Spiegata per sommi capi l’origine del culto della Madonna del Fuoco a Glorie, va sottolineato che tale culto è dovuto, così narra la tradizione, all’opera di laici. Non so se interpreto bene. Forse bisognerebbe approfondire di più questo aspetto. Ma leggendo l’origine del culto della Madonna del Fuoco a Glorie mi è venuta in mente l’origine del cristianesimo nella Corea. Ebbene, nella Corea, il cristianesimo si impiantò in maniera singolare per opera dei laici, prima ancora che dei sacerdoti: alla fine del XVIII secolo. Alcuni eruditi coreani entrarono in contatto con i testi biblici in cinese portati nel loro paese da alcuni missionari occidentali ed iniziarono a studiare autonomamente la dottrina cattolica, senza l’aiuto di presbiteri.
Nel 1784 uno di loro, Lee Seung Hun, fu inviato a Pechino per essere battezzato dai missionari cattolici. Tornato in patria battezzò gli altri membri del suo gruppo, dando vita così alla Chiesa coreana senza alcun apporto esterno, in particolare senza l’apporto di sacerdoti che arrivarono solo più tardi. Nell’Ottocento la neonata Chiesa fu colpita dalle persecuzioni. Nel 1866 i cristiani coreani subirono il martirio più doloroso della loro storia: più di diecimila fedeli furono massacrati, la metà di tutti quelli esistenti nel Paese.
Perché vi ho parlato dei martiri coreani? Quello che desidero dirvi è che la fede cristiana nella storia della Chiesa, in Corea o in altre Nazioni, non è solo promossa da missionari sacerdoti, da suore, ma anche da fedeli laici. Il fatto che qui a Glorie il culto alla Madre di Dio si sia diffuso specie per opera dei braccianti forlivesi è senz’altro istruttivo per questa comunità che non gode più della presenza stanziale di un parroco. Indica quella via di educazione alla fede che non deve, specie oggi, andare perduta, quando le vocazioni sacerdotali e religiose diminuiscono e il proprio parroco, don Marco, deve accompagnare tre comunità. La diffusione della fede, l’educazione cristiana, non sono solo compito dei sacerdoti o delle donne, delle mamme, ma anche dei papà. In un contesto sociale e culturale che, come il nostro, è sempre più povero di senso del trascendente e del senso di appartenenza alla comunità cristiana e alla sua missione, l’esempio dei braccianti forlivesi arrivati sin qui, con le loro famiglie, è particolarmente importante. Chi veniva da Forlì o dai dintorni portava con sé non solo la vita e il lavoro, la famiglia, ma anche la fede, l’attaccamento alla Madre, la Madonna del Fuoco.
Se guardiamo bene, nell’immagine venerata in questa chiesa, Maria porta in braccio Gesù Bambino, Via, Verità e Vita. In questa domenica celebriamo la 41.a Giornata nazionale per la vita. Come dalle mani della Madonna accogliamo Gesù Bambino, che è la Vita, così accogliamo, serviamo, promuoviamo la vita umana. Custodiamo la dimora della vita, che è la terra, come hanno fatto i braccianti forlivesi, che sono venuti in questa zona per bonificarne il territorio. Per avere futuro, sia come comunità ecclesiale sia come comunità civile, siamo chiamati all’accoglienza di Gesù Cristo e della vita umana. Questa va accolta in maniera aperta, prima e dopo la nascita, in ogni condizione e circostanza in cui essa è debole, minacciata e bisognosa dell’essenziale. La difesa di chi non è ancora nato deve essere chiara, ferma e appassionata, perché è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra. Lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Gesù Cristo, che si è fatto carne, uno di noi, ci aiuti a capire il valore immenso di ogni persona, che non è solo un essere umano, bensì anche figlio, figlia di Dio. La Giornata per la vita ci veda impegnati nell’accoglierla, nel promuoverla, convincendoci che il miglior ambiente del suo fiorire è la famiglia. Impegniamoci anche nel consolidare la scuola materna, luogo in cui la vita è coltivata con un’educazione completa, che irrobustisce la pianticella della fede.
Buona festa a tutti!
+ Mario Toso
vescovo