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Il vescovo Mario in Visita pastorale a Marradi: “Vivere la parrocchia è una sfida”

«La Visita pastorale è una grande occasione per le comunità della nostra Diocesi. Non tanto perché in essa siamo chiamati a pensare o ad inventare nuove iniziative pastorali, bensì per rafforzare la qualità evangelizzatrice e, per conseguenza, per alimentare il fuoco d’amore per Cristo». Con queste parole, lunedì scorso, il vescovo monsignor Mario Toso ha iniziato il suo discorso a Marradi in occasione dell’apertura della visita pastorale. «Il vescovo viene, pertanto – ha proseguito – a incontrare le comunità, le famiglie, gli organismi di partecipazione ecclesiale, le associazioni e le aggregazioni non tanto per puntare il dito sui limiti dell’azione pastorale o per trovare fragilità, bensì per incoraggiare, per suscitare nei discepoli la nostalgia della misericordia di Dio, dell’essere vera famiglia di Dio, tra i cambiamenti e le vicende, positive o negative della vita».

“E’ la relazione con Cristo che dà senso alle attività parrocchiali”

In sostanza «vuole far risuonare la buona notizia del Vangelo – precisa – e, con ciò stesso, confermare nella fede i passi – certo, a volte faticosi e pieni di dubbi – che sono intrapresi per metterci sempre più alla sequela di Cristo. Egli è il Maestro, l’unica e grande Guida della Chiesa: nell’annuncio, nella celebrazione e nella carità». Il centro pulsante e vivificante di ogni comunità parrocchiale, di ogni Unità pastorale è Cristo. «È la relazione continua con Lui – sottolinea il vescovo – che dà senso e configura le attività parrocchiali, non viceversa. La parrocchia è una sfida perché non ha niente di eterno pur essendo ricettacolo di questo: essa ha un territorio definito, dei luoghi particolari, degli edifici che nei secoli sono stati e sono “casa di preghiera”; essa vive della presenza reale di Cristo e della partecipazione e del dono personale, generoso, di tante persone. Essa rende visibile “qui” e “oggi” – tra secolarizzazione crescente, alluvioni, terremoti, spopolamenti, culture fluide o artificiali – che il Signore non è un Dio lontano, un Dio che serve solo quando ci fa comodo, che non ha niente da dire alla nostra vita. La vostra fede, ma anche i vostri dubbi e difficoltà, le iniziative e la carità operosa sono la testimonianza vivente che incontrare il Signore cambia la vita, le relazioni. È fonte di inquietudine permanente perché innesta e rafforza nel nostro spirito la sete dell’Infinito. Dobbiamo essere fedeli a queste radici, fedeli alla storia di coloro che ci hanno preceduto in mezzo a queste bellissime colline».

“Siate corresponsabili, non collaboratori”

Tra i temi sottolineati dal presule, c’è quello della corresponsabilità. «Come ho avuto modo di dire alla comunità di Sant’Agata sul Santerno – ricorda -: dobbiamo pensare di vivere insieme non solo come collaboratori, bensì come corresponsabili, uniti in una stessa comunione e missione. I collaboratori offrono alla comunità un aiuto specifico e momentaneo, non continuativo. Rispondono a un’esigenza particolare: non si sentono parte integrante della famiglia. La corresponsabilità nasce, invece, dal percepirsi parte di un’unica famiglia, dal formare un tutto in cui ognuno è responsabile dell’altro».

I gruppi ministeriali sono la proposta concreta perché i laici sentano l’urgenza di una formazione alla fede e al servizio della Chiesa nella propria parrocchia. «La centralità dell’amore di Cristo – ha concluso i l vescovo -, le esigenze del Vangelo, l’importanza del territorio concreto, necessitano di sviluppare la corresponsabilità: ecco, in breve, alcuni semplici orientamenti per il futuro perché possiamo portare frutto e gli uomini possano credere nell’unica Parola che salva».

L’intervento integrale del vescovo è consultabile qui. 

I prossimi appuntamenti

Domenica 15 settembre alla chiesa di San Lorenzo, alle 11 sarà celebrata la Messa conclusiva della Visita pastorale con cresime. Venerdì 20 settembre alle 20.30 a Pieve Tho l’incontro con tutti gli educatori, catechisti e capi scout delle unità pastorali della vallata.


Settimana Liturgica nazionale a Modena, il racconto dei delegati diocesani

Il museo del Duomo di Modena conserva una stauroteca bizantina realizzata intorno all’anno Mille. Il prezioso contenitore del legno della Croce lascia intravedere la reliquia attraverso un’apertura sul fronte; tutt’intorno corre un filo d’oro ritorto; otto perle, simbolo di purezza e santità perfetta, corredano l’incrocio con i bracci orizzontali. Il gioiello riporta sul retro un’iscrizione in lettere greche che suona così: “Confidando in Te, o Croce, custode del mondo, con grande fatica fabbricò la tua divina forma Panterio, umile servo” e termina con l’invocazione “Gesù Cristo Figlio di Dio” L’uso dell’alfabeto greco, il nome dell’esecutore e la forma della croce a doppia traversa sono indizi che rimandano all’oreficeria costantinopolitana del X-XI secolo. Attraverso le parole incise nell’oro la preghiera di un uomo di dieci secoli fa, incorrotta dal passare degli anni, riecheggia sulle labbra del cristiano del nostro tempo, parla al suo cuore, promette una dimora presso il custode di tutte le cose.

