In questi giorni i cresimati della nostra diocesi sono in pellegrinaggio a Roma per incontrare Papa Francesco. Martedì 17 la Messa alla Basilica di San Pietro celebrata dal vescovo monsignor Mario Toso e mercoledì 18 l’udienza dal Papa.
La consegna del Simbolo degli Apostoli
Il vescovo ha accompagnato più di 500 cresimati sulla
tomba dell’Apostolo Pietro per consegnare loro il Credo, “Simbolo” degli Apostoli. Proprio nella
Basilica di San Pietro ha celebrato la Messa insieme ai sacerdoti della diocesi che hanno accompagnato i ragazzi.
L’omelia del vescovo: “I battezzati debbono considerarsi missionari”
Cari cresimati e genitori, è ormai una tradizione della nostra Diocesi Faenza-Modigliana venire qui presso la tomba di san Pietro, per pregare, per imparare da lui ad amare Gesù Cristo con tutto il cuore, fino alla morte. È anche l’occasione per pregare più intensamente per papa Francesco, successore di Pietro. Il pontefice, che incontreremo domani, ha più volte sollecitato i giovani ad essere apostoli dei giovani. Che cosa vuol dire? Significa che i battezzati e i cresimati debbono considerarsi missionari: ossia persone che dopo aver ricevuto lo Spirito d’amore del Padre e del Figlio, non lo tengono solo per sé come se fosse una proprietà esclusiva, ma sono capaci di donarlo ai propri amici, a coloro che non lo hanno ancora conosciuto e incontrato. Gesù ci dona il suo Spirito d’amore per renderci felici di essere figli del Padre e fratelli tra di noi. Come si può trattenere per sé la gioia di essere amico di Gesù Cristo? Come non comunicarla ai propri fratelli e sorelle, ai propri coetanei? Chi è felice non tiene la gioia solo per sé. Il bene e la gioia, dicevano già gli antichi, tendono a diffondersi. Così, chi è di Gesù Cristo e possiede il suo Spirito d’amore non può viverlo senza farne dono agli altri. Il Papa ha anche detto che i giovani non sono solo apostoli dei propri coetanei, ma sono anche la speranza della missione della Chiesa. Hanno in sé l’attitudine ad essere «viandanti della fede». Sono lieti di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra. Quando conoscono Gesù e gli sono amici intimi, sono ricchi di un grande amore, che è contagioso e rompe ogni barriera di razza, di religione. In una società multietnica e multireligiosa costruiscono ponti di fraternità e di amicizia universali.
L’esempio di sant’Ignazio di Antiochia
Oggi, nella santa Messa che celebriamo, facciamo memoria di un grande santo dei primi tempi della Chiesa:
sant’Ignazio di Antiochia. Fu il secondo vescovo di Antiochia, dopo san Pietro apostolo, primo vescovo in quella città della Turchia. Mentre Ignazio veniva trascinato a Roma per essere dato in pasto alle fiere ebbe modo di scrivere alcune
Lettere alle comunità cristiane. Da queste
Lettere emerge il suo
grande amore per Gesù Cristo, il suo entusiasmo di essere tutto suo, la freschezza della sua fede, che lo sospingeva ad affrontare senza paura il martirio. L’amore per Gesù lo infiammava. Come face ardere il cuore di san Pietro e di san Paolo, anch’essi martirizzati a Roma, il primo crocifisso a testa in giù, il secondo decapitato. Coloro che sono amici di Gesù, ne sono innamorati al punto da offrirgli la propria vita. Ignazio, durante il suo viaggio verso il martirio, non apparve terrorizzato da ciò che l’attendeva. Tant’è che giunto a Roma supplicò i cristiani di non impedire il suo martirio.
Egli era impaziente di unirsi a Gesù Cristo. Ardeva dal desiderio di incontrarlo faccia a faccia. Di fronte alla gioia di vederlo, di stare con Lui, tutto il resto, comprese le sofferenze atroci del martirio, non contava. Ecco che cosa scrisse ai cristiani di Roma che tentavano di evitargli una morte atroce: «Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi sia dato di raggiungere Dio.
Sono frumento di Dio e sarò macinato dai denti delle fiere per divenire pane puro di Cristo. Supplicate Cristo per me, perché per opera di queste belve io divenga ostia per il Signore. […] Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. È vicino il momento della mia nascita. […] Lasciate che io sia imitatore della Passione del mio Dio!» (
Lettera ai Romani di sant’Ignazio di Antiochia).
“Facciamo crescere in noi la potenza dello Spirito di Dio e di Gesù”
Che testimonianza coraggiosa! Ci insegna ad essere dei «
mistici dell’unità con Cristo» e ad essere missionari sino all’ultimo istante della nostra vita, mediante la stessa morte. Mentre si avvicinava a Roma, sotto la ferrea custodia delle guardie, che egli definì «dieci leopardi», con prediche ed ammonizioni rinsaldava le Chiese, invitava i credenti a guardarsi dalle eresie, incoraggiava a non staccarsi dalla tradizione degli apostoli. I martiri anelano con tutto se stessi a Cristo. Il loro sangue sparso diviene, come scrisse Tertulliano, seme di nuovi cristiani. Cari cresimati, è l’amore a Gesù, e l’unione intima con Lui, che è il più grande Martire e Missionario, che ci costituiscono
missionari. Crescendo nell’amicizia con Lui cresciamo nel desiderio di essere suoi. Qui, presso la tomba di Pietro, al quale Cristo disse «
Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18), rinnoviamo gli impegni del Battesimo, confermati il giorno della Cresima.
Rinnoviamo la professione di fede mediante il Simbolo degli apostoli. Siamo amici di Cristo crocifisso. Moriamo con Lui. «Se il chicco di grano – ci ha ricordato l’evangelista Giovanni – caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Vanghiamo e dissodiamo il campo del nostro animo per togliere i sassi e le erbacce.
Facciamo crescere in noi la potenza dello Spirito di Dio e di Gesù.
Mario Toso, vescovo