Domenica 12 marzo, nella chiesa parrocchiale di San Barnaba, i tre gruppi del Rinnovamento nello Spirito Santo della Diocesi di Faenza-Modigliana (Effatà, Cenacolo e Divino Amore) hanno festeggiato la Giornata del Ringraziamento, in ricordo dell’approvazione dello statuto da parte del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, avvenuta il 14 marzo 2002. La Santa Messa è stata presieduta dal vescovo monsignor Mario Toso. Come ogni anno, durante la celebrazione, sono state raccolte offerte a favore del Rinnovamento nello Spirito.
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Basta la guerra: è l’ora della pace. Riflessioni con il vescovo monsignor Mario Toso
“Di fronte alla guerra non dobbiamo rifugiarci nel silenzio, ma perseguire scelte coraggiose». Già un anno fa, all’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, il vescovo monsignor Mario Toso aveva proposto la strada della non violenza come via di risoluzione ai conflitti. La non violenza non è silenzio o fuga di fronte alle aggressioni, al male, all’ingiustizia, ma una via che richiede coraggio e determinazione nel contrastarle efficacemente. In un futuro europeo e globale sempre più incerto – quello tra Russia e Ucraina è solo uno dei tanti conflitti della «Terza guerra mondiale a pezzi» indicata da papa Francesco -, il vescovo Mario rilancia una chiave di lettura con la quale interpretare il presente per costruire concretamente un mondo di pace. È infatti in corso di pubblicazione presso Cittadella Editrice (Assisi) il suo nuovo libro dal titolo Basta guerra: è l’ora della pace. Il ruolo dei cattolici: non violenza attiva e creatrice e impegno politico. Un’occasione non solo per rileggere, a un anno dall’inizio della guerra, il conflitto russo-ucraino, ma soprattutto per tracciare le fondamenta di un mondo nel quale tutti sono corresponsabili della pace.
Intervista al vescovo monsignor Mario Toso: “Va rafforzata la via della non violenza attiva e creatrice”
Eccellenza, la Diocesi ha fatto tanto in questi mesi per l’accoglienza dei profughi ucraini. Guardando però al futuro, in che modo la pace potrà nascere su basi solide e non effimere? Che la guerra in Ucraina finisca con l’intensificazione dell’azione diplomatica o con un cessate il fuoco immediato, anche senza un ritiro preventivo delle truppe russe, è sicuramente raccomandabile. È ciò che la stragrande maggioranza si augura, per il bene dei popoli in conflitto, dell’Europa e del mondo. Ma ciò che è molto importante è che una volta sia cessata l’attuale guerra fratricida – poco si è sottolineato che i Paesi in lotta tra loro sono cristiani – si riesca a rafforzare la via della non violenza attiva e creatrice. Essa va tenuta agganciata costantemente all’impegno dei cittadini e, quindi, anche dei cattolici in politica, per universalizzare una democrazia sostanziale, rappresentativa, partecipativa e deliberativa, aperta al Trascendente, per innalzare nuove istituzioni di pace, per rinforzare quelle già esistenti ma inadeguate, come l’Onu. Veniamo più nel dettaglio al libro. E partirei non tanto dal titolo, ma dal sottotitolo. Come dialogano assieme il tema della non violenza e quello dell’impegno politico dei cattolici? In questo volume saranno affrontati due temi cruciali per la cultura cattolica: la non violenza attiva e creatrice e l’impegno in politica. Si tratta di due temi che sono connessi, perché la non violenza attiva e creatrice, inscritta nel dna del cristianesimo, ha bisogno di un particolare impegno dei cattolici sul piano sociale, politico, culturale. Le guerre non nascono e finiscono allorché la politica dei popoli si orienta chiaramente alla realizzazione del bene comune della famiglia umana. È quanto ci insegna la Pacem in terris nel 60esimo anniversario della sua promulgazione. Se i cattolici sono presenti in politica ma sono poco rilevanti, come è oggi evidente in più Paesi, è chiaro che non possono concorrere efficacemente alla costruzione di una società fraterna, libera, giusta e pacifica. Una non violenza attiva e creatrice presuppone un serio e convinto impegno dei cattolici nella società, nella cultura, in politica, nei rapporti multilaterali, sul piano internazionale e sovranazionale.Per una pace duratura serve la volontà seria e concreta dei cattolici impegnati nella politica
