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Il 12 febbraio la Giornata del Malato, Messa in ospedale con il vescovo Mario

 

Il messaggio di papa Francesco

La celebrazione della Giornata mondiale del malato (11 febbraio, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes), è momento propizio per riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono, sia nei luoghi deputati alla cura sia in seno alle famiglie e alle comunità.
Nel suo messaggio per questa giornata papa Francesco ricorda che: «La malattia fa parte della nostra esperienza umana. Ma essa può diventare disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. Quando si cammina insieme, è normale che qualcuno si senta male, debba fermarsi per la stanchezza o per qualche incidente di percorso. È lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando: se è veramente un camminare insieme, o se si sta sulla stessa strada ma ciascuno per conto proprio, badando ai propri interessi e lasciando che gli altri si arrangino».
Il Papa prosegue riferendosi al Libro del profeta Ezechiele (34,15-16): «L’esperienza dello smarrimento, della malattia e della debolezza fanno naturalmente parte del nostro cammino: non ci escludono dal popolo di Dio, anzi, ci portano al centro dell’attenzione del Signore, che è Padre e non vuole perdere per strada nemmeno uno dei suoi figli. Si tratta dunque di imparare da Lui, per essere davvero una comunità che cammina insieme, capace di non lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto».
Ed ancora, «L’enciclica Fratelli tutti ... propone una lettura attualizzata della parabola del Buon Samaritano. L’ho scelta come cardine, come punto di svolta, per poter uscire dalle “ombre di un mondo chiuso” e “pensare e generare un mondo aperto” (cfr n. 56). … La persona malmenata e derubata, abbandonata lungo la strada, rappresenta la condizione in cui sono lasciati troppi nostri fratelli e sorelle nel momento in cui hanno più bisogno di aiuto. …Ogni sofferenza si realizza in una “cultura” e fra le sue contraddizioni.
Ciò che qui importa, però, è riconoscere la condizione di solitudine, di abbandono. Si tratta di un’atrocità che può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché – come racconta la parabola – a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione.
…Fratelli, sorelle, non siamo mai pronti per la malattia. E spesso nemmeno per ammettere l’avanzare dell’età. … Fatichiamo infatti a rimanere in pace con Dio, quando si rovina il rapporto con gli altri e con noi stessi. Ecco perché è così importante, anche riguardo alla malattia, che la Chiesa intera si misuri con l’esempio evangelico del buon samaritano, per diventare un valido “ospedale da campo”: …Tutti siamo fragili e vulnerabili; tutti abbiamo bisogno di quell’attenzione compassionevole che sa fermarsi, avvicinarsi, curare e sollevare. La condizione degli infermi è quindi un appello che interrompe l’indifferenza e frena il passo di chi avanza come se non avesse sorelle e fratelli.
La Giornata mondiale del malato, in effetti, non invita soltanto alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti; essa, nello stesso tempo, mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. … La conclusione della parabola del Buon Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cfr Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro di operatori sanitari e sociali, all’impegno di familiari e volontari grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male».
Il Papa cita gli anni della pandemia: «Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti» augurandosi che sorgano «le strategie e le risorse perché a ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute.
Abbi cura di lui (Lc 10,35) è la raccomandazione del Samaritano all’albergatore … e alla fine ci esorta: Va’ e anche tu fa’ così. Come ho sottolineato in Fratelli tutti, la parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune» (n. 67). Infatti, siamo stati fatti per la pienezza che si raggiunge solo nell’amore. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile (n. 68)».
Volgendosi al Santuario di Lourdes come a una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità conclude «… le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare.
All’intercessione di Maria, salute degli infermi, affido ognuno di voi, che siete malati; voi che ve ne prendete cura in famiglia, con il lavoro, la ricerca e il volontariato; e voi che vi impegnate a tessere legami personali, ecclesiali e civili di fraternità.
A tutti invio di cuore la mia benedizione apostolica».

papa Francesco

Qualche suggerimento

– Curare le significative celebrazioni e le belle iniziative già presenti nelle comunità parrocchiali per sensibilizzare a farsi carico di persone disabili, sofferenti e malate.
– Valutare l’opportunità di qualche iniziativa informativa/formativa su questioni etiche di attualità o situazioni “critiche” che mettono maggiormente a repentaglio la salute.
– Monitorare la presenza di malati, in particolare cronici, diversamente abili o altro, presenti nel territorio.
– Curare e sostenere la presenza dei Ministri straordinari dell’Eucaristia, dei Ministri della consolazione e di ‘gruppi di sostegno’ per famiglie in difficoltà.