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Stauroteca a doppia traversa, X-XI sec. Museo del Duomo di Modena

Preghiera della Chiesa, ieri come oggi

Similmente avviene nella liturgia. La nostra preghiera è continuità con quella di chi ci ha preceduto nella fede, il memoriale ci rende contemporanei del Signore Gesù, siamo fortunati ascoltatori delle sue parole, commensali anche noi nel Cenacolo. Proprio a Modena si è svolta quest’anno la 74^ Settimana Liturgica Nazionale dal titolo: Nella liturgia la vera preghiera della Chiesa. I convegni hanno a volte un dispettoso limite: ciò che viene presentato al tavolo dei relatori, per quanto brillante ed esaustivo, non può essere messo in pratica fino al rientro a casa. Non così la liturgia. Affianco alle relazioni magistrali i partecipanti alla Settimana Liturgica hanno celebrato il Mistero di Gesù che si offre al Padre, nella Messa e nella Liturgia delle Ore, dentro a due luoghi di grande portata simbolica, il Duomo di Modena e l’Abbazia di Nonantola; lì l’Ars Celebrandi si faceva scuola per tutti.

Gli interventi dei teologi illustravano la continuità/discontinuità della preghiera fra Antico e Nuovo Testamento; una chiara ecclesiologia emergeva invece puntando l’attenzione sul popolo di Dio radunato, l’assemblea liturgica, luogo in cui il Signore incontra i suoi figli e li trasfigura. Di taglio più pragmatico i contributi sull’uso del Messale Romano e sull’adattamento liturgico; tutte le attenzioni che fanno la celebrazione più attiva e fruttuosa. Abbiamo toccato alcune delle corde più sensibili e decisive della nostra fede: la dimensione corale, coinvolgimento di tutti i battezzati; la dimensione liturgica, culmine e fonte della vita cristiana; la dimensione orante, lo Spirito che prega in noi.

In obbedienza al comando e all’invito “Fate questo in memoria di me” abbiamo incontrato il desiderio di Gesù di stare con noi. A una sola voce abbiamo risposto “Vieni Signore!” Abbiamo riscoperto la fortuna di appartenere alla Chiesa di Cristo, respirato la gioia del Vangelo proclamato, gustato la bellezza del celebrarlo.

Vincenza Morini, incaricata diocesana per la liturgia
Matteo Cattani, seminarista


Il vescovo Mario agli Incontri del clero: “Rinnoviamo il nostro modo di essere Chiesa”

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Di seguito riportiamo parte dell’intervento del vescovo, monsignor Mario Toso, martedì scorso al primo degli Incontri del clero.

Teologi e sociologi ci dicono che viviamo in una nuova fase della missione della Chiesa. Senza giri di parole, detto in maniera sintetica, ci troviamo in un contesto di post-cristianità. Ossia non viviamo più nella cristianità che molti di noi hanno conosciuto e sperimentato anni fa. È, infatti, divenuto evidente il passaggio di un regime di cristianità quale si è vissuto nel secolo scorso e che già mostrava segni di cambiamenti considerevoli. Basti pensare solo, nella nostra Diocesi, al fervore della ricostruzione delle chiese distrutte durante la Seconda guerra mondiale; all’innalzamento del nuovo Seminario sito in Viale Stradone e a ciò che è seguito poco tempo dopo per lo spopolamento delle zone montane, per una progressiva scristianizzazione, per il calo dei fedeli e dei seminaristi. Tutto ciò ha richiesto e richiede un cambiamento di mentalità pastorale, una nuova organizzazione delle istituzioni ecclesiali, testimoniata dalla pronta riforma della Curia e, già prima, dalla nascita delle Unità pastorali.

Il cristianesimo e la cultura da esso generata non costituiscono più un presupposto ovvio del vivere comune, della società, delle famiglie, delle associazioni ecclesiali e di ispirazione cristiana. Anzi, vengono spesso negati, emarginati, sminuiti. Molti cristiani non posseggono più l’alfabeto della fede che si nutre e si esprime mediante la liturgia. Occorre ripensare le grandi vie dell’evangelizzazione della cultura e dell’inculturazione del Vangelo, che rappresentano due dinamismi pastorali che vanno sempre insieme. Tutto ciò richiede il continuo ripensamento dell’annuncio, della catechesi, dell’educazione, della formazione dei credenti, della liturgia, della carità. Occorre condurre per mano, con pazienza, i fedeli nell’esperienza cristiana esistenziale dei misteri della salvezza, affinché essi vivano una profonda unità tra fede e vita. L’alternativa è rappresentata da quelle nefaste separazioni che vanificano la totalità dell’incarnazione di Cristo. In questo contesto, si innestano le molteplici prospettive ecclesiali avviate e sviluppate negli ultimi anni. Senza aver la pretesa di essere esaustivo, accenno a quei momenti di grazia che sono stati il Sinodo dei Giovani, il potenziamento della Comunità Propedeutica, il rinnovamento della Curia e dei Settori pastorali, che va di pari passo al cammino non sempre facile di un aggiornamento pastorale in chiave missionaria. Molto c’è ancora da intraprendere. Occorre una nuova stagione di intensa preparazione e formazione, specie di professionisti dell’annuncio e della speranza cristiani.

Da questo dobbiamo riconoscere l’urgente necessità di un impegno rinnovato nella comunicazione, nella formazione spirituale e culturale, accessibile a tutti, centrata sui bisogni concreti delle nostre comunità ecclesiali e della società plurale. Il Cammino sinodale, peraltro, ha fatto emergere questo: le persone non chiedono nuove cose, nuove iniziative, nuove “trovate” pastorali: è emerso il desiderio che quanto già dovrebbe contraddistinguere il nostro essere Chiesa (annuncio – liturgia – carità) sia fatto in modo nuovo, vitale, attuale, autentico. Non cose nuove, ma le cose essenziali espresse in maniera diversa.