Oggi la classe politica cattolica è adeguata per affrontare tutto questo? I cattolici, in ragione della loro vocazione cristiana alla realizzazione del bene comune della famiglia umana, e a fronte dell’attuale situazione di guerra globale, come anche a fronte della insicurezza sanitaria e della crisi ecologica, della involuzione della democrazia e della prevalenza della finanza sull’economia reale, non possono rimanere inermi o assenti dallo scenario politico mondiale. La politica vissuta da circa 2,4 miliardi di cristiani, sia pure secondo diverse intensità culturali e in vari Paesi e istituzioni, a livelli differenti, alla base o ai vertici, potrebbe esprimere, mediante un minimo di coscientizzazione della dimensione sociale della fede, un’azione di vasta portata e di non piccola incidenza. Illusione o impresa disperata? Desiderio velleitario o inutile? A proposito, si potrà pensare come si creda. Sicuramente, non si potrà non convenire sul fatto che molte energie morali e spirituali di credenti o di persone di buona volontà non sono attualmente incanalate verso il bene comune. Esse rimangono inutilizzate rispetto alla concretizzazione di non pochi altri beni universali, in particolare della pace, che è un anelito di tutti. E ciò a fronte di un mondo che è in guerra, caparbiamente proteso verso la propria autodistruzione. Cosa intende? La guerra che si combatte in Ucraina, come ha detto papa Francesco al rientro del suo viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan, non è l’unica. Da dodici, tredici anni la Siria è in guerra; da più di dieci anni lo è anche lo Yemen. Nell’America Latina si contano molteplici focolai di guerra. Ci sono nel mondo guerre che non fanno notizia e, tuttavia, causano morti e stragi. Occorre che tutti collaborino insieme, non esclusi i cattolici. Perché l’azione dei cattolici sia più incisiva è necessario un nuovo modo di presenza nelle società civili, nei parlamenti, nelle relazioni internazionali e multilaterali, sovranazionali. Proprio per questo ci pare pregiudiziale una riflessione attenta sulla situazione attuale dell’impegno politico dei cattolici, sulle sue premesse teologiche, ecclesiologiche, piuttosto neglette o non sviscerate a sufficienza.Settimana comunitaria donne in Seminario dal 24 al 30 marzo
L’area Giovani e Vocazioni della Diocesi propone dal 24 al 30 marzo “Di Casa in casa”, settimana comunitaria donne al Seminario Pio XII di Faenza (via Degli Insorti 56). Un’esperienza comunitaria dove non mancheranno alcuni ingredienti fondamentali per vivere giorni intensi, preghiera, fraternità e momenti di riflessione su alcune donne significative, sulla femminilità e sulla fede.
Info e iscrizioni: Silvia Capra 339 3573181.
Giovani e vocazioni: dal 13 al 18 marzo in Seminario a Faenza gli Esercizi spirituali
Ogni mattina una meditazione per cominciare la giornata con una parola da portare con sé. Ogni sera dalle 19 ci si ritrova di nuovo insieme. E’ possibile fare colazione, pranzo e cena in Seminario e per chi desidera si può anche pernottare (posti limitati). Dal 13 al 18 marzo al Seminario vescovile Pio XII di Faenza (via degli Insorti 56) e al monastero Ara Crucis (via degli Insorti 27) parte il cammino “Vieni Fuori”, esercizi spirituali non residenziali guidati da suor Maria Elisa Visani. Il percorso a cura dell’area Giovani e Vocazioni della Diocesi comincia lunedì sera 13 marzo alle 19 e si conclude nella mattinata di sabato 18 marzo.
Cosa sono gli esercizi spirituali? Per scoprirlo vieni dalla riunione informativa martedì 7 marzo alle 18 in aula San Pier Damiani (ingresso dalla Biblioteca Cicognani, viale Stradone 30).
