La cultura della cura come percorso di pace: il commento del vescovo Mario

Il Messaggio per la Giornata mondiale della Pace (=MGMP) del 2021, avente per titolo La cultura della cura come percorso di pace,[1] appare strettamente congiunto con la lettera enciclica Fratelli tutti,[2] oltre che con la crisi sanitaria provocata dal Covid-19. Poiché tutti siamo fratelli, poiché tutto è connesso, come anche ci ha mostrato la pandemia che ha colpito la famiglia umana con già più di 80 milioni di contagiati, siamo chiamati a prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fraternità (cf MGMP 2021, 1).

Detto altrimenti, papa Francesco ci sollecita a riflettere insieme sul mondo malato e sul modo di guarirlo. Il coronavirus non è l’unica malattia da combattere. La pandemia ha portato alla luce patologie sociali più ampie, ossia altri virus: «una visione distorta della persona che ignora la sua dignità e il suo carattere relazionale; l’ingiustizia sociale, la diseguaglianza di opportunità, la mancanza della protezione dei più deboli».[3] La crisi sanitaria da Covid-19 si è trasformata in un fenomeno multisettoriale e globale, «aggravando crisi tra loro fortemente interrelate, come quella climatica, alimentare, economica e migratoria, e provocando pesanti sofferenze e disagi» (MGMP 2021, 1).

Quale strada imboccare per risolvere una crisi multipla?

Per quanto già accennato, per uscire dalla stessa pandemia, occorre trovare una cura non solamente per il coronavirus – che è importante! – ma anche per i grandi virus umani e socioeconomici.

Per papa Francesco non si tratta di ritornare alla cosiddetta «normalità», che è una normalità ammalata. Infatti la normalità prima della pandemia era malata di ingiustizia, diseguaglianze e degrado ambientale. Una tale normalità, peraltro, perdura tuttora. Soprattutto non ci si può aspettare che il modello economico che è alla base di uno sviluppo iniquo e insostenibile risolva i nostri problemi. «Non l’ha fatto e non lo farà, perché non può farlo, anche se certi falsi profeti continuano a promettere la “ricaduta favorevole” che non arriva mai».[4] Per cambiare le cose nessuno deve fare il finto tonto guardando da un’altra parte. Ciò che consentirà di uscire dalla crisi, che è multidimensionale, è il darsi, è dare, che non è fare un’elemosina e basta, ma è un darsi che viene dal cuore e si esprime mediante la tenerezza, ossia l’amore di Gesù che si fa Samaritano, si fa prossimo e si prende cura dell’umanità.

Come discepoli di Gesù dobbiamo vivere come il Figlio di Dio che si abbassa, si fa uno di noi per camminare con noi, per guarire, per aiutare, per sacrificarsi per l’altro. È importante che puntiamo alla normalità del Regno di Dio. Il che sollecita a far sì che tutti abbiano il pane, che l’organizzazione sociale si basi sul contribuire, condividere e distribuire, con tenerezza, non sul possedere per possedere, sull’escludere, sull’accumulare all’infinito. In vista di una società fraterna, giusta e pacifica occorre una cultura della cura. La cultura del prendersi cura gli uni degli altri consente di debellare la cultura dell’indifferenza, dello scontro e dello scarto.

Video

Il link al video di presentazione: https://youtu.be/_MYRqVqVp1Q

  1. Cause esemplari della cultura della cura

I punti generativi ed esemplari per i discepoli del Signorenell’acquisizione e nell’assimilazione di una cultura della cura sono:

  1. Dio creatore che origina la nostra vocazione alla cura. Dio che crea l’uomo e la donna li pone nel giardino e affida a loro una vocazione alla cura, implicante custodia e coltivazione dello stesso giardino, vissute come una storia di fratelli. Detto altrimenti, l’impegno della cura da parte dell’umanità dev’essere contrassegnato da fraternità, giustizia, fedeltà nei confronti degli altri e del creato.
  2. Dio creatore quale modello della cura. Dio è modello prendendosi cura dei suoi figli, buoni e cattivi. Lo stesso Caino, che uccide Abele, ottiene dal Creatore un segno di protezione, affinché la sua vita sia salvaguardata (cf Gen 4,15).
  3. Gesù e la cura nel suo ministero. La sua cura avviene mediante la guarigione dei mali fisici e spirituali. Gesù perdona i peccati e dona una vita nuova, una vita d’amore trascendente. Suggella la nostra guarigione e la sua cura per noi, offrendosi sulla croce, liberandoci dalla schiavitù del peccato e della morte, divinizzandoci, guadagnandoci una vita immortale.
  4. La cura dei discepoli di Gesù. Si espresse mediante opere di misericordia corporale e spirituale, mediante la condivisione, affinché nessuno tra i credenti fosse bisognoso (cf At 4, 34-35), mediante offerte volontarie, costruzione di istituti a sollievo dell’umanità sofferente: ospedali, ricoveri per i poveri, orfanatrofi e brefotrofi, ospizi.

