Author: samuelemarchi

Messaggio di Papa Francesco per la 58esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali

intelligenza artificiale comunicazione

Cari fratelli e sorelle!

L’evoluzione dei sistemi della cosiddetta “intelligenza artificiale”, sulla quale ho già riflettuto nel recente Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, sta modificando in modo radicale anche l’informazione e la comunicazione e, attraverso di esse, alcune basi della convivenza civile. Si tratta di un cambiamento che
coinvolge tutti, non solo i professionisti. L’accelerata diffusione di meravigliose invenzioni, il cui funzionamento e le cui potenzialità sono indecifrabili per la maggior parte di noi, suscita uno stupore che oscilla tra entusiasmo e disorientamento e ci pone inevitabilmente davanti a domande di fondo: cosa è dunque l’uomo, qual è la sua specificità e quale sarà il futuro di questa nostra specie chiamata homo sapiens nell’era delle intelligenze artificiali? Come possiamo rimanere pienamente umani e orientare verso il bene il cambiamento culturale in atto?

A partire dal cuore

Innanzitutto conviene sgombrare il terreno dalle letture catastrofiche e dai loro effetti paralizzanti. Già un secolo fa, riflettendo sulla tecnica e sull’uomo, Romano Guardini invitava a non irrigidirsi contro il “nuovo” nel tentativo di «conservare un bel mondo condannato a sparire». Al tempo stesso, però, in modo accorato ammoniva profeticamente: «Il nostro posto è nel divenire. Noi dobbiamo inserirvici, ciascuno al proprio posto (…), aderendovi onestamente ma rimanendo tuttavia sensibili, con un cuore incorruttibile, a tutto ciò che di distruttivo e di non umano è in esso». E concludeva: «Si tratta, è vero, di problemi di natura tecnica, scientifica, politica; ma essi non possono esser risolti se non procedendo dall’uomo. Deve formarsi un nuovo tipo umano, dotato di una più profonda spiritualità, di una libertà e di una interiorità nuove»[1]. In quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità, la nostra riflessione non può che partire dal cuore umano[2]. Solo dotandoci di uno sguardo spirituale, solo recuperando una sapienza del cuore, possiamo leggere e interpretare la novità del nostro tempo e riscoprire la via per una comunicazione pienamente umana. Il cuore, inteso biblicamente come sede della libertà e delle decisioni più importanti della vita, è simbolo di integrità, di unità, ma evoca anche gli affetti, i desideri, i sogni, ed è soprattutto luogo interiore dell’incontro con Dio. La sapienza del cuore è perciò quella virtù che ci permette di tessere insieme il tutto e le parti, le decisioni e le loro conseguenze, le altezze e le fragilità, il passato e il futuro, l’io e il noi.

Questa sapienza del cuore si lascia trovare da chi la cerca e si lascia vedere da chi la ama; previene chi la desidera e va in cerca di chi ne è degno (cfr Sap 6,12-16). Sta con chi accetta consigli (cfr Pr 13,10), con chi ha il cuore docile, un cuore che ascolta (cfr 1 Re 3,9). Essa è un dono dello Spirito Santo, che permette di vedere le cose con gli occhi di Dio, di comprendere i nessi, le situazioni, gli avvenimenti e di scoprirne il senso. Senza questa sapienza l’esistenza diventa insipida, perché è proprio la sapienza – la cui radice latina sapere la accomuna al sapore – a donare gusto alla vita.