Allo stesso modo, in questi anni abbiamo riconosciuto, sempre in linea con l’ascolto sinodale, l’importanza di un tessuto relazionale capace di dialogo con la molteplicità delle religioni e delle culture. La corresponsabilità è una diretta conseguenza: dove si vivono relazioni autentiche e libere, le persone sono disposte a donarsi, caricandosi di responsabilità concrete, in aiuto ai pastori. Anche per questo dobbiamo continuare ad investire nei gruppi ministeriali.

Cammino sinodale

cammino sinodale gruppo

Il Cammino sinodale è strettamente intrecciato a tutti questi cambiamenti ecclesiali. Lunedì 16 settembre avremo l’occasione di rilanciare la fase profetica a livello diocesano con la presenza di monsignor Erio Castellucci. In sostanza, la fase profetica implica il trovare le modalità per realizzare quanto è emerso, quanto è già stato oggetto di un discernimento ecclesiale. Sul sito diocesano è consultabile da tutti una sintesi con varie proposizioni molto concrete che delineano alcune prospettive sulle quali dovremo lavorare nei prossimi anni. Sottolineo solo il fatto che dovremmo lavorare tutti, nessuno escluso. La dimensione diocesana è strettamente integrata col cammino nazionale. Anche a livello nazionale, infatti, inizia la fase finale del sinodo nazionale nel quale siamo chiamati a prendere delle decisioni. La Cei sta organizzando due Assemblee per votare delle linee concrete di azione: io stesso parteciperò alla prima delle due Assemblee nazionali, in programma a novembre, insieme ai Referenti diocesani.

Verso il Giubileo

Il Santo Padre Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo 2025, Spes non confundit, scrive: «Ora è giunto il tempo di un nuovo Giubileo, nel quale spalancare ancora la Porta Santa per offrire l’esperienza viva dell’amore di Dio»[1], e «il prossimo Giubileo sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio».[2] Il Giubileo è un tempo favorevole per fare l’esperienza viva dell’amore di Dio, un amore che si manifesta nella carne del Verbo fatto uomo, immolato sulla croce e vivente in eterno, vero fondamento della speranza che mai tramonta. Infatti: «La speranza nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce».[3]

Il principio dell’Incarnazione è una chiamata a concretizzare la speranza in segni eloquenti che sappiano testimoniare la gioia e l’importanza della vita in Cristo, a livello comunitario e personale. Il gesto concreto per eccellenza dell’Anno giubilare sarà il pellegrinaggio: un’azione semplice e allo stesso tempo capace di stimolare la relazione e il dialogo, il silenzio e l’apertura interiore, la fatica e il desiderio di una meta. La meta centrale è Roma, le quattro Basiliche maggiori. In esse ci saranno le uniche Porte sante di questo Giubileo. Ad esse siamo chiamati a convergere in maniera prioritaria.[4]

Altra dimensione fondamentale del Giubileo è l’esperienza della grazia e della misericordia che i fedeli potranno vivere accostandosi al Sacramento della Riconciliazione, per ottenere l’indulgenza e il perdono del Padre buono. «La Riconciliazione sacramentale non è solo una bella opportunità spirituale, ma rappresenta un passo decisivo, essenziale e irrinunciabile per il cammino di fede di ciascuno»[5] scrive sempre Papa Francesco. Questo elemento chiama in causa in maniera prioritaria la Diocesi e in particolare la Chiesa Cattedrale. Essa sarà il luogo diocesano in cui convergere. Il presbiterio è già stato informato che saranno organizzati a livello vicariale dei momenti di preparazione e di pellegrinaggio in Cattedrale. Vi invito fin da ora ad offrire il vostro aiuto perché in Cattedrale sia assicurato una più ampia presenza di confessori.


[1]  Francesco, Spes non confundit, 6.

[2]  Francesco, Spes non confundit, 25.

[3]  Francesco, Spes non confundit, 3.

[4]  Dicastero per l’Evangelizzazione, Nota, 2 agosto 2024.

[5]  Francesco, Spes non confundit, 23.

Mi permetto di segnalarvi alcuni momenti diocesani imprescindibili:

domenica 29 dicembre 2024, domenica della Sacra Famiglia, in cui per l’Apertura diocesana del Giubileo ho deciso di convocare tutta la Diocesi nella chiesa di S. Francesco in Faenza alle 17.30, per poi andare in pellegrinaggio fino alla Cattedrale per celebrare l’Eucaristica. Domenica 8 giugno 2025, Pentecoste, alle 18 in Cattedrale, tutta la Diocesi è convocata per una celebrazione giubilare a conclusione dell’anno pastorale, per celebrare l’effusione e il mandato missionario dello Spirito Santo alla Chiesa. Domenica 28 dicembre 2025, domenica della Sacra Famiglia, vivremo, infine, la chiusura diocesana del Giubileo. Concludo l’elenco segnalando che ogni Vicariato vivrà un pellegrinaggio organizzato e coordinato dal vicario foraneo, nel Tempo di Quaresima. Esso prevederà la proposta di un cammino verso la Cattedrale, un segno di carità, una celebrazione penitenziale con la possibilità della confessione, la celebrazione dell’Eucaristia con il vescovo, che sarà anche la celebrazione conclusiva della Visita pastorale per ogni Vicariato.