Info e iscrizioni: don Mattia 328 2481149 mattia.gallegati@gmail.com
Monastero invisibile, preghiamo per le vocazioni… dove? Parte un nuovo percorso alla scoperta dei luoghi della fede
Il nuovo percorso del Monastero invisibile: Preghiamo per le vocazioni… dove?
La nostra preghiera mensile per le vocazioni toglie il freno e ci mette in movimento: mese dopo mese ci porterà nei posti dove riecheggiano i passi, gli sguardi, i gesti e le parole di Gesù.
Andremo insieme a Nazaret, a Gerico, a Emmaus, a Cana. Sosteremo in mezzo al lago, sulla spiaggia, nel deserto. Faremo tappa a Cafarnao, in cima al Tabor, lungo il Giordano. Indugeremo a Gerusalemme: al monte degli ulivi, di fronte al tempio, al cenacolo, lungo la strada verso il calvario, nel giardino della Pasqua.
In ballo c’è la scoperta che ogni elemento geografico dello spazio biblico rispecchia qualcosa di noi: siamo noi quel paesaggio, quella terra, quel paese… e il Signore viene, passa, chiama, trasforma, invia.
Stare al gioco è la più efficace intercessione perché anche altri, particolarmente i giovani, siano attratti a riconoscersi luogo sacro, terra santa in cui la salvezza oggi si compie”.
L’equipe diocesana del Monastero Invisibile
L’equipe diocesana del Monastero Invisibile
Scarica il sussidio di marzo 2023 – Gerico
Referenti Monastero invisibile:
Nel caso decidessi di partecipare a questo percorso, ecco alcuni contatti che ti possono aiutare, guidare e accompagnare lungo il cammino :
Santa Maria Maddalena in Faenza, Luciana 333 2155714
San Savino (Beata Vergine del Paradiso) in Faenza, Rosangela 334 9566029
Santa Maria del Rosario in Errano, Cristina 389 9920412
Parrocchia di San Martino in Reda, Antonietta 3393798202
Messaggio del Santo Padre Francesco per la Quaresima 2023
Ascesi quaresimale, itinerario sinodale
Cari fratelli e sorelle!
I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono concordi nel raccontare l’episodio della Trasfigurazione di Gesù. In questo avvenimento vediamo la risposta del Signore all’incomprensione che i suoi discepoli avevano manifestato nei suoi confronti. Poco prima, infatti, c’era stato un vero e proprio scontro tra il Maestro e Simon Pietro, il quale, dopo aver professato la sua fede in Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio, aveva respinto il suo annuncio della passione e della croce. Gesù lo aveva rimproverato con forza: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!” (Mt 16,23). Ed ecco che «sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte» (Mt 17,1).
Il Vangelo della Trasfigurazione viene proclamato ogni anno nella seconda Domenica di Quaresima. In effetti, in questo tempo liturgico il Signore ci prende con sé e ci conduce in disparte. Anche se i nostri impegni ordinari ci chiedono di rimanere nei luoghi di sempre, vivendo un quotidiano spesso ripetitivo e a volte noioso, in Quaresima siamo invitati a “salire su un alto monte” insieme a Gesù, per vivere con il Popolo santo di Dio una particolare esperienza di ascesi.
L’ascesi quaresimale è un impegno, sempre animato dalla Grazia, per superare le nostre mancanze di fede e le resistenze a seguire Gesù sul cammino della croce. Proprio come ciò di cui aveva bisogno Pietro e gli altri discepoli. Per approfondire la nostra conoscenza del Maestro, per comprendere e accogliere fino in fondo il mistero della salvezza divina, realizzata nel dono totale di sé per amore, bisogna lasciarsi condurre da Lui in disparte e in alto, distaccandosi dalle mediocrità e dalle vanità. Bisogna mettersi in cammino, un cammino in salita, che richiede sforzo, sacrificio e concentrazione, come una escursione in montagna. Questi requisiti sono importanti anche per il cammino sinodale che, come Chiesa, ci siamo impegnati a realizzare. Ci farà bene riflettere su questa relazione che esiste tra l’ascesi quaresimale e l’esperienza sinodale.