Opportunità e pericolo

Non possiamo pretendere questa sapienza dalle macchine. Benché il termine intelligenza artificiale abbia ormai soppiantato quello più corretto, utilizzato nella letteratura scientifica, machine learning, l’utilizzo stesso della parola “intelligenza” è fuorviante. Le macchine possiedono certamente una capacità smisuratamente maggiore rispetto all’uomo di memorizzare i dati e di correlarli tra loro, ma spetta all’uomo e solo a lui decodificarne il senso. Non si tratta quindi di esigere dalle macchine che sembrino umane. Si tratta piuttosto di svegliare l’uomo dall’ipnosi in cui cade per il suo delirio di onnipotenza, credendosi soggetto totalmente autonomo e autoreferenziale, separato da ogni legame sociale e dimentico della sua creaturalità. In realtà, l’uomo da sempre sperimenta di non bastare a sé stesso e cerca di superare la propria vulnerabilità servendosi di ogni mezzo. A partire dai primi manufatti preistorici, utilizzati come prolungamenti delle braccia, attraverso i media impiegati come estensione della parola, siamo oggi giunti alle più sofisticate macchine che agiscono come ausilio del pensiero. Ognuna di queste realtà può però essere contaminata dalla tentazione originaria di diventare come Dio senza Dio (cfr Gen 3), cioè di voler conquistare con le proprie forze ciò che andrebbe invece accolto come dono da Dio e vissuto nella relazione con gli altri.

A seconda dell’orientamento del cuore, ogni cosa nelle mani dell’uomo diventa opportunità o pericolo. Il suo stesso corpo, creato per essere luogo di comunicazione e comunione, può diventare mezzo di aggressività. Allo stesso modo ogni prolungamento tecnico dell’uomo può essere strumento di servizio amorevole o di dominio ostile. I sistemi di intelligenza artificiale possono contribuire al processo di liberazione dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse. Possono ad esempio rendere raggiungibile e comprensibile un enorme patrimonio di conoscenze scritto in epoche passate o far comunicare le persone in lingue per loro sconosciute. Ma possono al tempo stesso essere strumenti di “inquinamento cognitivo”, di alterazione della realtà tramite narrazioni parzialmente o totalmente false eppure credute – e condivise – come se fossero vere. Basti pensare al problema della disinformazione che stiamo affrontando da anni nella fattispecie delle fake news[3] e che oggi si avvale del deep fake, cioè della creazione e diffusione di immagini che sembrano perfettamente verosimili ma sono false (è capitato anche a me di esserne oggetto), o di messaggi audio che usano la voce di una persona dicendo cose che la stessa non ha mai detto. La simulazione, che è alla base di questi programmi, può essere utile in alcuni campi specifici, ma diventa perversa là dove distorce il rapporto con gli altri e la realtà.

Della prima ondata di intelligenza artificiale, quella dei social media, abbiamo già compreso l’ambivalenza toccandone con mano, accanto alle opportunità, anche i rischi e le patologie. Il secondo livello di intelligenze artificiali generative segna un indiscutibile salto qualitativo. È importante quindi avere la possibilità di
comprendere, capire e regolamentare strumenti che nelle mani sbagliate potrebbero aprire scenari negativi. Come ogni altra cosa uscita dalla mente e dalle mani dell’uomo, anche gli algoritmi non sono neutri. Perciò è necessario agire preventivamente, proponendo modelli di regolamentazione etica per arginare i risvolti dannosi e discriminatori, socialmente ingiusti, dei sistemi di intelligenza artificiale e per contrastare il loro utilizzo nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico. Rinnovo dunque il mio appello esortando «la Comunità delle nazioni a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme»[4].Tuttavia, come in ogni ambito umano, la regolamentazione non basta.

Crescere in umanità

Siamo chiamati a crescere insieme, in umanità e come umanità. La sfida che ci è posta dinanzi è di fare un salto di qualità per essere all’altezza di una società complessa, multietnica, pluralista, multireligiosa e multiculturale. Sta a noi interrogarci sullo sviluppo teorico e sull’uso pratico di questi nuovi strumenti di comunicazione e di conoscenza. Grandi possibilità di bene accompagnano il rischio che tutto si trasformi in un calcolo astratto, che riduce le persone a dati, il pensiero a uno schema, l’esperienza a un caso, il bene al profitto, e soprattutto che si finisca col negare l’unicità di ogni persona e della sua storia, col dissolvere la concretezza della realtà in una serie di dati statistici.