Visita Pastorale

Concludo il mio intervento per ringraziarvi delle energie spese per l’organizzazione e la buona riuscita della Visita pastorale. Nei prossimi mesi visiterò le ultime Unità pastorali. Ritengo che sia stata un’occasione per lavorare insieme o, meglio, per far lavorare insieme le comunità e le persone al loro interno. Rilevo che non sempre la dimensione diocesana è valorizzata al meglio e che emerge sempre la tentazione di frammentare il contesto ecclesiale in campanilismi controproducenti. È il tempo del camminare insieme, della coralità, dell’armonia e delle sinergie pastorali.

Ho notato la capacità di molte comunità nel saper leggere la realtà odierna, nel comprendere che è necessario una conversione in chiave missionaria e vocazionale: non tanto per colmare i vuoti tra le fila dei presbiteri e le realtà laicali, ma per servire meglio la nostra realtà diocesana.

Mario Toso, vescovo

L’intervento integrale è consultabile qui. 


Incontri del clero: l’11 e 12 settembre incontri aperti a tutti a Faenza con don Marco Fusi e il vescovo Brambilla

L’aula magna “Francesco e Gabriella Bandini” della scuola media “Europa”, in via degli Insorti 2 a Faenza, ospiterà due giorni di Incontri del clero aperti a chiunque sia interessato a partecipare.

Mercoledì 11 settembre si svolgerà un incontro congiunto con il presbiterio di Imola: ritrovo alle 9.30 nell’Aula Magna “Bandini”, alle 9.45 Ora Media. Alle 10 intervento di don Marco Fusi, direttore della Pastorale giovanile della Chiesa di Milano dal titolo Provocati dai giovani. Alle 11 pausa, e a seguire confronto con il relatore. L’incontro si concluderà alle 12.30.

Giovedì 12 settembre, incontro congiunto con il presbiterio di Imola e Forlì-Bertinoro. Come il giorno precedente, ritrovo alle 9.30 nell’Aula Magna “Bandini” e alle 9.45 Ora Media. Alle 10 interverrà monsignor Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara, sul tema La comunione fra Chiese: forme possibili. Dopo una pausa alle 11, seguirà il confronto con il relatore e l’incontro terminerà alle 12.30.


Dal passo della Colla a Marina Romea. La Giornata del Creato e la benedizione con l’acqua del Lamone. Le parole del vescovo Mario

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E’ arrivata a Marina Romea l’acqua del Lamone, con tutte le persone che oggi l’hanno “accompagnata” nella staffetta di preghiera e riflessione per la Giornata del Creato partita questa mattina dal passo della Colla per l’iniziativa “Spera e Agisci. con il creato: in bicicletta dalle sorgenti alla foce del Lamone” organizzata dalle Pastorali sociali delle Diocesi di Ravenna-Cervia e di Faenza-Modigliana. In bicicletta sul grande fiume per riflettere sul rapporto dell’uomo con il Creato lì dove esso ha mostrato le sue ferite più dolorose: questo era l’obiettivo.

L‘acqua del Lamone, quella che tanti danni ha fatto l’anno scorso durante l’alluvione, è stata usata per benedire le persone: un gesto più che mai significativo che racconta di quale responsabilità abbiamo, a partire dal dono di Dio, nel trasformare le difficoltà n opportunità. Tra le tappe che i pellegrini hanno fatto, il monumento in ricordo dell’eccidio di Crespino, la messa a San Cassiano presieduta da don Mirko Santandrea, la visita all’antica pieve Tho di Brisighella, il ristoro al convento dei frati di San Francesco a Faenza. Poi si è proseguito nella “Bassa” fino alle foci del Lamone.

A benedire chi ha partecipato alla preghiera ecumenica che ha concluso la Giornata, nella chiesa dell’Assunta di Marina Romea, è stato l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, monsignor Lorenzo Ghizzoni con il vescovo di Faenza-Modigliana, monsignor Mario Toso, assieme a don Mirko Santandrea e i rappresentanti delle comunità ortodosse e greco-cattoliche del territorio: padre Dan Vesea, padre Alexei, Volodymyr Voloshyn. A organizzare la celebrazione, con Luciano di Buò, direttore della Pastorale sociale di Ravenna e Flavio Venturi, suo omologo di Faenza, Coldiretti, il Corpo dei Carabinieri forestali e le Acli.

Le parole di monsignor Toso: “La terra è affidata all’uomo, ma resta a Dio”

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Nei suoi saluti, il vescovo monsignor Mario Toso ha ringraziato tutti coloro che hanno promosso e realizzato la celebrazione della Giornata del creato. “Mi sia permessa una semplice sottolineatura – ha aggiunto -. Come avrete avuto modo di percepire, il Messaggio di Papa Francesco ci ha sollecitati a sperare e ad agire con il creato secondo lo specifico della nostra identità, in quanto persone inabitate dallo Spirito santo, Spirito di amore e di verità insieme. Ciò viene indicato come metodo di approccio e di discernimento peculiare, per saper meglio leggere il grido della terra e dei poveri, ma anche i germi di speranza, di cura e di rinascita. Non dimentichiamo che il nostro apporto nella soluzione dei problemi ecologici e della cura del creato, come di altri, deve far leva su quanto è più tipico del nostro essere credenti. Solo così sarà possibile offrire un apporto unico ed arricchente, maggiormente rispondente alle urgenze della casa comune, creata da Dio e inabitata misteriosamente dal Risorto, che la orienta ad un destino di pienezza (cf Francesco, Laudate Deum, n. 64). Il Messaggio di Papa Francesco «Spera ed agisci con il creato» pone, infatti, al centro dell’attenzione il compito o missione di rapportarci con il creato muovendo innanzitutto dalla nostra fededal nostro essere persone nelle quali abita lo Spirito Santo. Noi siamo credenti perché è stato riversato nei nostri cuori l’amore di Dio (Rm 5,5). Lo Spirito rende i credenti creativiproattivi nella carità. Essi, nella cura del creato, sono condotti dallo Spirito Santo. Operano con amore e speranza. Sono guidati da visioni di amore, di fratellanza, di amicizia e di giustizia per tutti. Nel tempo condividono dolore e sofferenza, perché la creazione intera geme (cf Rm 8, 19-22), i cristiani gemono (cf vv. 23-25) e geme lo Spirito stesso (cf vv. 26-27). In breve, tutto il creato ed ogni creatura gemono e anelano “impazientemente”, perché possa essere superata la condizione presente. Come l’umanità, il creato è schiavo e si ritrova incapace di fare ciò per cui è stato pensato e progettato. È soggetto alla dissoluzione e alla morte. Ma la salvezza dell’uomo in Cristo è sicura speranza anche per il creato. Anche il creato sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (Rm 8, 21). Nell’attesa perseverante del ritorno glorioso di Cristo, lo Spirito santo tiene vigile la comunità credente e la chiama a conversione negli stili di vita per resistere al degrado umano dell’ambiente e manifestare quella critica sociale che, sebbene denunci il male, propone cambiamenti positivi. La conversione consiste nel passare dall’arroganza del dominio sulla natura all’umiltà di chi si prende cura del creato e degli altri.