Pastorale della Disabilità: scarica le preghiere in CAA

In occasione del Natale la Pastorale della Disabilità della Diocesi di Faenza-Modigliana propone tre preghiere in CAA (Comunicazione aumentativa alternativa) per dare a tutti la possibilità di imparare le preghiere assieme. I testi dell’Ave Maria, Padre Nostro Gloria sono inoltre proposte in dialetto romagnolo. La Comunicazione Aumentativa Alternativa  è un approccio dai vari volti, ma dallo scopo univoco di offrire alle persone con bisogni comunicativi complessi la possibilità di comunicare tramite canali che si affiancano a quello orale.

Ave Maria

Padre Nostro

Gloria


Il Vangelo di Betania


Vangelo di Luca

Lc 10, 38-42

 

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno . Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”.

 

 

 

Un approfondimento: → Lectio di don Maurizio Marcheselli


Catechesi

→ Sintesi diocesana: p. 19-20   

La catechesi è un’esperienza molte volte positiva, soprattutto nell’età giovanile, ma poi è altro che porta le persone a divenire parte viva della Chiesa. I contenuti della catechesi non sono stati centrali per la vita di fede. Anche la famiglia molte volte è in crisi nel trasmettere valori autentici. È necessario trovare uno stile della catechesi che sia diverso da quello scolastico, rivedendo i modi, i tempi, le età che ora sono legati alla ciclicità scolastica e al puro formalismo di convenzione. Serve uscire dal concetto di dottrina e passare al concetto di vita.

Si percepisce che serve un cambiamento dei percorsi di iniziazione cristiana.

Non sono sufficienti educatori entusiasti e giovanili, ma servono persone formate e coscienti del loro servizio, dando più importanza al ruolo degli adulti e dei genitori.

Coinvolgere le famiglie stesse, tutte insieme, in una forma di catechesi più integrale e meno frammentata nelle fasce di età: gli anziani hanno la missione di trasmettere la fede ai giovani.

Mentre si chiede di riscoprire il catecumenato degli adulti, si pensa di “spostare” i sacramenti ad un’età più matura,ritardando l’età dei candidati, e di celebrarli quando se ne fa richiesta, sviluppando un percorso di adesione e scelta personale piuttosto che il percorso classico per classi di età.

→ Parola di Dio: Gv 1, 35-39   

Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”.  E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.  Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro -, dove dimori?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.

 

→ Domande per aiutare la narrazione   

Quali esperienze sono in grado di accompagnare le persone nel cammino di fede?

Di chi è il compito di accompagnare nella fede?

Quali esperienze di catechesi non ci sembra facciano crescere le persone nell’incontro con il Signore?

Conosci esperienze significative di coinvolgimento nei percorsi di catechesi degli adulti?

Quali gesti, abitudini, buone pratiche bisognerebbe intraprendere per accompagnare nel cammino di fede?

Che cosa è essenziale e che cosa è secondario?

Cosa lo Spirito ci sta chiedendo di rinnovare nei percorsi di catechesi? 

Frammentazione

→ Sintesi diocesana: p. 12-14   

Le persone si sentono distanti le une dalle altre e fanno esperienza di una Chiesa frammentata. In tanti gruppi sono emerse la fatica e lo sconforto: molti non si sentono in cammino con i fratelli. Spesso la mancanza di coinvolgimento e di una partecipazione condivisa, l’abitudine, fanno sì che i luoghi e i servizi siano delegati solo a poche persone, quasi sempre le stesse.

Emerge che la maggior parte dei gruppi è autoreferenziale e con un orizzonte ristretto: questa chiusura su sé stessi, sul gruppo, nella vita consacrata, nell’associazione, nella parrocchia, non porta a sentirsi parte di un unico cammino.

La Chiesa rischia di essere una ONG (una Pro-Loco) che gestisce servizi o una Chiesa distante, divisa in piccole realtà, comunque una Chiesa che non sa entrare in relazione con la vita reale ed intercettare l’uomo di oggi.

Si fa esperienza di ambiti della vita in cui non c’è nulla della Chiesa perché là non c’è la presenza di uomini e donne di fede. Mancano le occasioni di incontro alle quali partecipare, per mancanza di adulti disposti a prendersi cura dei ragazzi e soprattutto dei disabili.

