Cari fratelli e sorelle,
la festa per la nostra Patrona, la Vergine delle Grazie, quest’anno è inserita nella celebrazione dell’Ascensione del Signore. Questa coincidenza ci permette di approfondire un grande mistero della nostra fede. Come abbiamo ascoltato «il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio».
Fratelli e sorelle, non è indifferente per noi che il nostro Signore sia già con il suo corpo «alla destra di Dio». Agostino, quasi parafrasando la lettera di S. Paolo agli Efesini che abbiamo ascoltato come seconda lettura, scrive: «Discese nel mondo la nostra Vita, la Vita vera, si prese sulle sue spalle la nostra morte e l’uccise con la sovrabbondanza della sua vita. […] È asceso. Si è allontanato dagli occhi affinché tornassimo al cuore,dove trovarlo.Non volle rimanere a lungo con noi in modo visibile. Ma non ci ha lasciati» (Confessioni, IV, 12, 19). Vive in noi, dentro di noi, nella nostra storia.
Si è allontano, dunque, dagli occhi affinché tornassimo al cuore, dove trovarlo. Ecco il significato profondo di questa festa: gli occhi del corpo non bastano per vedere e capire Gesù Cristo, morto e risorto. Abbiamo bisogno degli occhi del cuore, abbiamo bisogno della fede, dell’esperienza viva e reale della presenza del Signore in cielo e in terra, in ogni nostra attività, in ogni situazione di vita e di morte.
Lui non ci abbandona. Il Signore è asceso perché vuole indicarci a cosa siamo chiamati: ad una vita trasfigurata. Siamo chiamati ad una vita nuova, una vita piena di carità, di opere buone, di relazioni autentiche. Non siamo chiamati ad appiattirci su noi stessi, a ridurre i nostri orizzonti a ciò che possiamo vedere con gli occhi del corpo. Siamo chiamati ad allargare l’orizzonte del nostro sguardo, a sollevare lo sguardo. «Si è allontanato dagli occhi affinché tornassimo al cuore, dove trovarlo».
Con questa intima urgenza spirituale non possiamo guardare alla consegna dei ceri dei vari rioni come ad una manifestazione meramente folkloristica del Niballo. Non siamo qui in costumi belli, per fare una semplice rievocazione del passato. Questa Messa ci sollecita a guardare più in profondità.
Prendiamo il simbolo dei ceri. Si tratta di ceri che evocano il cero pasquale, il cero che arde dalla notte di Pasqua per tutto il Tempo Pasquale. I ceri che i rioni consegneranno sono simbolo di Colui che ha accettato di morire ed è risorto. I ceri vengono, allora, offerti alla Madonna, perché sono uno dei simboli più alti della nostra fede: rappresentano il Signore che, accettando il sacrificio della Croce, ha vinto la morte con la sua risurrezione, divenendo luce per noi. Sono un simbolo di tutti noi co-morti e co-risorti con Cristo. Offriamo i ceri perché anche noi ci possiamo ricordare che nella vita se non accettiamo di vivere per gli altri, se non accettiamo di essere consumati dall’amore vero, non potremo mai splendere e illuminare il mondo.
Con il dono dei vostri ceri, cari rappresentanti dei rioni, volete innanzitutto esprimere il vostro ringraziamento alla Vergine delle Grazie perché non ci ha abbandonati durante tutte le difficoltà che hanno colpito la nostra terra. Mai è mancata la speranza, mai è mancato l’aiuto concreto da parte di tante persone generose.
In secondo luogo, con l’offerta dei ceri volete anche dire che desiderate proseguire la rinascita, ormai avviata, per edificare una città sempre più bella e giusta, una città che sappia riconoscere nel valore delle relazioni solidali la sua forza. «Possiamo rialzarci solo insieme», fin da subito è stato detto. È questa la strada che dobbiamo percorrere per costruire un futuro migliore.
Che la vita di ciascuno di voi, dei vostri rioni, rigenerati spiritualmente e moralmente dopo le grandi prove, sappia ritornare al cuore delle cose, dove è sempre sperimentabile la presenza unica del Signore, dove sempre si lascia trovare.
+ Mario Toso