 

  1. Grammatica della cura, ovvero i principi della Dottrina sociale della Chiesa

Papa Francesco, in vista del percorso della pace offre a tutti gli uomini di buona volontà la bussolache è la Dottrina sociale della Chiesa (=DSC). Da questa, secondo il pontefice, si può desumere una «grammatica» della cura, sia dal punto di vista culturale e spirituale, sia dal punto di vista dell’azione costruttrice. In tal modo, grazie alla DSC viene dato al processo della globalizzazione l’impulso di una rotta comune, veramente umana e un cuore pulsante che è l’Amore, uno spirito di servizio o diakonia.

La grammatica della cura, desumibile dal prezioso patrimonio di principi, criteri e indicazioni della DSC, viene articolata così da parte di papa Francesco: promozione della dignità di ogni persona umana e dei suoi diritti e doveri, sollecitudine per il bene comune, solidarietà con i poveri e gli indifesi, salvaguardia del creato. Si tratta non di tutti i principidella DSC, bensì di alcuni, ai quali sono strettamente connessi gli altri, che sono: il principio della destinazione universale dei beni, il principio di sussidiarietà, l’opzione preferenziale per i poveri, il pluralismo sociale e religioso.

  1. Il principio della promozione della dignità e dei diritti della persona

Secondo papa Francesco, uno sviluppo pienamente umano per tutti, singoli e popoli, è possibile se si pone al centro della «cura» quel concetto di persona, che è nato e maturato nel cristianesimo. Ossia se si fa propria una cultura personalista, solidale, aperta alla Trascendenza, teocentrica. La persona concepita in termini relazionali, non individualistici e non libertari, come essere trascendente, che si realizza attraverso il dono di sé, afferma l’inclusione, la dignità unica e inviolabile dell’uomo e della donna. Nega lo sfruttamento e l’esclusione. «Ogni persona umana – spiega il pontefice argentino – è un fine in sé stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità, ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità. È da tale dignità che derivano i diritti umani, come pure i doveri, che richiamano ad esempio la responsabilità di accogliere e soccorrere i poveri, i malati, gli emarginati, ogni nostro “prossimo, vicino o lontano nel tempo e nello spazio”».[5] Nella costruzione di un mondo nuovo va, dunque, scartata una visione riduttiva o strumentale della persona, che non può mai essere considerata un mezzo, bensì un fine in Dio. L’umanizzazione della globalizzazione prende forma quando viene assunta un’antropologia relazionale e trascendente, secondo cui l’uomo non è destinato a vivere solo per se stesso, ma è fatto per la comunione con gli altri e con Dio. L’uomo cresce non sulla tomba della comunità, bensì in una comunione comunità, ove persegue la propria crescita con senso di partecipazione e di responsabilità sociale.

  1. Il principio del bene comune

La soluzione alla pandemia e agli altri mali del mondo si troverà quando ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica, ecologica  verrà gestito ed orientato verso il bene comune, avente come punto focale il compimento umano delle persone. Pertanto, i nostri piani e sforzi andranno sempre considerati ponderando le loro conseguenze, positive o negative, sulle condizioni sociali che permettono ai singoli, alle famiglie, ai gruppi di conseguire o no la loro perfezione umana. Il vero bene per ciascuno dipende dalla realizzazione del bene comune, dal bene che è bene di tutti, e non solo dalla realizzazione di beni individuali. Se una persona cerca soltanto il proprio bene è egoista. Invece la persona è più persona, quando consegue il proprio bene rimanendo aperta a tutti, condividendolo. Alla luce di quanto detto, se le soluzioni alla pandemia e ad altri mali sociali portano l’impronta dell’egoismo e dell’utilitarismo, sia esso di persone, imprese o nazioni, non sarà certamente facile uscire dalle crisi umane e sociali che il virus  da Covid-19 ha evidenziato e accentuato. Bisogna stare attenti, allora, a non costruire il mondo nuovo sulla sabbia dell’individualismo e dell’utilitarismo. Una società sana, inclusiva, giusta e pacifica viene costruita poggiando sulla roccia del bene comune. Ogni cittadino è responsabile del bene comune. Pertanto, ognuno deve porsi al servizio del bene comune, ossia dell’«insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente (cf Gaudium et spes, 26).