 

→ Parola di Dio: At 2, 1-17.21  

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo.  Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua.

 

→ Domande per aiutare la narrazione   

Ci sono fatiche particolari di cui facciamo esperienza e in quali ambiti ecclesiali?

Quale cambiamento renderebbe meno faticoso il nostro impegno?

Riusciamo ad avere uno sguardo fuori dal nostro gruppo/comunità? Siamo “in uscita”? Cerchiamo di essere aperti all’altro, di coinvolgere e di avere uno stile sinodale nel vivere la Chiesa e i vari servizi?

In quali spazi/tempi facciamo esperienza di un’abitudine, di un “si è sempre fatto così”?

La nostra attuale esperienza è di gruppi chiusi e autoreferenziali?

C’è qualcuno che non è presente che stiamo dimenticando, che è fuori dal nostro gruppo (es. i poveri, gli ultimi)?

Chi chiede cura e attenzione da parte nostra e della comunità cristiana?

CI prendiamo cura gli uni degli altri? Qualcuno sta aspettando il nostro invito, la nostra accoglienza, il nostro servizio?

Cosa comporterà per noi e per la Ciesa assumere queste attenzioni?

Ci sono luoghi in cui la Chiesa non è presente non riuscendo ad intercettare l’uomo di oggi?

Nei nostri gruppi/comunità riusciamo a vivere le diversità e i conflitti aprendoci al confronto?

Riusciamo a vivere come comunità le decisioni, le scelte, le attività? Ciò che facciamo è condiviso o è solo di qualcuno?

Quali occasioni abbiamo per esprimere la misericordia della Chiesa?

Ricordiamo situazioni riuscite di integrazione delle diversità?

Cosa pensiamo ci stia suggerendo lo Spirito?

Relazioni

→ Sintesi diocesana: p. 11-12   

Questo cammino sinodale ha permesso alle persone di essere cercate e di andare a cercare, di essere ascoltate e di ascoltare. Con il servizio e l’impegno, la fatica e il tempo dei moderatori e dei segretari, si è fatta esperienza di qualcuno che “mi è venuto a cercare”, sia come battezzato sia come persona lontana, di qualcuno che “ha preso l’iniziativa” e “si è interessato a me”. Le persone si sono sentite prese in considerazione, ascoltate, messe al centro e coinvolte con provocazioni originali.

Vedersi, incontrarsi e sentirsi non giudicati ma ascoltati e basta: questa accoglienza è uno stile che piace. Si chiede che diventi lo stile proprio della Chiesa.

Si è sentita la Chiesa come luogo in cui vivere questa doppia dinamica: finalmente la Chiesa mi chiede come sto”, “mi viene a cercare”, “si interessa a me”, “ha cura di me”. Allo stesso tempo la Chiesa mi fa sentire che non sono solo”, ma che posso vivere come fratello in una grande famiglia.

Si sente la paura della solitudine e il grande desiderio di non rimanere soli.

 

→ Parola di Dio: Gv 13, 31-35  

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.

 

→ Domande per aiutare la narrazione   

Siamo aperti all’ascolto dell’altro?

Come viviamo le relazioni all’interno della nostra comunità/gruppo? Chi prende l’iniziativa verso l’altro?

Quando abbiamo sentito di essere ascoltati e presi sul serio nella Chiesa?

Quando siamo stati in grado di tessere relazioni personali e comunitarie significative? Come ci siamo messi in gioco?

Quali attenzioni, abilità, stili ci piacerebbe adottare?

Il nostro consiglio pastorale/affari economici è luogo di ascolto e di discernimento sinodale?

Quali funzioni e impegni sono davvero necessari all’evangelizzazione e quali sono solo volti a conservare le strutture?

Quali delle nostre strutture si potrebbero snellire per servire meglio l’annuncio del Vangelo?

Che cosa chiedono gli uomini e le donne del nostro tempo per sentirsi “a casa” nella Chiesa? Proviamo a ipotizzare.

Quali passi siamo disposti a fare per essere comunità cristiane aperte, accoglienti e capaci di avere cura dell’altro?

Che consapevolezza abbiamo di essere Diocesi, Chiesa di Faenza-Modigliana?