La rivoluzione digitale può renderci più liberi, ma non certo se ci imprigiona nei modelli oggi noti come echo chamber. In questi casi, anziché accrescere il pluralismo dell’informazione, si rischia di trovarsi sperduti in una palude anonima, assecondando gli interessi del mercato o del potere. Non è accettabile che l’uso dell’intelligenza artificiale conduca a un pensiero anonimo, a un assemblaggio di dati non certificati, a una deresponsabilizzazione editoriale collettiva. La rappresentazione della realtà in big data, per quanto funzionale alla gestione delle macchine, implica infatti una perdita sostanziale della verità delle cose, che ostacola la comunicazione interpersonale e rischia di danneggiare la nostra stessa umanità. L’informazione non può essere separata dalla relazione esistenziale: implica il corpo, lo stare nella realtà; chiede di mettere in relazione non solo dati, ma esperienze; esige il volto, lo sguardo, la compassione oltre che la condivisione. Penso al racconto delle guerre e a quella “guerra parallela” che si fa tramite campagne di disinformazione. E penso a quanti reporter sono feriti o muoiono sul campo per permetterci di vedere quello che i loro occhi hanno visto. Perché solo toccando con mano la sofferenza dei bambini, delle donne e degli uomini, si può comprendere l’assurdità delle guerre. L’uso dell’intelligenza artificiale potrà contribuire positivamente nel campo della comunicazione, se non annullerà il ruolo del giornalismo sul campo, ma al contrario lo affiancherà; se valorizzerà le professionalità della comunicazione, responsabilizzando ogni comunicatore; se restituirà ad ogni essere umano il ruolo di soggetto, con capacità critica, della comunicazione stessa.

Interrogativi per l’oggi e il domani

Alcune domande sorgono dunque spontanee: come tutelare la professionalità e la dignità dei lavoratori nel campo della comunicazione e della informazione, insieme a quella degli utenti in tutto il mondo? Come garantire l’interoperabilità delle piattaforme? Come far sì che le aziende che sviluppano piattaforme digitali si assumano le proprie responsabilità rispetto a ciò che diffondono e da cui traggono profitto, analogamente a quanto avviene per gli editori dei media tradizionali? Come rendere più trasparenti i criteri alla base degli algoritmi di indicizzazione e de-indicizzazione e dei motori di ricerca, capaci di esaltare o cancellare persone e opinioni, storie e culture? Come garantire la trasparenza dei processi informativi? Come rendere evidente la paternità degli scritti e tracciabili le fonti, impedendo il paravento dell’anonimato? Come rendere manifesto se un’immagine o un video ritraggono un evento o lo simulano? Come evitare che le fonti si riducano a una sola, a un pensiero unico elaborato algoritmicamente? E come invece promuovere un ambiente adatto a preservare il pluralismo e a rappresentare la complessità della realtà? Come possiamo rendere sostenibile questo strumento potente, costoso ed estremamente energivoro? Come possiamo renderlo accessibile anche ai paesi in via di sviluppo?

Dalle risposte a questi e ad altri interrogativi capiremo se l’intelligenza artificiale finirà per costruire nuove caste basate sul dominio informativo, generando nuove forme di sfruttamento e di diseguaglianza; oppure se, al contrario, porterà più eguaglianza, promuovendo una corretta informazione e una maggiore consapevolezza del passaggio di epoca che stiamo attraversando, favorendo l’ascolto dei molteplici bisogni delle persone e dei popoli, in un sistema di informazione articolato e pluralista. Da una parte si profila lo spettro di una nuova schiavitù, dall’altra una conquista di libertà; da una parte la possibilità che pochi condizionino il pensiero di tutti, dall’altra quella che tutti partecipino all’elaborazione del pensiero.

La risposta non è scritta, dipende da noi. Spetta all’uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza. Questa sapienza matura facendo tesoro del tempo e abbracciando le vulnerabilità. Cresce nell’alleanza fra le generazioni, fra chi ha memoria del passato e chi ha visione di futuro. Solo insieme cresce la capacità di discernere, di vigilare, di vedere le cose a partire dal loro compimento. Per non smarrire la nostra umanità, ricerchiamo la Sapienza che è prima di ogni cosa (cfr Sir 1,4), che passando attraverso i cuori puri prepara amici di Dio e profeti (cfr Sap 7,27): ci aiuterà ad allineare anche i sistemi dell’intelligenza artificiale a una comunicazione pienamente umana.