Nel “ritiro” sul monte Tabor, Gesù porta con sé tre discepoli, scelti per essere testimoni di un avvenimento unico. Vuole che quella esperienza di grazia non sia solitaria, ma condivisa, come lo è, del resto, tutta la nostra vita di fede. Gesù lo si segue insieme. E insieme, come Chiesa pellegrina nel tempo, si vive l’anno liturgico e, in esso, la Quaresima, camminando con coloro che il Signore ci ha posto accanto come compagni di viaggio. Analogamente all’ascesa di Gesù e dei discepoli al Monte Tabor, possiamo dire che il nostro cammino quaresimale è “sinodale”, perché lo compiamo insieme sulla stessa via, discepoli dell’unico Maestro. Sappiamo, anzi, che Lui stesso è la Via, e dunque, sia nell’itinerario liturgico sia in quello del Sinodo, la Chiesa altro non fa che entrare sempre più profondamente e pienamente nel mistero di Cristo Salvatore.
E arriviamo al momento culminante. Narra il Vangelo che Gesù «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce» (Mt 17,2). Ecco la “cima”, la meta del cammino. Al termine della salita, mentre stanno sull’alto monte con Gesù, ai tre discepoli è data la grazia di vederlo nella sua gloria, splendente di luce soprannaturale, che non veniva da fuori, ma si irradiava da Lui stesso. La divina bellezza di questa visione fu incomparabilmente superiore a qualsiasi fatica che i discepoli potessero aver fatto nel salire sul Tabor. Come in ogni impegnativa escursione in montagna: salendo bisogna tenere lo sguardo ben fisso al sentiero; ma il panorama che si spalanca alla fine sorprende e ripaga per la sua meraviglia. Anche il processo sinodale appare spesso arduo e a volte ci potremmo scoraggiare. Ma quello che ci attende al termine è senz’altro qualcosa di meraviglioso e sorprendente, che ci aiuterà a comprendere meglio la volontà di Dio e la nostra missione al servizio del suo Regno.
L’esperienza dei discepoli sul Monte Tabor si arricchisce ulteriormente quando, accanto a Gesù trasfigurato, appaiono Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti (cfr Mt 17,3). La novità del Cristo è compimento dell’antica Alleanza e delle promesse; è inseparabile dalla storia di Dio con il suo popolo e ne rivela il senso profondo. Analogamente, il percorso sinodale è radicato nella tradizione della Chiesa e al tempo stesso aperto verso la novità. La tradizione è fonte di ispirazione per cercare strade nuove, evitando le opposte tentazioni dell’immobilismo e della sperimentazione improvvisata.
Il cammino ascetico quaresimale e, similmente, quello sinodale, hanno entrambi come meta una trasfigurazione, personale ed ecclesiale. Una trasformazione che, in ambedue i casi, trova il suo modello in quella di Gesù e si opera per la grazia del suo mistero pasquale. Affinché tale trasfigurazione si possa realizzare in noi quest’anno, vorrei proporre due “sentieri” da seguire per salire insieme a Gesù e giungere con Lui alla meta.
Il primo fa riferimento all’imperativo che Dio Padre rivolge ai discepoli sul Tabor, mentre contemplano Gesù trasfigurato. La voce dalla nube dice: «Ascoltatelo» (Mt 17,5). Dunque la prima indicazione è molto chiara: ascoltare Gesù. La Quaresima è tempo di grazia nella misura in cui ci mettiamo in ascolto di Lui che ci parla. E come ci parla? Anzitutto nella Parola di Dio, che la Chiesa ci offre nella Liturgia: non lasciamola cadere nel vuoto; se non possiamo partecipare sempre alla Messa, leggiamo le Letture bibliche giorno per giorno, anche con l’aiuto di internet. Oltre che nelle Scritture, il Signore ci parla nei fratelli, soprattutto nei volti e nelle storie di coloro che hanno bisogno di aiuto. Ma vorrei aggiungere anche un altro aspetto, molto importante nel processo sinodale: l’ascolto di Cristo passa anche attraverso l’ascolto dei fratelli e delle sorelle nella Chiesa, quell’ascolto reciproco che in alcune fasi è l’obiettivo principale ma che comunque rimane sempre indispensabile nel metodo e nello stile di una Chiesa sinodale.
