Autorità civili, cari fratelli e sorelle, in questa santa Messa, festeggiamo san Sebastiano, patrono del vostro comune di Solarolo, ma venerato anche in alcune parrocchie limitrofe, appartenenti alla Diocesi di Imola.
Sappiamo che egli era un alto e stimatissimo ufficiale della guardia pretoriana di Diocleziano e Massimiano. E anche che, a loro insaputa, era cristiano. Si avvaleva della sua carica nella guardia del corpo imperiale per recare conforto ai fratelli perseguitati, rinsaldando la loro testimonianza di fede, fino all’accettazione del martirio. Come narra la sua Passio, un giorno due giovani cristiani, Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino, furono arrestati su ordine del prefetto Cromazio. Il padre fece appello a una dilazione di trenta giorni per il processo, per convincere i figli a desistere e a sottrarsi alla condanna sacrificando agli dei. I fratelli erano ormai sul punto di cedere quando Sebastiano fece loro visita, persuadendoli a perseverare nella loro fede e a superare eroicamente la morte. Mentre dialogava con loro, il suo viso fu irradiato da una luce miracolosa che lasciò esterrefatti i presenti, tra cui Zoe, la moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, muta da sei anni. La donna si prostrò ai piedi del tribuno il quale, invocando la grazia divina, le pose le proprie mani sulle labbra e fece un segno di croce, ridonandole la voce.
Il prodigio di Sebastiano portò alla conversione un nutrito numero di presenti: Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio, il prefetto romano Cromazio e suo figlio Tiburzio. Cromazio rinunciò alla propria carica di prefetto e si ritirò con altri cristiani convertiti in una sua villa in Campania. Quando Diocleziano, che aveva in profondo odio i fedeli a Cristo, scoprì che Sebastiano era cristiano, esclamò: «Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me». Diocleziano aveva un’errata concezione della sua autorità. Riteneva che l’imperatore fosse Dio e che al di fuori di lui non ci fosse nessun altra autorità. L’insegnamento di Gesù Cristo che bisogna dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare non era ancora penetrato nella cultura romana. Sebastiano fu quindi da lui condannato a morire per mano degli arcieri in mezzo al Campo di Marte. Il suo corpo, trafitto dalle frecce, venne abbandonato, ma caso volle che non fosse stato colpito a morte. Pochi giorni dopo, Sebastiano si presentò dinanzi all’imperatore, rimproverandolo per il grande male che causava perseguitando i cristiani. L’imperatore diede ordine di frustarlo, sino a farlo morire. Il corpo venne poi gettato in una cloaca, onde evitare che divenisse oggetto di venerazione da parte dei cristiani.
Dalla sua vita e, in particolare, dalla narrazione del suo martirio, ricaviamo che Sebastiano stimò Gesù Cristo al di sopra di ogni autorità terrena, al di sopra di ogni onore civile o militare. L’esempio di san Sebastiano che aiuta i propri fratelli di fede alla fedeltà a Cristo, a non abiurare, ci fa pensare alla nostra vocazione e al nostro attaccamento a Lui.
Ancora oggi abbiamo bisogno di persone che sappiano fare la scelta radicale di Gesù Cristo, divenendo suoi annunciatori e testimoni credibili, sia in mezzo alla gente sia nelle istituzioni.
Il cammino sinodale che stiamo vivendo nella nostra Diocesi, in un momento di calo di presenze e di senso di appartenenza, ha come obiettivo quello di interrogarci: sia su come oggi stiamo camminando con Gesù e con i fratelli per annunciarlo; sia su cosa siamo chiamati a fare domani, tutti insieme, per crescere nel cammino con Gesù e con i fratelli per annunciarlo. Siamo comunità stanche, sedute e, quindi, statiche? Siamo, invece, come le prime comunità, ossia comunità missionarie, capaci di generare nuovi credenti, credibili perché autentici?
Per il cristiano autentico, Gesù Cristo non può venire in secondo ordine, assegnando il primato al successo, al potere, agli onori, al consenso, alle direttive di una opinione gridata e martellante che contrasta la libertà di coscienza, la vita nascente, la famiglia, l’ecologia integrale, il bene di tutti. È contradditorio dirsi cristiani e, nel contempo, coltivare la separazione tra fede e vita, professando in chiesa il Vangelo e rinnegandolo con il nostro comportamento appena usciti dalla porta. Occorre essere cristiani a tempo pieno, con tutta la propria persona. Occorre essere cattolici integrali, diceva Antonio Zucchini, sindaco di Faenza nei primi anni del Novecento. Tra fede e vita dev’esserci unità. Altrimenti la nostra persona rischia di essere dissociata, schizofrenica. La testimonianza dei santi, come san Sebastiano, ci dice che Gesù Cristo unifica la nostra vita. La sua presenza nelle coscienze crea una rivoluzione spirituale e morale, trasformando l’azione, le scale dei valori. Secondo il suo insegnamento, Chiesa e società civili sono chiamate entrambi, con le proprie specificità e nella diversità dell’apporto, al servizio dell’uomo, per il suo sviluppo integrale.
Seppure in mezzo a vari ostacoli e contrasti, la presenza di Gesù Cristo in noi, specie con il suo Spirito d’amore, ci fa sperare in una nuova primavera. Con Lui è possibile vincere l’egoismo, il peccato, l’odio, la violenza. Si rinnova in noi il gusto del bene, l’amore per l’altro, riconosciuto come nostro fratello o sorella. Cresce l’unità, la condivisione della verità, senza la quale è impossibile essere liberi.
Partecipando a questa Eucaristia, celebrata in onore di san Sebastiano, patrono del comune di Solarolo, rinnoviamo la nostra professione di fede in Cristo, Via, Verità e Vita, nostro cibo nel cammino quotidiano.
+ Mario Toso