“Sperare e agire con il creato – ha concluso il vescovo – vuol dire unire le forze, camminare insieme a tutti, contribuire a ripensare al potere umano, al suo significato e si suoi limiti. Secondo i credenti, l’obbedienza allo Spirito d’amore cambia radicalmente l’atteggiamento predatore in compito di coltivatori del giardino. La terra è affidata all’uomo, ma resta di Dio. La salvaguardia del creato è una questione non solo tecnica, ma etica e, ultimamente, teologica. Il cristiano ha l’impegno di promuovere la giustizia e la pace nel mondo attraverso la destinazione universale dei beni, la realizzazione di un’ecologia integrale”.

L’arcivescovo Ghizzoni: “Cambiamo ciò che possiamo cambiare collaborando con lo Spirito”

Nella sua omelia, monsignor Ghizzoni è partito dal messaggio di Papa Francesco per la Giornata del Creato che ha invitato tutti a leggere. “La Terra è affidata a noi, anche se è di Dio, e alla nostra capacità di creare bellezza e vita”, ha spiegato l’arcivescovo. Una responsabilità che nasce con la Creazione e è ancor più urgente oggi che “le cose non vanno bene”. “La terra si ribella quando viene maltrattata – ha aggiunto in un altro passaggio -. Il cielo, il clima, la temperatura possono essere espressione di un un cosmo ordinato. Ma se contrastiamo l’ambiente provochiamo conseguenze che paga l’umanità intera”.

Come proclamato nelle letture scelte per la celebrazione, la “‘Creazione geme e soffre le doglie del parto’ perché desideriamo l’incontro con il Signore – ha proseguito monsignor Ghizzoni -. Questa trasformazione però non avverrà solo alla fine dei tempi e noi possiamo contribuire all’opera di Dio se ci assumiamo la responsabilità di rispondere alla sua chiamata. La speranza ci viene donata dal Signore, e ci permette di superare la tristezza e il male del mondo e guardare alla fine dei tempi. Nel frattempo, però, siamo chiamati a cambiare ciò che possiamo cambiare, collaborando con lo Spirito di Dio che agisce in tutti”.


Il 15 settembre l’incontro “Famiglie in Seminario: famiglia che educa, Chiesa che educa”

Il 15 settembre in Seminario a Faenza (viale Stradone 30) si terrà l’evento Famiglie in Seminario: famiglia che educa, Chiesa che educa. L’accoglienza sarà alle 9.30 seguita da un momento di riflessione. Alle 11.30 la santa messa e alle 12.30 il pranzo picnic. Ogni famiglia porterà il proprio telo e pranzo. Il Seminario metterà a disposizione bevande e dolce. Durante tutta la mattinata sarà presente uno spazio bimbi.

Iscrizione obbligatoria entro il 10 settembre: don Mattia 328 2481149 o Sara 339 7990440


Russi. Il vescovo Mario incontra le suore della Sacra Famiglia di Helmet

Qualcuno potrebbe obiettare che la Fira di Russi arriva a metà settembre. Vero! Ma quest’anno Russi sarà in festa anche a ottobre. Domenica 20, infatti, ci si prepara ad accogliere le sorelle della Sacra Famiglia di Helmet. Con il calo di vocazioni religiose che caratterizza il vecchio continente, aver trovato alcune suore disposte a iniziare una loro presenza a Russi è qualcosa che va festeggiato. Doppiamente festeggiato se si considera il fatto che questa Congregazione, con sede principale a Bruxelles e presenze in Africa, nella Repubblica Democratica del Congo e Ruanda; centro America, in Guatemala; apre per la prima volta una sua presenza in Italia.