All’udire la voce del Padre, «i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: “Alzatevi e non temete”. Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo» (Mt 17,6-8). Ecco la seconda indicazione per questa Quaresima: non rifugiarsi in una religiosità fatta di eventi straordinari, di esperienze suggestive, per paura di affrontare la realtà con le sue fatiche quotidiane, le sue durezze e le sue contraddizioni. La luce che Gesù mostra ai discepoli è un anticipo della gloria pasquale, e verso quella bisogna andare, seguendo “Lui solo”. La Quaresima è orientata alla Pasqua: il “ritiro” non è fine a sé stesso, ma ci prepara a vivere con fede, speranza e amore la passione e la croce, per giungere alla risurrezione. Anche il percorso sinodale non deve illuderci di essere arrivati quando Dio ci dona la grazia di alcune esperienze forti di comunione. Anche lì il Signore ci ripete: «Alzatevi e non temete». Scendiamo nella pianura, e la grazia sperimentata ci sostenga nell’essere artigiani di sinodalità nella vita ordinaria delle nostre comunità.
Cari fratelli e sorelle, lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti.
Roma, San Giovanni in Laterano, 25 gennaio, festa della Conversione di San Paolo
FRANCESCO
Giornata del malato, il vescovo Mario: “Dopo il Covid, bisogna fare una revisione sincera su quanto avvenuto nei nostri ospedali”
“Abbi cura di lui”, la Chiesa accanto a chi soffre. Domenica 12 febbraio all’ospedale degli Infermi di Faenza è stata celebrata la messa in occasione della Giornata del Malato, promossa dalla Pastorale della Salute. A presiedere la celebrazione eucaristica è stato il vescovo monsignor Mario Toso, in un momento importante specie dopo una pandemia che ha visto tanti malati soli affrontare la malattia. Di seguito riportiamo l’omelia di monsignor Toso, che invita a ricercare tutti “un nuovo modo di avanzare insieme“, compiendo “una revisione sincera su ciò che è avvenuto nei nostri ospedali, sui limiti delle strutture”. “Va compiuto – sottolinea il vescovo Mario – un serio esame sulle scelte fatte. Non basta limitarsi alla critica, alla segnalazione dei limiti riscontrati. C’è sì bisogno di denuncia, ma soprattutto urge che si sia pronti a fare proposte“.
L’omelia del vescovo Mario
Cari fratelli e sorelle, celebriamo la Giornata mondiale del malato. Da tempo era desiderio della comunità cristiana e, in particolare del vescovo, essere presenti in questo ospedale per celebrare, dopo la pandemia, l’Eucaristia assieme agli ammalati. La Chiesa ha vissuto in questo periodo, rispetto a coloro che sono stati ricoverati anche per il Covid-19, momenti di disagio e di trepidazione per i suoi figli e figlie. Non sempre è riuscita a essere presente come desiderava. L’essere qui questo pomeriggio sta a significare che la Chiesa non rinuncia a voi. Desidera camminare insieme a voi, al personale sanitario, secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio Padre ci è modello. Come dice il profeta Ezechiele Egli stesso conduce le sue pecore, va in cerca di quella perduta, fascia quella ferita e cura quella malata. Dio pasce le sue pecore con giustizia (Ez 34, 15-16). Ci pone al centro della sua attenzione e della sua sollecitudine. Cosa vuol dire per noi, singoli e comunità, che Egli pasce le sue pecore con giustizia? Innanzitutto, che la comunità non deve lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto. La comunità, come anche le sue strutture ospedaliere e le case protette, non possono discriminare tra malato e malato, come purtroppo è accaduto più di una volta durante la pandemia. Dobbiamo, invece, applicare l’insegnamento della parabola del Buon Samaritano, dalla quale siamo spronati a muoverci con atteggiamenti di attenzione e di compassione per tutti, in particolare per coloro che sono abbandonati, lasciati da soli. Il buon Samaritano vede quel ferito che altri passanti avevano ignorato. Mosso a compassione si ferma e si prende cura di lui, trattandolo da fratello.