  1. Il principio della solidarietà

Per guarire il mondo non basta prendere coscienza del fatto che tutto è interconnesso, che tutti siamo interdipendenti e posti su una stessa barca. L’attuale pandemia ha evidenziato la nostra interdipendenza, e cioè che tutti siamo legati, gli uni agli altri, sia nel bene sia nel male. Per uscir fuori dalle varie crisi sociali, in modo da essere migliori, occorre che dalla interdipendenza solidarietà-di-fatto (il proprio bene dipende dagli altri, non ci si può perfezionare senza gli altri, senza la loro crescita) passiamo insieme  alla solidarietà-scelta comune. Occorre che tutti insieme ci scegliamo e ci vogliamo come esseri solidali, come persone che si amano reciprocamente nel contesto del bene comune. Occorre, cioè, collaborare alla crescita di ogni persona e del tutto. Solo così l’altro viene considerato non uno strumento o una cosa, bensì un proprio simile, un aiuto. La solidarietà-scelta non è, dunque, semplice constatazione dell’interdipendenza, della reciproca connessione, è desiderare il bene dell’altro, è amare l’altro non con un sentimento di vaga compassione, bensì «con una determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti» (Sollicitudo rei socialis, 38). La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro – sia come persona sia, in senso lato, come popolo o nazione – non come un dato statistico, o un mezzo da sfruttare e poi scartare quando non più utile, ma come nostro prossimo, compagno di strada, chiamato a partecipare, alla pari di noi, al banchetto della vita a cui tutti sono ugualmente invitati da Dio.

  1. Il principio della salvaguardia del creato

Papa Francesco ci invita a pensare alla salvaguardia del creato non come ad un atto disgiunto dalla cura delle persone, specie dei bisognosi e dei più piccoli. La salvaguardia del creato è possibile quando si ascolta, allo stesso tempo, il grido dei poveri, quando ci si prende cura delle persone, della loro educazione morale, della loro vita, specie se indifesa. Senza la cura di un’ecologia umana non è possibile un’ecologia ambientale. La salvaguardia del creato è questione di ecologia integrale come lo aveva già chiaramente affermato papa Benedetto nella Caritas in veritate al numero 51. Ecco quanto vi si può leggere: «Le modalità con cui l’uomo tratta l’ambiente influiscono sulle modalità con cui tratta se stesso e, viceversa. Ciò richiama la società odierna a rivedere seriamente il suo stile di vita che, in molte parti del mondo, è incline all’edonismo e al consumismo, restando indifferente ai danni che ne derivano. È necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita, “nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti”. Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia civica provoca danni ambientali, così come il degrado ambientale, a sua volta, provoca insoddisfazione nelle relazioni sociali. La natura, specialmente nella nostra epoca, è talmente integrata nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi più una variabile indipendente. La desertificazione e l’impoverimento produttivo di alcune aree agricole sono anche frutto dell’impoverimento delle popolazioni che le abitano e della loro arretratezza. Incentivando lo sviluppo economico e culturale di quelle popolazioni, si tutela anche la natura. Inoltre, quante risorse naturali sono devastate dalle guerre! La pace dei popoli e tra i popoli permetterebbe anche una maggiore salvaguardia della natura. L’accaparramento delle risorse, specialmente dell’acqua, può provocare gravi conflitti tra le popolazioni coinvolte. Un pacifico accordo sull’uso delle risorse può salvaguardare la natura e, contemporaneamente, il benessere delle società interessate». Più avanti si può leggere ancora: «Per salvaguardare la natura non è sufficiente intervenire con incentivi o disincentivi economici e nemmeno basta un’istruzione adeguata. Sono, questi, strumenti importanti, ma il problema decisivo è la complessiva tenuta morale della società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale. È una contraddizione chiedere alle nuove generazioni il rispetto dell’ambiente naturale, quando l’educazione e le leggi non le aiutano a rispettare se stesse. Il libro della natura è uno e indivisibile, sul versante dell’ambiente come sul versante della vita, della sessualità, del matrimonio, della famiglia, delle relazioni sociali, in una parola dello sviluppo umano integrale. I doveri che abbiamo verso l’ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri. Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna, che avvilisce la persona, sconvolge l’ambiente e danneggia la società».

In conclusione, una salvaguardia efficace del creato ha bisogno di un’ecologia integrale come ha spiegato bene papa Francesco nella Laudato sì.

  1. I principi della Dottrina sociale come bussola per le relazioni internazionali, per divenire profeti e testimoni della cultura della cura

In un tempo dominato dalla cultura dello scarto, di fronte all’acuirsi delle disuguaglianze all’interno delle Nazioni e fra di esse, papa Francesco invita i responsabili delle Organizzazioni internazionali e dei Governi, del mondo economico e di quello scientifico, della comunicazione sociale e delle istituzioni educative a prendere in mano la “bussola” dei principi sopra ricordati, per imprimere una rotta comune al processo di globalizzazione, «una rotta veramente umana».

