Tanta partecipazione in Cattedrale a Faenza, martedì 3 gennaio, per la messa in suffragio del papa emerito Benedetto XVI, morto il 31 dicembre scorso a 95 anni. La celebrazione è stata presieduta dal vescovo, monsignor Mario Toso, di cui riportiamo di seguito l’omelia.
L’omelia del vescovo Mario
Cari fratelli e sorelle, siamo qui a pregare per Benedetto XVI, papa emerito, amato e anche osteggiato, non possiamo negarlo: qualcuno l’ha definito martire della Verità. Grande teologo, ma soprattutto testimone esemplare della fede cristiana, di una vita che nasce in Cristo, fiorisce in Lui, con Lui, per Lui.
La sua vita di sacerdote, di studioso, di esperto al Concilio Vaticano II, di vescovo, di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, di pontefice, di papa emerito, si presenta a noi, prima di tutto, come un’esperienza profonda di fede, di amore, di speranza nel Signore Gesù. Benedetto XVI va ricordato anzitutto come maestro provetto di riflessione sapienziale, come catecheta insuperabile nella trasmissione della fede. È emblematica l’affermazione: «La Chiesa non grava gli uomini di un qualcosa, non propone un qualche sistema morale. Veramente decisivo è il fatto che essa dona Lui».[1]
Più si conosce la figura di Benedetto XVI più ci appare evidente che egli è stato un credente in cui viene dato il primato all’esperienza dell’incontro con Cristo rispetto all’essere teologo, studioso, pontefice. In lui si è mostrato a noi un metodo di vita, di essere studiosi, pastori e testimoni, che si potrebbe definire metodo realista della fede.[2] Si tratta di un metodo di conoscenza e di interpretazione, che si struttura a partire dalla radicazione e dalla comunione di vita con Cristo, con il suo amore pieno di verità (cf Caritas in veritate). Un tale metodo di vita cristiana è indicato e proposto nel suo testamento spirituale. Vi è una particolare consonanza tra quanto afferma il suo testamento spirituale e il brano che abbiamo udito, tratto dalla Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi. In questa Lettera paolina i credenti sono sollecitati a rimanere saldi nel Signore, a vivere radicati nella vita trasfigurata che il Risorto ha guadagnato definitivamente per loro (cf Fil. 3, 20-4,1). Nel suo testamento spirituale Benedetto XVI così incoraggia tutti coloro che sono stati affidati al suo servizio: «rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere!». Rimanete vivi in Cristo, che «è veramente via, verità e vita». «La Chiesa, pur con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo». In definitiva, occorre andare al di là delle molteplici riflessioni sull’esperienza originaria che abbiamo della fede in Cristo, dell’incontro con Lui. Occorre andare al di là delle interpretazioni proposte dalle varie scienze bibliche, teologiche, spirituali, per ritornare sempre alla fonte originaria della nostra vita cristiana, che è l’unione con il Cristo reale, intero, ossia col Verbo incarnato, presente nell’umanità e nella storia, asceso al cielo.
Per questa Messa di suffragio abbiamo scelto il Vangelo di Giovanni in quel brano ove si legge: «Dopo che si fu manifestato risorto ai suoi discepoli, quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?” Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”» (Gv 21, 15-19). Gesù chiese a Pietro una seconda volta se l’amava. E Pietro, risponde ancora che gli vuole bene. Lo stesso avvenne per la terza volta. Ma a Pietro che ribadisce di volergli bene, e non giunge a dirgli che lo ama, Gesù non rinuncia di affidargli il compito di pascere le sue pecore e gli chiede di seguirlo: «Seguimi!», gli dice.
Il brano citato del Vangelo di Giovanni è lo stesso che il cardinale Ratzinger commentò alle esequie di Giovanni Paolo II in piazza san Pietro. Pensando, poi, a quanto ci è stato riferito, e cioè che il papa emerito Benedetto XVI, nelle ultime ore della sua vita ha pregato così: «Signore, ti amo», viene spontaneo collegare le sue parole alla domanda che Gesù rivolse a Pietro: «mi ami tu?». Le ultime parole di Benedetto XVI appaiono una risposta alla domanda che Gesù pose a Pietro. Papa Ratzinger, fine intellettuale, teologo mirabile, umile servitore nella vigna del Signore, sembra proprio rispondere alla domanda che Gesù pone a Pietro, con un amore temprato dagli studi, da un lungo servizio alla Santa Sede, dalle sofferenze e dalle responsabilità del popolo di Dio. Mi piace pensare che papa Benedetto abbia avuto, alla conclusione della sua vita terrena, la forza di darci una testimonianza unica, intensa. A Cristo che lo chiama a vivere eternamente con Lui, a 95 anni, risponde, ancora una volta: «Signore, ti amo», cosa che ha certamente fatto altre volte. In tal modo, il papa emerito, in questa sua singolare posizione, dichiara il suo amore al Risorto, sino alla fine. Si era preparato a questo. Più volte ha scritto che egli, ritirato nel monastero Mater Ecclesiae, non viveva e «non si preparava per una fine, ma per un incontro». È sempre il realismo di una fede accolta, vissuta, testimoniata al massimo grado. Che papa Benedetto – che osiamo sperare già nella casa del Padre -, ci benedica! Ci aiuti ad amare la Chiesa come lui l’ha amata. Quella Chiesa che, come gli ha insegnato il teologo Romano Guardini, non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente lungo il corso del tempo, in divenire. Nella sua natura rimane sempre la stessa. Il suo cuore è Cristo. È corpo vivo, animato dallo Spirito. Vive realmente dalla forza di Dio. Essa è nel mondo, ma non è del mondo: è di Dio, di Cristo, dello Spirito. La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime che, come la Vergine Maria, accolgono la Parola di Dio e la concepiscono per opera dello Spirito santo; offrono a Dio la propria carne e, proprio nella loro povertà e umiltà, diventano capaci di generare Cristo oggi nel mondo. Attraverso la Chiesa, il Mistero dell’incarnazione rimane presente per sempre.[3] Grazie, papa Benedetto, che ci hai insegnato ad amare Cristo e la sua Chiesa con umiltà, con dolcezza, nella ragionevolezza della fede: ossia con una fede sostenuta dalla ragione e una ragione illuminata dalla fede. Noi preghiamo per te, ma tu prega per noi.
+ Mario Toso
[1] Benedetto xvi, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi, Una conversazione con Peter Seewald, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010.
[2] Su questo si veda M. Toso, Il realismo dell’amore di Cristo. La Caritas in veritate: prospettive pastorali e impegno del laicato, Edizioni Studium, Roma 2010.
[3] Cf Saluto di congedo del santo Padre Benedetto XVI agli Eminentissimi Cardinali presenti in Roma (28 febbraio 2013).