Le suore si insedieranno il 20 ottobre 2024

Ecco il perché del Consiglio generale della congregazione di quest’anno convocato a San Pietro in Vincoli (casa dei Saveriani) ad agosto, a due passi da Russi. Così, prima di ferragosto, il vescovo monsignor Mario Toso ha accompagnato le componenti del Consiglio a Russi per un primo incontro in parrocchia con il parroco don Luca Ravaglia e il suo collaboratore don Emanuele Casadio. Un primo saluto al sindaco Valentina Palli e la visita alla casa che ospiterà le suore. Poi, giovedì 22, don Luca e don Emanuele hanno incontrato le sorelle del Consiglio a S.Pietro in Vincoli. In francese si sono confrontati sulla preparazione dell’arrivo di suor Micheline e suor Cecilie (40 e 32 anni), che poi si sono presentate in video conferenza dal Congo. Con esperienze scolastiche e parrocchiali di pastorale giovanile, sono loro che si stanno preparando per la trasferta in Italia, destinazione Russi. Ora le due sorelle devono affrontare un primo scoglio. Burocratico. Tre anni e mezzo dopo l’omicidio (in circostanze ancora da chiarire) dell’ambasciatore italiano nella Repubblica democratica del Congo Luca Attanasio (22 febbraio 2021), del carabiniere che gli faceva da scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista del Programma alimentare mondiale Mustapha Milambo, l’ambasciata italiana di Kinshasa è ancora chiusa. Dovrebbero ovviare andando all’ambasciata di Brazzaville. Il secondo scoglio lo troveranno qui, a Russi: la lingua italiana. Ma per quello avranno senza dubbio la collaborazione quotidiana dei russiani.

Nonni, sabato 31 agosto pomeriggio di festa in Seminario a Faenza

Sabato 31 agosto nel giardino del Seminario di Faenza (ingresso da viale degli Insorti, 56) dalle 15.30 alle 18.30 si terrà il Pomeriggio dei nonni promosso dalla Diocesi. La giornata prevede musica, intrattenimento e momenti di preghiera e convivialità.

Alle 17 sarà celebrata la messa presieduta dal vescovo monsignor Mario Toso. In caso di maltempo il pomeriggio si svolgerà negli spazi interni del Seminario. L’evento è promosso in collaborazione con la Caritas diocesana, la Pastorale della Salute, Unitalsi, Avulss, Anteas, centro sociale Porta Nova di Russi, Amici del Fontanone, Centro sociale Laderchi, centro sociale Amici dell’Abbondanza, Auser, centro sociale Granarolo.


Giornata del Creato: il 1° settembre in bicicletta dalle sorgenti alla foce del Lamone

La Diocesi di Faenza Modigliana e l’Arcidiocesi di Ravenna Cervia in occasione della Giornata del Creato propongono domenica 1° settembre 2024 l’iniziativa “Spera e agisci con il creato: in bicicletta dalle sorgenti alla foce del Lamone”. 

Proponiamo una staffetta del creato dalle sorgenti alla foce del Lamone, accanto al nostro fiume:

● per poter vivere nella nostra realtà un segno che possa aiutare a riflettere, pregare, incontrarsi
● per toccare le tante realtà colpite in vario modo dall’alluvione
● per saper rileggere il grido della terra e dei poveri, ma anche i germi di speranza, di cura e di rinascita lungo il nostro fiume…
● per arrivare alla celebrazione ecumenica del creato a Marina Romea alle 18 nella chiesa parrocchiale con i nostri vescovi, le chiese ortodosse e le comunità cristiane del nostro territorio

Il percorso

Itinerario con le tappe dove è possibile unirsi o lasciare il percorso:

Partenza dalle sorgenti passo della Colla ore 8,00; sosta al monumento dell’eccidio di Crespino 8,30 a Marradi al ponte vicino alla Chiesa di San Lorenzo ore 9,00 a san Cassiano ore 9.30 -10,15 (sosta per la Messa); a Fognano piazzetta della Chiesa di S. Pietro ore 10.45; a Faenza (passando da Sarna e dal ponte rosso poi dal Ponte delle grazie al tempietto della Memoria) con ritrovo presso la parrocchia di s. Francesco ore 11,45 (Messa ore 11) sosta ristoro. Si riparte ore 12,30

Sosta al cimitero di Ronco ore 13 a Russi alle 14,30 Palazzo san Giacomo di Russi a Villanova di Bagnacavallo al museo delle erbe palustri ore 15,15 a San Romualdo ore 16; Arrivo a Marina Romea presso la chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria alle 17,30

Alle 18 celebrazione ecumenica e a seguire momento conviviale.

Portatevi la borraccia o bicchiere

Per info e adesioni compila il form:
https://docs.google.com/forms/d/1GZuqfYwszVZyJhpe3N0jUyV1IdXCcdy5_1JZ_USwhp4/

don Mirko Santandrea, ecumenismo e dialogo
Flavio Venturi, pastorale sociale e del lavoro

 

Il messaggio del Papa

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO

PER LA GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA
PER LA CURA DEL CREATO

1° settembre 2024

Spera e agisci con il creato

 

Cari fratelli e sorelle!

“Spera e agisci con il creato”: è il tema della Giornata di preghiera per la cura del creato, il prossimo 1° settembre. È riferito alla Lettera di San Paolo ai Romani 8,19-25: l’Apostolo sta chiarendo cosa significhi vivere secondo lo Spirito e si concentra sulla speranza certa della salvezza per mezzo della fede, che è vita nuova in Cristo.