La bussola dei principi della DSC va adoperata nelle relazioni tra le Nazioni, al loro interno, affinché siano ispirate alla fraternità, al rispetto reciproco, alla solidarietà e all’osservanza del diritto internazionale, dei diritti umani che sono inalienabili, universali e indivisibili, del diritto umanitario.[6] Senza l’applicazione di questo diritto molte regioni e comunità smettono di vivere in pace e sicurezza, divengono epicentri di insicurezza. La carestia attecchisce dove un tempo era sconosciuta. Le persone sono costrette a fuggire, lasciando dietro di sé non solo le proprie case, ma anche la storia familiare e le radici culturali.

Senza una cultura della cura, purtroppo, vengono disperse per le armi, specie nucleari, moltissime risorse che potrebbero essere, invece, impiegate per la sicurezza delle persone, delle città e per lo sviluppo umano integrale. Con riferimento a ciò papa Francesco propone la costituzione di un Fondo mondiale con i soldi che si impegnano nelle armi e nelle spese militari, per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri.

  1. A mo’ di conclusione: educare alla cultura della cura

Per poter promuovere una cultura della cura occorre attivare un processo educativo. Al riguardo papa Francesco indica alcuni soggetti che sono naturalmente coinvolti in tale processo: la famiglia, la scuola e l’università, gli operatori e i responsabili della comunicazione sociale, le religioni e i leader religiosi, coloro che sono impegnati al servizio delle popolazioni, nelle organizzazioni internazionali, governative e non governative. Ma si possono aggiungere all’elenco: i politici, i responsabili dell’amministrazione del bene comune, le comunità religiose, come anche le associazioni, le aggregazioni e i movimenti.

In questo contesto ove si parla dei soggetti dell’educazione  alla cultura della cura, il pontefice raccomanda che: a) la famiglia sia messa nelle condizioni per poter adempiere il suo compito; b) le istituzioni educative veicolino un sistema di valori fondato sul riconoscimento della dignità di ogni persona, di ogni comunità linguistica, etnica e religiosa, di ogni popolo e dei diritti fondamentali che ne derivano. Al termine del Messaggio si trova, a mo’ di conclusione, un’utile definizione della cultura della cura, quale via privilegiata per la costruzione della pace. La cultura della cura è un «impegno comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti, quale disposizione ad interessarsi, a prestare attenzione, alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto mutuo e all’accoglienza reciproca» (n. 9).

Non è inutile sottolineare che se per uscire dalla tempesta della crisi e per muoversi in cerca di un orizzonte più sereno e calmo sono indispensabili il «timone» della dignità della persona umana e la «bussola» dei principi della Dottrina sociale della Chiesa, occorre che nelle nostre comunità si riprenda, là ove non fosse praticata, la formazione alla stessa DSC. Non si tratta di comunicare solo definizioni o concetti. Occorre che i principi siano sperimentati e realizzati nei vari ambiti della vita, alla luce della fede, della carità e della speranza.

                                                     + Mario Toso

[1] Francesco, La cultura della cura come percorso di pace. Messaggio per la Celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1° gennaio 2021(8 dicembre 2020) (= MGMP 2021), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020.

[2] Francesco,Fratelli tutti (=FT), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020. Per un primo approccio all’enciclica si veda l’Introduzionedi Antonio Spadaro in Francesco, Fratelli tutti, Marsilio Editori-Libreria Editrice Vaticana, Venezia-Città del Vaticano 2020, pp. 9-47; ma si veda anche la Guida alla letturadi padre Giacomo Costa che si trova  in Francesco, Fratelli tutti, Libreria Editrice Vaticana-ELLEDICI, Città del Vaticano-Torino 2020, pp. 5-26.

[3] Cf Francesco,Catechesi- «Guarire il mondo»: 2. Fede e dignità umana (mercoledì 12 agosto 2020).

[4] Cf Francesco, Evangelii gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, 54, ma anche ID., «Guarire il mondo»: 9. Preparare il futuro insieme a Gesù che salva e guarisce (mercoledì, 30 settembre 2020).

[5] FRANCESCO, La cultura della cura come percorso di pace, p. 9.

[6] È quella parte del diritto bellico volta a tutelare la popolazione civile e inerme (diritto di Ginevra) o a porre limiti all’impiego di mezzi e metodi di guerra (diritto dell’Aia) in situazioni di grave emergenza (in particolare, in caso di conflitto armato).