Che cos’è che aiuta a vivere l’esperienza cristiana nelle case e cosa servirebbe per essere aiutati a viverla meglio?

Esistono esperienze ospitali positive per bambini, ragazzi, disabili, giovani, anziani e famiglie (ad es. l’oratorio)?


Ecologia integrale, il cambiamento parte dall’Eucaristia. Concluso Creattivo: le parole del vescovo Mario

Un cambio di stile che trova le sue radici nell’Eucaristia. Così si è concluso il 31 luglio scorso, con la Messa celebrata dall’arcivescovo Lorenzo e dal vescovo di Faenza-Modigliana Mario Toso a Santa Teresa, Creattivo, il camp per giovani sui temi della sostenibilità e dei nuovi stili di vita organizzato dalla Caritas e dalla Pastorale Sociale e del Lavoro assieme a tante realtà del territorio. Una quindicina di giovani (e altrettanti dell’organizzazione) per 4 giorni hanno riflettuto, condiviso esperienze, giocato, esplorato best practices del territorio, pensato e progettato un’attenzione al Creato e alla casa comune che certamente avevano già dentro che che non può che essere cresciuta in questi giorni.

Una piccola luce per la nostra diocesi e per il territorio, così l’ha definita il diacono Luciano di Buò al termine della Messa, “che abbiamo acceso e che vorremmo far crescere”, anzitutto a partire dalla Giornata del creato, in programma il 23 settembre.

Ma le radici di questo cambiamento, come ha sottolineato monsignor Mario Toso nell’omelia, stanno appunto nell’Eucaristia: “se siamo risorti con Cristo, ci siamo svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e abbiamo rivestito l’uomo nuovo”. Un passo da fare ogni giorno, alla luce della Parola e della Messa.

Pubblichiamo di seguito il testo integrale dell’omelia del vescovo Mario Toso a conclusione della prima edizione di Creattivo

Cara Eccellenza, sig. arcivescovo Lorenzo Ghizzoni, caro diacono Luciano di Buò, cari fratelli e sorelle, cari giovani partecipanti al CreAttivo. Nuovi stili per il Creato, in questi giorni abbiamo riflettuto sull’urgenza del cambio dei nostri stili di vita per assumerne di nuovi – san Paolo nella lettera ai Colossesi ci ha ricordato che, se siamo risorti con Cristo, ci siamo svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e abbiamo rivestito l’uomo nuovo (cf Col 3,1-5.9-11). Abbiamo riflettuto anche sulla necessaria intensificazione delle buone pratiche in vista dell’obiettivo di coltivare il creato e di rimediare ai danni subiti dalla nostra casa comune.

Celebrando l’Eucaristia non ci poniamo ai margini del grande impegno personale e comunitario richiestoci dall’ecologia integrale. Ci collochiamo al centro della sua scaturigine. Infatti, il memoriale dell’incarnazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, è per noi il «luogo» ove partecipiamo più intensamente alla «nuova creazione», iniziata da Cristo con la sua incarnazione. Vivendo il mistero della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo, di cui facciamo memoria nell’Eucaristia, ci uniamo alla grande opera della creazione continua che il Risorto compie nella storia dell’umanità e dell’universo. L’Eucaristia è il centro della rigenerazione del creato ferito e dilapidato. È causa della sua rinascita, come della rigenerazione dell’uomo.

Nell’Eucarestia, ove Cristo si dona totalmente per amore del Padre e dell’uomo, ponendoci in comunione con Dio e tra di noi, ci autotrascendiamo, superiamo i nostri individualismi egoistici, infrangiamo l’isolamento delle nostre coscienze e la loro autoreferenzialità. Veniamo aperti, attraverso la comunione con Dio Trinità, alla condivisione, alla cura per gli altri e per l’ambiente. La coscienza di essere uniti all’opera di rinnovamento di Cristo si traduce in nuove relazioni ed abitudini, in nuove scelte e stili di vita, in una rete mondiale di popoli e movimenti ecologici. Risveglia una nuova riverenza per la vita, per la risolutezza nel raggiungere la sostenibilità, per l’accelerazione della lotta per la giustizia e la pace, per la gioiosa celebrazione della vita (cf Laudato sì , n. 207).