1. Partiamo allora da una domanda semplice, ma che potrebbe non avere una risposta ovvia: quando siamo davvero credenti, com’è che abbiamo fede? Non è tanto perché “noi crediamo” in qualcosa di trascendente che la nostra ragione non riesce a capire, il mistero irraggiungibile di un Dio distante e lontano, invisibile e innominabile. Piuttosto, direbbe San Paolo, è perché in noi abita lo Spirito Santo. Sì, siamo credenti perché l’Amore stesso di Dio è stato «riversato nei nostri cuori» ( Rm 5,5). Perciò lo Spirito è ora, realmente, «la caparra della nostra eredità» ( Ef 1,14), come pro-vocazione a vivere sempre protesi verso i beni eterni, secondo la pienezza dell’umanità bella e buona di Gesù. Lo Spirito rende i credenti creativi, pro-attivi nella carità. Li immette in un grande cammino di libertà spirituale, non esente tuttavia dalla lotta tra la logica del mondo e la logica dello Spirito, che hanno frutti tra loro contrapposti ( Gal 5,16-17). Lo sappiamo, il primo frutto dello Spirito, compendio di tutti gli altri , è l’amore. Condotti, dunque, dallo Spirito Santo, i credenti sono figli di Dio e possono rivolgersi a Lui chiamandolo «Abbà, Padre» ( Rm 8,15), proprio come Gesù, nella libertà di chi non ricade più nella paura della morte, perché Gesù è risorto dai morti. Ecco la grande speranza: l’amore di Dio ha vinto, vince sempre e ancora vincerà. Il destino di gloria è già sicuro, nonostante la prospettiva della morte fisica, per l’uomo nuovo che vive nello Spirito. Questa speranza non delude, come ricorda anche la Bolla di indizione del prossimo Giubileo. [1]

2. L’esistenza del cristiano è vita di fede, operosa nella carità e traboccante di speranza, nell’attesa del ritorno del Signore nella sua gloria. Non fa problema il “ritardo” della parusia, della sua seconda venuta. La questione è un’altra: «il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). Sì, la fede è dono, frutto della presenza dello Spirito in noi, ma è anche compito, da eseguire in libertà, nell’obbedienza al comandamento dell’amore di Gesù. Ecco la beata speranza da testimoniare: dove? quando? come? Dentro i drammi della carne umana sofferente. Se pur si sogna, ora si deve sognare a occhi aperti, animati da visioni di amore, di fratellanza, di amicizia e di giustizia per tutti. La salvezza cristiana entra nello spessore del dolore del mondo, che non coglie solo gli umani, ma l’intero universo, la stessa natura, oikos dell’uomo, suo ambiente vitale; coglie la creazione come “paradiso terrestre”, la madre terra, che dovrebbe essere luogo di gioia e promessa di felicità per tutti. L’ottimismo cristiano si fonda su una speranza viva: sa che tutto tende alla gloria di Dio, alla consumazione finale nella sua pace, alla risurrezione corporea nella giustizia, “di gloria in gloria”. Nel tempo che passa, però, condividiamo dolore e sofferenza: la creazione intera geme (cfr Rm 8,19-22), i cristiani gemono (cfr vv. 23-25) e geme lo Spirito stesso (cfr vv. 26-27). Il gemere manifesta inquietudine e sofferenza, insieme ad anelito e desiderio. Il gemito esprime fiducia in Dio e affidamento alla sua compagnia affettuosa ed esigente, in vista della realizzazione del suo disegno, che è gioia, amore e pace nello Spirito Santo.

3. Tutta la creazione è coinvolta in questo processo di una nuova nascita e, gemendo, attende la liberazione: si tratta di una crescita nascosta che matura, quasi “granello di senape che diventa albero grande” o “lievito nella pasta” (cfr Mt 13,31-33). Gli inizi sono minuscoli, ma i risultati attesi possono essere di una bellezza infinita. In quanto attesa di una nascita – la rivelazione dei figli di Dio – la speranza è la possibilità di rimanere saldi in mezzo alle avversità, di non scoraggiarsi nel tempo delle tribolazioni o davanti alla barbarie umana. La speranza cristiana non delude, ma anche non illude: se il gemito della creazione, dei cristiani e dello Spirito è anticipazione e attesa della salvezza già in azione, ora siamo immersi in tante sofferenze che San Paolo descrive come “tribolazione, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada” (cfr Rm 8,35). Allora la speranza è una lettura alternativa della storia e delle vicende umane: non illusoria, ma realista, del realismo della fede che vede l’invisibile. Questa speranza è l’attesa paziente, come il non-vedere di Abramo. Mi piace ricordare quel grande visionario credente che fu Gioacchino da Fiore, l’abate calabrese “di spirito profetico dotato”, secondo Dante Alighieri [2]: in un tempo di lotte sanguinose, di conflitti tra Papato e Impero, di Crociate, di eresie e di mondanizzazione della Chiesa, seppe indicare l’ideale di un nuovo spirito di convivenza tra gli uomini, improntata alla fraternità universale e alla pace cristiana, frutto di Vangelo vissuto. Questo spirito di amicizia sociale e di fratellanza universale ho proposto in Fratelli tutti. E questa armonia tra umani deve estendersi anche al creato, in un “antropocentrismo situato” (cfr Laudate Deum, 67), nella responsabilità per un’ecologia umana e integrale, via di salvezza della nostra casa comune e di noi che vi abitiamo.

4. Perché tanto male nel mondo? Perché tanta ingiustizia, tante guerre fratricide che fanno morire i bambini, distruggono le città, inquinano l’ambiente vitale dell’uomo, la madre terra, violentata e devastata? Riferendosi implicitamente al peccato di Adamo, San Paolo afferma: «Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). La lotta morale dei cristiani è connessa al “gemito” della creazione, perché essa «è stata sottoposta alla caducità» (v. 20). Tutto il cosmo ed ogni creatura gemono e anelano “impazientemente”, perché possa essere superata la condizione presente e ristabilita quella originaria: infatti la liberazione dell’uomo comporta anche quella di tutte le altre creature che, solidali con la condizione umana, sono state poste sotto il giogo della schiavitù. Come l’umanità, il creato – senza sua colpa – è schiavo, e si ritrova incapace di fare ciò per cui è progettato, cioè di avere un significato e uno scopo duraturi; è soggetto alla dissoluzione e alla morte, aggravate dagli abusi umani sulla natura. Ma, in senso contrario, la salvezza dell’uomo in Cristo è sicura speranza anche per il creato: infatti «anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). Sicché, nella redenzione di Cristo è possibile contemplare in speranza il legame di solidarietà tra gli esseri uomini e tutte le altre creature.

