In Gesù Cristo, Dio e uomo, la natura divina sposa la natura umana. Dio diventa uomo. L’uomo diventa Dio. Come ebbe a scrivere sant’Agostino si compie un mirabile scambio. Il Verbo, Parola eterna del Padre, divenendo uomo, deve imparare a parlare per dire “mamma”, “papà”, “amici”, “fratelli”; deve imparare a lavorare nella bottega del falegname Giuseppe, suo padre putativo; Lui che è la Vita del mondo deve sperimentare la morte e imparare il soffrire, e prima piange la morte degli amici e delle persone care: tutto ciò è da Lui compiuto per essere, sino in fondo, figlio dell’uomo. È solo così, conoscendolo ed amandolo quale figlio dell’uomo, vero uomo, Uomo Nuovo, che noi abbiamo la possibilità di imparare a vivere come figli di Dio. Gesù Cristo, divenendo uno di noi, come Dio e uomo insieme, ci insegna il mestiere d’uomo, quale dovrebbe essere per noi da figli. Ci aiuta ad essere umanità ricreata, trasfigurata dal suo Spirito d’amore, mediante il quale ci costituisce popolo coeso, che annuncia e testimonia il Verbo incarnato. Assunti e incorporati in Lui col Battesimo e la Cresima, siamo chiamati a vivere la sua vita, che è essenzialmente Amore. La nostra vocazione personale e di popolo cristiano è l’amore: essere e vivere l’amore di Dio che si incarna per realizzare una nuova creazione.
Il suo amore, dunque, ci fa crescere come umanità nuova, trasfigura la nostra vita e ci sollecita a seminare la vita nuova, che Cristo ci dona (un’umanità sanata, elevata, ossia non schiacciata o umiliata, bensì potenziata e divinizzata), oltre che in noi, nella nostre famiglie, nelle relazioni tra persone, nelle leggi, nelle istituzioni, nell’economia, nell’ecologia integrale. La nascita di Gesù Bambino ci sprona, dunque, a divenire popolo, che porta ed incarna la vita nuova di Cristo in tutti i momenti dell’esistenza, belli o tristi. Dobbiamo essere nella storia popolo che continua l’incarnazione di Cristo, per sanare e trasfigurare l’umanità. Dovremmo, senza dubbio, chiamarci popolo del Verbo incarnato, perché popolo che coltiva il progetto di cambiare la storia umana, liberandola dai suoi mali, dalle sue piaghe, dalle sue schiavitù. Se, però, con le nostre scelte, e cioè con il peccato e il disprezzo per l’altro fratello, mostriamo indifferenza nei suoi confronti, siamo ingiusti, calpestiamo la vita del più debole e la dignità delle persone, non le aiutiamo allorché sono povere, senza lavoro, devastate dalla solitudine, dalla droga, dalla schiavitù del vizio; se non educhiamo i più giovani ad accogliere e ad amare Gesù, ad amare per sempre, se nella stessa politica non si organizza il bene comune in modo da favorire lo sviluppo integrale di tutti, in definitiva – ecco la conclusione che dobbiamo trarre – ostacoliamo la stessa venuta dell’Uomo Nuovo, impediamo l’incarnazione della nuova umanità che Gesù Cristo porta e che da noi credenti dovrebbe essere calata in nuovi stili di vita, dentro nuove leggi ed istituzioni, sempre più commisurate alla dignità delle persone. Detto altrimenti, possiamo vanificare il Natale. Possiamo renderlo una festa senza il Festeggiato, una corsa frenetica per acquistare doni senza però accogliere il Dono, che è Gesù Cristo: dono da ricevere e da donare. In tale contesto, diventa inevitabile farci questa domanda amara: perché veneriamo e cantiamo il Bambino che nasce per noi, se poi con la nostra vita non gli consentiamo di giungere nel cuore di ogni persona, di essere Principe della pace, redentore che umanizza e trasfigura il mondo? Perché ci dimentichiamo di essere portatori del suo Spirito d’amore?
Se come ci ha ricordato il Vangelo di Luca “oggi nasce per noi il Salvatore, che è Cristo Signore” è chiaro che dovrà essere nostra costante premura farne crescere la presenza nelle persone, nelle nostre famiglie e comunità ecclesiali, mediante soprattutto la preghiera, una rinnovata catechesi che coinvolge anche i genitori; mediante la formazione permanente, sia dei fedeli laici sia dei presbiteri; mediante una più approfondita conoscenza della Parola – chi non conosce la Bibbia non conosce Cristo -; mediante un’assidua pratica della Carità di Cristo in tutti gli ambienti di vita, non solo nell’assistenza, ma anche nel sociale e nel politico; mediante l’assunzione di una pastorale integrata, per una evangelizzazione comunitaria e corale, sinodale.
Che il Bambino Gesù, che si incarna anche nel pane e nel vino, transustanziandoli, diventi nutrimento per il nostro cammino, cibo di vita piena. Buon Natale a tutti, piccoli e grandi, giovani ed anziani, malati e soli. Cristo luce, porti pace e serenità a tutti.
+ Mario Toso