Più precisamente, l’Eucaristia ci fa compiere un salto verso il Mistero. E così, dall’immersione in Dio Trinità, sgorga l’etica ecologica – un’etica di condivisione e di responsabilità sociale -, di cui abbiamo urgente bisogno. Non solo ci offre informazioni importanti sul rapporto tra la persona, i popoli e il creato, che è stato dato da Dio a tutti gli uomini, non a pochi. Non solo ci dice, rispetto ad ecologismi immanentisti, l’eccedenza della persona sulla natura, ma ci ricorda anche i legami invisibili di solidarietà che ci uniscono in una sorta di famiglia universale. Inoltre, ci fornisce i mezzi culturali per superare i «miti» della modernità basati sulla ragione strumentale ed utilitarista, su un antropocentrismo piegato verso il consumismo e la tecnocrazia. Ci aiuta a recuperare i diversi livelli dell’equilibrio ecologico: quello interiore con sé stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio.

L’Eucaristia che celebriamo, e che guarisce i nostri occhi avidi, le relazioni che strumentalizzano e devastano il pianeta, ci sospinge verso uno stupore contemplativo, verso una spiritualità che alimenta la passione per la cura del creato. Ci fa vivere una mistica che anima, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria. Sollecita una conversione ecologica, implicante l’assunzione di nuove scelte, di nuovi atteggiamenti e stili di vita, di piccoli gesti di cura reciproca. Incrementa l’amore per la società e il bene comune.

Per l’esperienza cristiana, tutte le relazioni umane, tutte le istituzioni, tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro senso nel Verbo incarnato. E ciò perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona sia l’umano e le relazioni interpersonali e comunitarie, sia la materia e la corporeità. In Cristo incarnato, morto e risorto, si ha il risanamento delle relazioni dell’uomo con Dio, con sé stessi, con gli altri e con il mondo.

Le persone, risanate nel loro essere relazionale e comunitario, contribuiscono al rinnovamento del creato mediante molteplici percorsi ed apporti, quali: il cambio del modello di sviluppo globale (non solo economico e tecnologico), la diversificazione produttiva con minore impatto ambientale, una finanza a servizio dell’ecologia integrale, un’economia circolare (o del riciclaggio), la transizione dalle energie fossili alle energie rinnovabili, politiche relative ai cambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente; movimenti ecologici dal basso, capaci di influenzare la politica in ordine alla riforma delle istituzioni pubbliche, di coordinarle e di dotarle di buone pratiche (cf LS nn. 179-183); movimenti di consumatori e stili di vita che intaccano i profitti delle imprese e le obbligano a produrre in altro modo; cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabili che consentono l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione in eccesso (cf LS n. 179); la conversione, l’educazione e la cittadinanza «ecologiche», implicanti la riduzione del consumo dell’acqua, la differenziazione dei rifiuti, la cura degli altri esseri viventi, il risparmio della luce e dell’energia; in particolare una spiritualità avente il suo perno nella domenica, il “primo giorno” della nuova creazione, la cui primizia è l’umanità risorta del Signore, garanzia della trasfigurazione finale di tutta la realtà creata. Il giorno della domenica annuncia e celebra la festa della vittoria della vita sulla morte, come anche il riposo eterno dell’umanità in Dio. Diffonde la sua luce sull’intera settimana ed incoraggia a fare nostra la cura della natura e dei poveri.

Quanto detto sin qui ha elencato un insieme di scelte, di atteggiamenti e di stili di vita che rappresentano il nostro contributo alla rigenerazione di tutte le cose in Cristo, che san Paolo descrive come un parto (cf Romani 8,22), doloroso, ma necessario, che dà alla luce cieli nuovi e terra nuova. L’Eucaristia che ci fa partecipare alla redenzione integrale di Cristo, una redenzione di tutto l’uomo e di tutto il creato ci ricorda la nostra vocazione di annuncio del Vangelo all’umanità e alla creazione.

Il Vangelo da proclamare è la vita e la persona di Gesù, colui che ha vissuto in pienezza la presenza di Dio in lui come “essere per la vita”, essere dono di sé fino alla fine, fino al compimento, in un amore che neanche la morte può vincere.

+ Mario Toso

 


[gen 20] Omelia – San Sebastiano, patrono di Solarolo

Autorità civili, cari fratelli e sorelle, in questa santa Messa, festeggiamo san Sebastiano, patrono del vostro comune di Solarolo, ma venerato anche in alcune parrocchie limitrofe, appartenenti alla Diocesi di Imola.