5. Nell’attesa speranzosa e perseverante del ritorno glorioso di Gesù, lo Spirito Santo tiene vigile la comunità credente e la istruisce continuamente, la chiama a conversione negli stili di vita, per resistere al degrado umano dell’ambiente e manifestare quella critica sociale che è anzitutto testimonianza della possibilità di cambiare. Questa conversione consiste nel passare dall’arroganza di chi vuole dominare sugli altri e sulla natura – ridotta a oggetto da manipolare –, all’umiltà di chi si prende cura degli altri e del creato. «Un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (Laudate Deum, 73), perché il peccato di Adamo ha distrutto le relazioni fondamentali di cui l’uomo vive: quella con Dio, con sé stesso e gli altri esseri umani e quella con il cosmo. Tutte queste relazioni devono essere, sinergicamente, ristabilite, salvate, “rese giuste”. Nessuna può mancare. Se ne manca una, tutto fallisce.

6. Sperare e agire con il creato significa anzitutto unire le forze e, camminando insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, contribuire a «ripensare alla questione del potere umano, al suo significato e ai suoi limiti.Il nostro potere, infatti, è aumentato freneticamente in pochi decenni. Abbiamo compiuto progressi tecnologici impressionanti e sorprendenti, e non ci rendiamo conto che allo stesso tempo siamo diventati altamente pericolosi, capaci di mettere a repentaglio la vita di molti esseri e la nostra stessa sopravvivenza» (Laudate Deum, 28). Un potere incontrollato genera mostri e si ritorce contro noi stessi. Perciò oggi è urgente porre limiti etici allo sviluppo dell’Intelligenza artificiale, che con la sua capacità di calcolo e di simulazione potrebbe essere utilizzata per il dominio sull’uomo e sulla natura, piuttosto che messa servizio della pace e dello sviluppo integrale (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2024).

7. «Lo Spirito Santo ci accompagna nella vita»: l’hanno capito bene i bambini e le bambine riuniti in Piazza San Pietro per la loro prima Giornata Mondiale, che ha coinciso con la domenica della Santissima Trinità. Dio non è un’idea astratta di infinito, ma è Padre amorevole, Figlio amico e redentore di ogni uomo e Spirito Santo che guida i nostri passi sulla via della carità. L’obbedienza allo Spirito d’amore cambia radicalmente l’atteggiamento dell’uomo: da “predatore” a “coltivatore” del giardino. La terra è affidata all’uomo, ma resta di Dio (cfr Lv 25,23). Questo è l’antropocentrismo teologale della tradizione ebraico-cristiana. Pertanto, pretendere di possedere e dominare la natura, manipolandola a proprio piacimento, è una forma di idolatria. È l’uomo prometeico, ubriaco del proprio potere tecnocratico che con arroganza mette la terra in una condizione “dis-graziata”, cioè priva della grazia di Dio. Ora, se la grazia di Dio è Gesù, morto e risorto, è vero quanto ha affermato Benedetto XVI: «Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore» (Lett. enc. Spe salvi, 26), l’amore di Dio in Cristo, da cui niente e nessuno potrà mai separarci (cfr Rm 8,38-39).Continuamente attratta dal suo futuro, la creazione non è statica o chiusa in sé stessa. Oggi, anche grazie alle scoperte della fisica contemporanea, il legame tra materia e spirito si presenta in maniera sempre più affascinante alla nostra conoscenza.

8. La salvaguardia del creato è dunque una questione, oltre che etica, eminentemente teologica: riguarda, infatti, l’intreccio tra il mistero dell’uomo e quello di Dio. Questo intreccio si può dire “generativo”, in quanto risale all’atto d’amore con cui Dio crea l’essere umano in Cristo. Questo atto creatore di Dio dona e fonda l’agire libero dell’uomo e tutta la sua eticità: libero proprio nel suo essere creato nell’immagine di Dio che è Gesù Cristo, e per questo “rappresentante” della creazione in Cristo stesso. C’è una motivazione trascendente (teologico-etica) che impegna il cristiano a promuovere la giustizia e la pace nel mondo, anche attraversola destinazione universale dei beni: si tratta della rivelazione dei figli di Dio che il creato attende, gemendo come nelle doglie di un parto. In gioco non c’è solo la vita terrena dell’uomo in questa storia, c’è soprattutto il suo destino nell’eternità, l’eschaton della nostra beatitudine, il Paradiso della nostra pace, in Cristo Signore del cosmo, il Crocifisso-Risorto per amore.

9.Sperare e agire con il creato significa allora vivere una fede incarnata, che sa entrare nella carne sofferente e speranzosa della gente, condividendo l’attesa della risurrezione corporea a cui i credenti sono predestinati in Cristo Signore. In Gesù, il Figlio eterno nella carne umana, siamo realmente figli del Padre. Mediante la fede e il battesimo inizia per il credente la vita secondo lo Spirito (cfr Rm 8,2), una vita santaun’esistenza da figli del Padre, come Gesù (cfr Rm 8,14-17), poiché, per la potenza dello Spirito Santo, Cristo vive in noi (cfr Gal 2,20). Una vita che diventa canto d’amore per Dio, per l’umanità, con e per il creato, e che trova la sua pienezza nella santità. [3]

Roma, San Giovanni in Laterano, 27 giugno 2024