Con la parabola del Buon Samaritano Gesù indica la missione della Chiesa, ma anche di tutti gli uomini, credenti o non credenti, nei confronti dei malati. Tale missione consiste nella predicazione del Vangelo ma anche nell’esercizio della cura per tutti coloro che sono fragili e vulnerabili. La Giornata mondiale del Malato, si legge nel Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale, non sollecita solo alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti. Mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. Occorre, dunque, fare una revisione sincera su ciò che è avvenuto nei nostri ospedali, sui limiti delle strutture. Va compiuto un serio esame sulle scelte fatte. Non basta limitarsi alla critica, alla segnalazione dei limiti riscontrati. C’è sì bisogno di denuncia, ma soprattutto urge che si sia pronti a fare proposte. È questo l’impegno che va assunto da parte dei credenti che accompagnano e curano gli ammalati. La stessa parabola del Buon Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cf Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro degli operatori sanitari e sociali, all’impegno dei famigliari e volontari, grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male.
«Gli anni della pandemia – scrive papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato – hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca. Ma da una così grande tragedia collettiva non basta uscire onorando degli eroi. Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti. Occorre pertanto che alla gratitudine corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute».
La raccomandazione del Samaritano all’albergatore «Abbi cura di lui» (Lc 10,35) deve tradursi per noi sia nell’impegno di costruzione di una società più inclusiva, sia nel migliorare i sistemi di welfare esistenti. Anche in questo contesto non dimentichiamo che tutto è connesso. Le nostre società sono spesso tentate di adottare la logica dello scarto. Il numero degli anziani aumenta e i giovani che lavorano e contribuiscono alla realizzazione del reddito nazionale diminuiscono. Cresce, peraltro, una cultura che impoverisce la considerazione della vita dal suo sorgere sino alla fine. Celebriamo l’Eucaristia perché il Corpo della sua Chiesa si irrobustisca. Il Signore ci aiuti ad essere comunità che avanza nella storia come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare.
Cari fratelli e sorelle ammalati, il Signore vi doni la sua forza e la sua consolazione. Per parte nostra vi diamo il nostro bacio fraterno. Ricordateci nelle vostre preghiere. Teniamoci uniti nel Signore Gesù. Nulla ci separi da Lui.
+ Mario Toso
In
Vespri di Quaresima… road to Gmg 2023. Si parte il 26 febbraio
Il 26 febbraio inizierà il cammino proposto dall’area Giovani e Vocazioni dei Vespri di Quaresima, che si terranno al Seminario di Faenza (via Degli Insorti 56) dalle 19 alle 20. Il 12 marzo i vespri si spostano in Cattedrale per l’assemblea sinodale con il cardinale Matteo Maria Zuppi. Il 26 marzo si arricchiranno inoltre delle confessioni.
Momenti di preghiera per prepararsi a gioire nella resurrezione del Signore. Alcuni testimoni ci racconteranno “la loro” esperienza di Gmg per accompagnarci nel cammino che ci vedrà presenti a Lisbona
Info: Luca Ghirotti 333 4122749
Sant’Agostino: celebrazione per la vita consacrata
2 febbraio, Festa della Presentazione del Signore Giornata mondiale della Vita consacrata
Da ogni parte del mondo, insieme nella nostra piccola diocesi, abbiamo vissuto una bellissima esperienza di Chiesa. Questo pensiero è fiorito dopo la celebrazione nella nostra piccola realtà di consacrate.