Sappiamo che egli era un alto e stimatissimo ufficiale della guardia pretoriana di Diocleziano e Massimiano. E anche che, a loro insaputa, era cristiano. Si avvaleva della sua carica nella guardia del corpo imperiale per recare conforto ai fratelli perseguitati, rinsaldando la loro testimonianza di fede, fino all’accettazione del martirio. Come narra la sua Passio, un giorno due giovani cristiani, Marco e Marcelliano, figli di un certo Tranquillino, furono arrestati su ordine del prefetto Cromazio. Il padre fece appello a una dilazione di trenta giorni per il processo, per convincere i figli a desistere e a sottrarsi alla condanna sacrificando agli dei. I fratelli erano ormai sul punto di cedere quando Sebastiano fece loro visita, persuadendoli a perseverare nella loro fede e a superare eroicamente la morte. Mentre dialogava con loro, il suo viso fu irradiato da una luce miracolosa che lasciò esterrefatti i presenti, tra cui Zoe, la moglie di Nicostrato, capo della cancelleria imperiale, muta da sei anni. La donna si prostrò ai piedi del tribuno il quale, invocando la grazia divina, le pose le proprie mani sulle labbra e fece un segno di croce, ridonandole la voce.

Il prodigio di Sebastiano portò alla conversione un nutrito numero di presenti: Zoe col marito Nicostrato e il cognato Castorio, il prefetto romano Cromazio e suo figlio Tiburzio. Cromazio rinunciò alla propria carica di prefetto e si ritirò con altri cristiani convertiti in una sua villa in Campania. Quando Diocleziano, che aveva in profondo odio i fedeli a Cristo, scoprì che Sebastiano era cristiano, esclamò: «Io ti ho sempre tenuto fra i maggiorenti del mio palazzo e tu hai operato nell’ombra contro di me». Diocleziano aveva un’errata concezione della sua autorità. Riteneva che l’imperatore fosse Dio e che al di fuori di lui non ci fosse nessun altra autorità. L’insegnamento di Gesù Cristo che bisogna dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare non era ancora penetrato nella cultura romana. Sebastiano fu quindi da lui condannato a morire per mano degli arcieri in mezzo al Campo di Marte. Il suo corpo, trafitto dalle frecce, venne abbandonato, ma caso volle che non fosse stato colpito a morte. Pochi giorni dopo, Sebastiano si presentò dinanzi all’imperatore, rimproverandolo per il grande male che causava perseguitando i cristiani. L’imperatore diede ordine di frustarlo, sino a farlo morire. Il corpo venne poi gettato in una cloaca, onde evitare che divenisse oggetto di venerazione da parte dei cristiani.

Dalla sua vita e, in particolare, dalla narrazione del suo martirio, ricaviamo che Sebastiano stimò Gesù Cristo al di sopra di ogni autorità terrena, al di sopra di ogni onore civile o militare. L’esempio di san Sebastiano che aiuta i propri fratelli di fede alla fedeltà a Cristo, a non abiurare, ci fa pensare alla nostra vocazione e al nostro attaccamento a Lui.

Ancora oggi abbiamo bisogno di persone che sappiano fare la scelta radicale di Gesù Cristo, divenendo suoi annunciatori e testimoni credibili, sia in mezzo alla gente sia nelle istituzioni.

Il cammino sinodale che stiamo vivendo nella nostra Diocesi, in un momento di calo di presenze e di senso di appartenenza, ha come obiettivo quello di interrogarci: sia su come oggi stiamo camminando con Gesù e con i fratelli per annunciarlo; sia su cosa siamo chiamati a fare domani, tutti insieme, per crescere nel cammino con Gesù e con i fratelli per annunciarlo. Siamo comunità stanche, sedute e, quindi, statiche? Siamo, invece, come le prime comunità, ossia comunità missionarie, capaci di generare nuovi credenti, credibili perché autentici?

