Era l’11 aprile del 1963 quando Papa Giovanni XXIII promulgava l’enciclica Pacem in Terris, un documento dalla portata dirompente nel clima di tensione della Guerra Fredda e della logica dei blocchi, e non solo perché era rivolto ai credenti, ma anche perché chiamava in causa tutti gli uomini di buona volontà. Pochi anni prima, l’azione del Pontefice aveva contribuito a stemperare le posizioni contrapposte degli statunitensi e dei sovietici, apparentemente senza via di fuga, durante la crisi dei missili di Cuba. Si era trattato di una conferma della duttilità dell’azione diplomatica della Chiesa cattolica capace di intrecciare realismo e profezia.
All’alba del sessantesimo anniversario da quella data, lo stato della politica a livello nazionale e internazionale sembra la dimostrazione che quelle parole siano cadute nel vuoto, almeno apparentemente. Dal febbraio 2022 la guerra è ritornata in Europa, dilaniando una nuova generazione dopo quelle lacerate dai conflitti dei Balcani degli anni ’90. L’Africa subsahariana è in ebollizione, frantumata tra guerre civili ed etniche, colpi di Stato e corruzione che alimentano migrazioni di dimensioni epocali verso il nord del mondo. Da poco più di una settimana anche sul Medio Oriente troneggia un ennesimo punto interrogativo, lo scenario incognito che può dipanare dalla guerra tra Israele e Hamas. E questo per limitarci solo ad alcune crisi che ci riguardano più da vicino, in termini di distanza, perché si tratta di conflitti che circondano il Vecchio Continente in un perimetro di instabilità e violenza. D’altro canto, le nostre società democratiche sono in affanno, svuotate dal punto di vista dei valori, della visione di un futuro, e prive di prospettive in quanto in stagnazione demografica.
Per parlare di questo scenario alla luce del magistero sociale della Chiesa e di quello roncalliano, in Università Cattolica del Sacro Cuore abbiamo organizzato un ciclo di lezioni aperte intitolato Il dono della Pace. Si è trattato di una serie di incontri promosso dal Centro di Ateneo per la Dottrina Sociale della Chiesa, che tra le altre cose cura la rivista Dizionario di Dottrina Sociale della Chiesa. Le cose nuove del XXI secolo. Le lezioni hanno coinvolto tutte le sedi dell’Università, e si sono svolte tra Milano, Brescia, Piacenza, Cremona e Roma dal 2 al 12 ottobre. Studiosi, operatori ed esperti hanno riflettuto sul lascito dell’enciclica e al tempo stesso hanno contribuito al dialogo tra il Magistero sociale e il mondo universitario, fatto di studenti e docenti che anche attraverso lo studio e l’insegnamento continuano a interrogarsi sulle questioni fondamentali dell’agire cristiano nel nostro tempo presente.
A chiusura del ciclo, quale professore di Storia delle relazioni internazionali, ho voluto invitare il Vescovo Monsignor Mario Toso, una personalità d’eccezione, che nel corso della propria vita ha saputo coniugare l’attività accademica e quella di pastore, raccordandole con competenza, teorica e pratica, nel focus della Dottrina Sociale della Chiesa. La sua lunga esperienza nel Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, di cui, come noto, è stato anche Segretario tra il 2009 e il 2015, era senza dubbio una garanzia per guidare gli studenti in una lectio intitolata L’attualità della Pacem in terris.
La lezione di Monsignor Toso è stata preceduta da un discorso di Kiril Kartaloff, uno storico della Cattolica che proviene dalla Bulgaria ed è esperto di diplomazia della Santa Sede e studioso di Angelo Roncalli ai tempi della sua esperienza di Visitatore Apostolico a Sofia. Kartaloff ha inquadrato l’enciclica di Papa Giovanni XXIII nel contesto delle relazioni internazionali dell’epoca e l’ha inserita nel solco della vera e propria pastorale diplomatica roncalliana. Si è trattato di temi che Mons. Toso ha poi approfondito, in una lezione ad ampissimo raggio, che ha spaziato dalla filosofia (disciplina, tra l’altro, in cui si è laureato proprio in Cattolica), alla teologia, passando per la storia contemporanea, delle istituzioni e la politologia. Tra le altre cose il Vescovo ha ripercorso le radici culturali dell’enciclica giovannea, il clima intellettuale che l’ha prodotta, fermandosi in particolare sulla figura del cardinale Pietro Pavan uno dei principali responsabili della redazione del testo, collocando l’insegnamento nel processo di sviluppo della Dottrina Sociale della Chiesa. In un intervento a tutto campo, che ha modulato gli aspetti più teoretici con puntuali riferimenti al contesto internazionale emerso dalla crisi pandemica del 2020 e allo scenario di crisi politica nazionale, Monsignor Toso ha evidenziato, alla luce della Pacem in Terris e di tutto il magistero sociale cattolico, la centralità del nesso tra un ordine internazionale più giusto e un ordinamento democratico funzionante. Da questo punto di vista, appare chiaro che il lento cammino per la pace e per una governance globale effettiva, passi attraverso la costruzione di una nuova legittimità internazionale, democratica, in quanto centrata sull’azione di istituzioni internazionali solide e riformate, come le Nazioni Unite, e sulla rafforzata presenza di democrazie integrali, ovvero democrazie che sappiano garantire e promuovere l’interezza dei diritti della persona, coniugandoli però con i doveri. Non si dà vera libertà senza l’esercizio della responsabilità. Nella tensione dell’equilibrio tra questi due poli si colloca la buona politica.
Dalla lezione è emersa la necessità di un rinnovato impegno nella società dei cattolici, e dei giovani cattolici in primis. Si è trattato di un invito particolarmente consono alla missione di un’Università come la Cattolica, che nonostante le grandi trasformazioni nell’ambito dell’istruzione, intende mantenersi fedele alla propria natura di Ateneo popolare che ambisce a formare la futura classe dirigente. Nella lezione di Mons. Toso traspare la fiducia che, all’interno di processi apparentemente inarrestabili, tali da sfociare in scenari preoccupanti, l’azione degli uomini di buona volontà – e ovviamente soprattutto dei credenti – abbia ancora spazio e potenzialità di incidere per il cambiamento, per il miglioramento, e per la pace.
Farà senz’altro piacere ai suoi fedeli diocesani sapere che il Vescovo ha iniziato il suo intervento con un ricordo toccante dell’alluvione in Romagna dello scorso maggio, e in particolare dei disastri vissuti a Faenza. Nel parlare di questa vicenda, di cui la vostra comunità sta ancora vivendo le conseguenze anche a causa di lungaggini burocratiche che non facilitano la ricostruzione, la mestizia del ricordo per quanto accaduto è stata però venata di speranza per il futuro delle vostre comunità, specialmente quando ha parlato della grande forza dimostrata dai giovani. Proprio quei giovani che spesso sono sottovalutati o screditati, ma che invece in quella tragedia hanno dimostrato grande slancio, attivismo e solidarietà. Mi sento di dire che, a sessant’anni dalla Pacem in Terris, lo spirito dell’enciclica viva e operi anche attraverso di loro; a noi adulti l’arduo ma appagante compito di guidarli.
Mireno Berrettini