerosi volontari. Le loro mani sono state e sono mani che toccano la carne sofferente di Cristo. Sono state e sono segni delle mani misericordiose del Padre.
Il Messaggio della trentesima Giornata si rivolge in particolare agli operatori sanitari, a tutti coloro che per professione assistono e curano i malati, ai volontari che donano tempo prezioso a chi soffre. Papa Francesco ricorda a loro che «il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo ogni approccio terapeutico non può prescindere dall’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure. Anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, sempre è possibile consolare, sempre è possibile far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia. Per questo – egli scrive – auspico che i percorsi formativi degli operatori della salute siano capaci di abilitare all’ascolto e alla dimensione relazionale». La relazione medico e paziente è molto importante. Purtroppo oggi una tale relazione è posta in crisi, specie da quando gli ospedali sono diventati aziende. Se il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce un «tempo di cura» (cf art. 1, punto 8, della legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento), quello che manca spesso agli operatori sanitari è proprio il tempo. E ciò perché sono ridotti di numero a causa di politiche aziendali che non sempre pongono al centro la persona malata. Nelle aziende si cerca di ottenere il massimo risultato con il minor numero possibile di addetti. Le conseguenze sono che si hanno tanti operatori sanitari stanchi, frustrati, indotti ad impiegare tempo non nell’ascolto del paziente, ma in tante pratiche burocratiche, con lo sguardo puntato sul computer e non sul volto del malato. Spesso l’«alleanza terapeutica» che si deve instaurare tra malato e medico, viene sostituita da un incontro fugace, da fraintendimenti, da lamentele e anche da denunce. La pandemia ha finito per aggravare questa situazione precaria. Occorre, dunque, creare nuove situazioni, in cui medico e paziente possano trovarsi entrambi in una condizione favorevole, tale per cui ci sia il bene del paziente ma anche il bene del medico stesso. Il paziente ha bisogno del medico, ma anche il medico necessita di conoscere il paziente, la sua vita, i suoi valori, la ricchezza del suo vissuto. Solo, allora, come testimonia il dott. Angelo Gambi nel volumetto Fine vita (cf p. 72), il medico come persona può già essere una «terapia» per l’ammalato. Ma anche gli operatori sanitari necessitano di uno sguardo e di un’attenzione «sananti».
Nel volumetto citato si è posta l’attenzione sul fine vita, un momento cruciale della nostra esistenza. Come ha scritto con verità Benedetto XVI, alcuni giorni fa, tutti saremo davanti alla porta oscura della morte. Con riferimento a tale momento come dovranno vivere gli operatori sanitari la misericordia del Padre? A questo proposito si è espresso papa Francesco il 9 febbraio 2022 nell’udienza generale del mercoledì. Egli afferma che per noi cristiani, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l’accanimento terapeutico (cf Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2278). Fa, poi, una seconda considerazione: ogni persona che si appresta a vivere l’ultimo tratto di strada della propria vita, deve poter farlo nella maniera più dignitosa possibile. Riguardo alla qualità della morte stessa, alla qualità del dolore, della sofferenza, dobbiamo essere grati per tutto l’aiuto che la medicina si sta sforzando di dare attraverso le cosiddette «cure palliative». Queste, però, devono essere rese il più possibile accessibili a tutti, anche a domicilio. In questo contesto, il pontefice rammenta: «Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch’esse inaccettabili che portano a uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata». Questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti. Da ultimo, papa Francesco attira l’attenzione su un aspetto disumano delle cure sanitarie, e cioè sull’accelerare la morte degli anziani. Tante volte si vede che agli anziani, perché non hanno i mezzi, si danno meno medicine rispetto a quelle di cui avrebbero bisogno. Questo non è aiutarli. È spingerli più presto verso la morte. Questo non è umano né cristiano. Gli anziani vanno curati come un tesoro dell’umanità: sono la nostra saggezza. Anche se non parlano e non riescono ad articolare bene un discorso, sono coloro che hanno fatto la strada prima di noi e ci hanno lasciato tante cose belle, tanti ricordi, tanta saggezza. Non acceleriamo la morte degli anziani. Accarezziamoli. Essi sono sempre un mistero che va rispettato, accompagnato, curato, amato. Evidentemente, quanto detto papa Francesco è più facilmente comprensibile alle persone credenti. In questa eucaristia preghiamo per tutti i sanitari e gli ammalati. Il Signore ci aiuti ad essere buoni samaritani.
+ Mario Toso