Per il cristiano autentico, Gesù Cristo non può venire in secondo ordine, assegnando il primato al successo, al potere, agli onori, al consenso, alle direttive di una opinione gridata e martellante che contrasta la libertà di coscienza, la vita nascente, la famiglia, l’ecologia integrale, il bene di tutti. È contradditorio dirsi cristiani e, nel contempo, coltivare la separazione tra fede e vita, professando in chiesa il Vangelo e rinnegandolo con il nostro comportamento appena usciti dalla porta. Occorre essere cristiani a tempo pieno, con tutta la propria persona. Occorre essere cattolici integrali, diceva Antonio Zucchini, sindaco di Faenza nei primi anni del Novecento. Tra fede e vita dev’esserci unità. Altrimenti la nostra persona rischia di essere dissociata, schizofrenica. La testimonianza dei santi, come san Sebastiano, ci dice che Gesù Cristo unifica la nostra vita. La sua presenza nelle coscienze crea una rivoluzione spirituale e morale, trasformando l’azione, le scale dei valori. Secondo il suo insegnamento, Chiesa e società civili sono chiamate entrambi, con le proprie specificità e nella diversità dell’apporto, al servizio dell’uomo, per il suo sviluppo integrale.

Seppure in mezzo a vari ostacoli e contrasti, la presenza di Gesù Cristo in noi, specie con il suo Spirito d’amore, ci fa sperare in una nuova primavera. Con Lui è possibile vincere l’egoismo, il peccato, l’odio, la violenza. Si rinnova in noi il gusto del bene, l’amore per l’altro, riconosciuto come nostro fratello o sorella. Cresce l’unità, la condivisione della verità, senza la quale è impossibile essere liberi.

Partecipando a questa Eucaristia, celebrata in onore di san Sebastiano, patrono del comune di Solarolo, rinnoviamo la nostra professione di fede in Cristo, Via, Verità e Vita, nostro cibo nel cammino quotidiano.

+ Mario Toso

Il 17 settembre la Diocesi di Faenza-Modigliana e l’Arcidiocesi di Ravenna-Cervia celebrano la Giornata del Creato

L’enciclica Laudato si’ di papa Francesco ha posto in primo piano il problema della salvaguardia del nostro pianeta.
I segnali di allarme sulla sua conservazione e tutela si moltiplicano ogni giorno. Gli scienziati lanciano avvertimenti sui pericoli imminenti: surriscaldamento terrestre, scioglimento dei ghiacciai con conseguente innalzamento del livello degli oceani, scomparsa di arcipelaghi sommersi dalle acque. C’è un forte problema di sensibilità su questo tema che deve impegnare prima di tutto i paesi maggiormente industrializzati, a partire dai governi per arrivare al sistema economico delle imprese.

L’Earth Overshoot Day, in italiano Giorno del Superamento Terrestre, indica il giorno nel quale l’umanità consuma interamente le risorse prodotte dal pianeta nell’intero anno. Nel 2021 questa data è caduta il 29 luglio e dal 30 luglio stiamo consumando risorse che la terra produrrà solo nel 2022.

Per questi motivi la Conferenza Episcopale Italiana, in sintonia con le altre comunità ecclesiali europee, ha istituito la Giornata per la custodia del Creato che consiste in una giornata annuale dedicata a riaffermare l’importanza, anche per la fede, dell’ambientalismo, con tutte le sue implicazioni etiche e sociali. La ricorrenza ufficiale è il primo settembre, ma alle singole Diocesi viene lasciata l’iniziativa di sviluppare attività locali lungo tutto il mese.
Da anni la Diocesi di Faenza- Modigliana e l’Archidiocesi di Ravenna-Cervia organizzano un evento comune, alternativamente in un territorio o nell’altro: quest’anno si svolgerà nella chiesa parrocchiale di Villa San Martino venerdì 17 settembre alle 18 e sarà gestita in collaborazione con la Coldiretti di Ravenna, i Carabinieri – Comando Gruppo Nucleo Forestale Ravenna, il Circolo Mcl di Villa San Martino, le Acli di Ravenna, il Cefal Emilia-Romagna e con la partecipazione delle Chiese Ortodosse.

Sarà un incontro di preghiera ecumenica presieduta da monsignor Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana e con la partecipazione di monsignor Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia. Seguirà un momento di ristoro al parco della sede Cefal Emilia-Romagna di Villa San Martino, a poche centinaia di metri dalla chiesa parrocchiale, offerto dalla Coldiretti di Ravenna e da Cefal.