Abbiamo vissuto un momento liturgico intenso, “abbracciate” dalla nostra amata Chiesa di Faenza-Modigliana nella persona del nostro vescovo monsignor Mario Toso, dei sacerdoti, dei diaconi, di sorelle e fratelli arrivati da Tredozio, Modigliana, Marradi, Fognano, Faenza, Solarolo, Cotignola,
Alfonsine… e provenienti dall’Africa, dall’America Latina, dall’Asia e… dall’Europa, specialmente dall’Italia. Bella la presenza di sorelle che festeggiavano 50 anni di vita consacrata, alcune 60…
Un ringraziamento particolare al nostro vescovo Mario per lo slancio con cui ha voluto questo appuntamento che si è svolto nella bellissima chiesa di sant’Agostino, con i parrocchiani che tanto si sono impegnati per accoglierci e a tutti i presenti. Vogliamo continuare a camminare insieme nell’Amore.
le Sorelle e i Fratelli consacrati
della nostra Diocesi
L’omelia del vescovo Mario
La santa Messa per la vita consacrata ci sollecita a vivere un momento intenso e suggestivo della nostra fede. Intenso, perché la vita consacrata è modello alto della donazione a Cristo di tutti i credenti. Suggestivo, perché indica ad ogni credente ciò che è essenziale nella vita cristiana per vivere nella gioia del Signore. La Parola di Dio ci presenta, come modello di esistenza, rivolta al Trascendente, Simeone ed Anna, due persone che hanno dedicato tutta la loro vita ad attendere la venuta del Messia, andandogli incontro, sospinti dallo Spirito. Lo Spirito d’amore e di verità, Spirito di Dio, li aveva condotti e sostenuti sino alla vecchiaia, in attesa dell’incontro e dell’abbraccio con Chi è l’approdo di ogni desiderio. Volevano vedere la salvezza tanto sperata, che si rendeva concreta e tangibile nella loro vita, in mezzo al popolo, nella storia dell’umanità.
Essi scrutavano nelle vicende umane i segni della venuta del Salvatore. I loro occhi si erano consumati ed indeboliti. Ma il loro spirito restava indomito, inquieto, ardente di attesa. Gli occhi del loro animo restavano aperti e desiderosi di incontrare finalmente il Messia. È così che, al limite dei loro anni, hanno la gioia di vedere e di incontrare nel Bambino Gesù la salvezza, di toccarla, di accoglierla tra le loro braccia (cf Lc 2, 26-28): una salvezza non eterea, sfuggente, ma fatta carne, umanità vivente.
Care sorelle e cari fratelli religiosi, come è bella la vostra, la nostra attesa. Essa rivive la fedeltà di Simeone e di Anna. Ogni giorno si recano al Tempio. Ogni giorno sperano e pregano, anche se il tempo passa e sembra non accadere nulla. La vita dei religiosi e delle religiose illumina la Chiesa. La riempiono di luce, dello splendore di Cristo. Aspettano tutta la vita, senza scoraggiamenti e senza lamenti, restando fedeli ogni giorno, alimentando la fiamma della speranza nella comunità e tra la gente. Completamente donati al loro Signore, i religiosi e le religiose si dedicano con tutte le forze alla lode e al servizio dell’annuncio del Regno veniente. Le loro comunità, siano esse eminentemente contemplative, siano esse attive nella contemplazione, nell’intimità col Verbo incarnato, sono comunitariamente protese a vedere e a riconoscere Cristo che viene e si propone come principio di vita filiale. Invocano il farsi del Cristo totale, del suo corpo che è la Chiesa, anticipo della pienezza della salvezza.
Gli occhi dei religiosi non sono occhi che colgono la realtà esteriore degli eventi, l’epidermide della storia. Leggono in profondità. Vedono «dentro» la storia, «oltre» ad essa. Non si fermano alle apparenze. Si protendono verso le cose ultime, le cose di lassù. In forza del loro statuto di vita, le religiose e i religiosi svolgono un servizio d’amore comunitario. Portano Gesù Cristo nel loro cuore e lo mettono al primo posto. Tutto pensano e compiono alla luce della nuova creazione, iniziata da Gesù Cristo, con la sua incarnazione, morte e risurrezione. Essi cercano Dio, lasciandosi trovare da Lui, vivendo Lui, sperando Lui. Portano tra le braccia il Bambino Gesù, come i grandi santi: sant’Antonio di Padova, san Pio da Pietrelcina. Lo accarezzano, lo amano, lo adorano per poterlo donare, mediante il loro servizio d’amore alla Chiesa e al mondo. Tenendo tra le braccia Gesù il Signore, le labbra dei religiosi pronunciano parole di benedizione, di lode e di stupore per tutti. Invocano la pienezza della vita di Cristo nell’umanità, nei piccoli e nei grandi. Quando le braccia di un consacrato, di una consacrata non stringono Gesù, non lo baciano, non pongono il loro cuore vicino al suo, corrono il rischio di non vedere il futuro che il Verbo incarnato prepara per la Chiesa e per l’umanità. La loro profezia si annebbia, vacilla. Diventano guide cieche. Non aiutano la loro gente. Diventano responsabili della marginalizzazione delle loro stesse comunità nella società. Perdono l’audacia di sfidare la dittatura del relativismo, il dilagante culto dell’io, che aspira a divenire l’unico parametro di riferimento nella vita. Rinunciano di proporre la rivoluzione di Cristo. Solo da Lui viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo per il mondo.
Carissimi, carissime, fatti nuovi da Gesù Cristo, resi entusiasti dal suo Spirito d’amore, viviamo con gioia la nostra consacrazione. In tal modo saremo di grande aiuto per i nostri fratelli e le nostre sorelle che vivono nelle città e nel lavoro del creato. Li aiuteremo a farsi incessantemente popolo di Dio, umanità che insieme a Cristo fa nuove tutte le cose. I nostri fratelli e sorelle troveranno in noi un segno convincente di speranza. In questa santa Messa apriamo le nostre braccia a Cristo, il consacrato per eccellenza, e con Lui sulla croce teniamo le nostre braccia aperte sul mondo. Vivendo l’Eucaristia lasciamoci tirare dentro in quel processo di trasformazioni che il Signore Risorto suscita nella storia per ricapitolarla in sé. Ricordiamo tutte le sorelle e i fratelli che celebrano l’anniversario della loro consacrazione. Chiediamo al Signore che non faccia mai mancare nella sua Chiesa l’amore indiviso e gioioso delle religiose e dei religiosi. Siano il Vangelo vivente della gioia, siano luce del mondo.
+ Mario Toso
San Valentino: il 12 febbraio Ape-ritiro, pizzata e veglia in cammino verso il matrimonio
Anche quest’anno festeggiamo l’Amore, l’Amore delle oltre cento coppie che decidono di approfondire il loro cammino verso il matrimonio, frequentando i vari percorsi in preparazione. Ci si ritrova <domenica 12 febbraio, insieme anche alle coppie di sposi che sono affezionate a questo momento diocesano, alla parrocchia San Francesco a Faenza.
Il programma di quest’anno sarà in versione estesa. Oltre alla tradizionale veglia delle 20,30, in cui riflettiamo, meditiamo, preghiamo come coppia, è stato introdotto, presso i locali del teatro parrocchiale, l’Ape-ritiro dalle 17 alle 19 e volendo la pizzata insieme dalle 19 alle 20, in attesa della veglia.
L’Ape-ritiro vuole essere un momento laboratoriale di esperienza e confronto all’interno della coppia. Spesso il nostro modo di rapportarci con la realtà circostante è chiuso, staccato. Con questa attività di coppia, vogliamo dare la possibilità di guardare e sperimentare il mondo che ci circonda con altri occhi, con cuore aperto.
I due momenti, fanno parte della stesa iniziativa, sono pensati per essere vissuti insieme, in particolare per le coppie incamminate verso il matrimonio.
Le iniziative sono comunque, frequentabili anche singolarmente, aperte a tutti, per continuare a credere nell’Amore, nella coppia, e festeggiarla, affidandola al Signore che l’ha creata, la sostiene e la ama da sempre.
Pastorale familiare