Al momento di ristoro hanno dato la loro collaborazione aziende che si sono distinte per aver applicato buone pratiche a salvaguardia dell’ambiente, in particolare tre cantine: la cantina del Bufalo di Sant’Agata sul Santerno, la cantina Zini di Bagnacavallo e la cantina Cooperativa agricola Bagnara. Da segnalare anche la cooperativa sociale il Mulino di Bagnacavallo, che con il progetto Ortinsieme realizzato a Russi ha coniugato una iniziativa di riqualificazione di un’azienda agricola avviando un percorso di conversione al biologico con un progetto di housing sociale, dove alcune persone in situazione di fragilità sociale sono protagonisti di questo progetto volto alla tutela ambientale ed alla produzione di ortaggi biologici.

Flavio Venturi
incaricato Pastorale Sociale


A mo’ di conclusione: costruzione di un mondo nuovo mediante una politica samaritana

Fratelli-tutti

Papa Francesco sollecita la nascita di un mondo nuovo. Il che richiede di portare avanti un progetto comunitario mondiale attraverso il lavoro della famiglia umana con tutta la sua diversità e complessità. Ciò implica che ci si pensi come un’unica umanità, avente un’unica anima, quella dell’amore fraterno. La parabola del buon samaritano mostra con quali atteggiamenti e stati d’animo le persone, i popoli, la politica, le comunità religiose, le culture sono chiamati a reagire e ad operare come fratelli, mossi dall’amore aperto a tutti. Essere persone, gruppi, popoli che fanno propria e sostengono la fragilità degli altri, che non permettono che sorga una società dell’esclusione, ma che si avvicinano – si fanno prossimo – e sollevano e curano chi è caduto, affinché il Bene sia Comune.

Il paradigma dell’inclusione o dell’esclusione del ferito ai bordi della strada connota tutti i progetti economici, politici, sociali, religiosi. Tutti ci troviamo ogni giorno di fronte alla scelta tra l’essere samaritani o gli indifferenti viaggiatori che si tengono alla larga. Il buon samaritano, dunque, viene indicato da papa Francesco come scelta di base per ricostruire il mondo ferito sotto tanti punti di vista. Il «mondo» è l’«umanità interrelata», al suo interno e con il creato (sovente dilapidato e devastato), con Dio. Non si tratta solo di considerare le povertà materiali, ma anche quelle spirituali, morali, culturali e religiose. L’esclusione o l’inclusione sono, dunque, da considerare non solo come parametri di riferimento alla destinazione universale dei beni della terra. Sono parametri da coniugare in vista della partecipazione, da parte di tutti, a un’umanità in pienezza: «umanità in pienezza» in Dio!

L’inclusione, in definitiva, come ha insegnato san Paolo VI, va attuata sulla base del criterio dell’universalità concreta e reale. Si tratta di un criterio davvero evangelico, infallibile nello smascherare ogni sorta di pensiero unico, unidimensionale: tutto l’uomo e tutti gli uomini. Rispetto all’ideale di uno sviluppo plenario, sociale, comunitario, aperto alla Trascendenza, inclusivo, papa Francesco propone, come opera collettiva, commisurata, una politica animata dalla carità, ovvero la migliore politica, accompagnata dall’impegno per la verità.

Si tratta di una prospettiva trascendente. L’attività politica diventa così una forma elevata di carità, di amore e, pertanto, si pone come una questione eminentemente teologica ed etica.[1] Ciò dovrebbe indurre i credenti a creare e a vivere una nuova cultura politica, perché ispirata al Vangelo. La migliore politica, quella che si esercita come la forma più alta della carità, ha bisogno di «migliori politici», tra i quali non possono mancare i cattolici, i quali dovrebbero essere, per definizione, i «buoni samaritani» della politica,[2] sul piano di un umanesimo trascendente.

                                                                 + Mario Toso

                                                       Vescovo di Faenza-Modigliana

Note

[1] Cf J. M. Bergoglio, Popolo, Edizione speciale per Corriere della Sera, Milano 2014, p. 74.

[2] Cf B. Sorge, Perché l’Europa ci salverà. Dialoghi al tempo della pandemia con Chiara Tintori, Edizioni Terra Santa, Milano 2020,  p. 123.

Il commento

1. Obiettivo e modalità della «Fratelli tutti»

2. Il discernimento proposto dalla «Fratelli tutti»

3. Il realismo teologico, antropologico e morale della parabola del buon Samaritano

4. La civiltà dell’amore fraterno

5. La fondazione trascendente della fraternità: Benedetto XVI e papa Francesco

6. Un approfondimento: Cristo «universale concreto della fraternità»

7. A mo’ di conclusione: costruzione di un mondo nuovo mediante una politica samaritana