Roma, San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2024

FRANCESCO


Donatella Di Fiore nuova presidente della Fondazione Pro Solidarietate, ente che gestisce il Centro di Ascolto Caritas Faenza-Modigliana

Donatella di fiore

Passaggio di consegne alla Fondazione Pro Solidarietate, l’ente che ha lo scopo di gestire tutti i servizi del Centro di Ascolto Caritas diocesano di Faenza-Modigliana. La russiana Donatella Di Fiore è stata nominata presidente dal vescovo, monsignor Mario Toso, e succede a Claudio Violani. Collaborerà dunque a stretto contatto con don Emanuele Casadio, il direttore della Caritas diocesana.

Intervista a Donatella Di Fiore, nominata dal vescovo monsignor Mario Toso

Di Fiore, ci racconti a grandi linee la sua esperienza professionale ed extraprofessionale. Dopo avere insegnato diritto per un anno nelle scuole superiori e lavorato, poi, in un ufficio pubblico, sono entrata in magistratura e ho svolto per 37 anni le funzioni di giudice penale, prima in Tribunale a Ravenna, poi in Corte d’appello a Bologna. Un lavoro che ho amato davvero molto. A maggio 2023 sono andata in pensione. Per il resto ho svolto attività di volontariato nell’ambito della mia parrocchia di Russi e per alcuni anni sono stata membro del consiglio pastorale diocesano, in rappresentanza della parrocchia. Ultimamente, per un paio di anni, ho promosso, sempre nell’ambito della parrocchia, una serie di incontri, curati da un esperto psicoterapeuta, rivolti alle coppie, anche quelle “collaudate” per aiutare a rinnovare la relazione di coppia. Un’esperienza breve, ma intensa e che mi piacerebbe riproporre. Ora, terminato l’entusiasmante impegno di organizzare nella Corte di Appello di Bologna la mostra del beato Livatino, il giudice “ragazzino” ucciso dalla mafia, sono nel comitato organizzativo che porterà la stessa mostra a Ravenna, a marzo. Nel frattempo mi occupo della realizzazione di incontri sulla legalità, a cura di magistrati, ex magistrati, avvocati, docenti universitari, nelle scuole e nei centri di formazione professionale di Bologna. Con che spirito ha risposto sì a questa nuova chiamata? Devo dire che la richiesta mi ha sorpresa e trovata incerta, perché non ho esperienza nell’ambito delle opere di carità. D’altra parte chi mi faceva la proposta era troppo autorevole perché non venisse presa sul serio. Così mi sono confrontata, ho rappresentato le mie perplessità, ho cercato di capire meglio se poteva essere una scelta positiva per la Fondazione e per me. Alla fine, non trovando valide ragioni per non accettare mi sono fidata e resa disponibile, onorata e grata per l’opportunità che mi è stata offerta. Di cosa si occupa la Fondazione? È stata costituita nel 2016 su indicazione della Cei e per volontà del nostro vescovo per gestire tutti i servizi del Centro di Ascolto Caritas diocesano. La Fondazione, gestita da un Consiglio di amministrazione che ora presiedo, è, dunque, una emanazione della Caritas diocesana e cura una importante “fetta” dei servizi a favore dei poveri. Tra questi: gli ascolti delle persone in difficoltà, l’accompagnamento verso l’autonomia di persone in stato di disagio sociale, gli aiuti economici per affitto, bollette, assicurazioni, spese mediche, scolastiche, ecc., un dormitorio maschile, una seconda accoglienza maschile e femminile (tre appartamenti), una mensa, la raccolta e distribuzione di viveri e di vestiti, i servizi docce e lavanderia, nonché un centro di accoglienza diurna. Per poter fare fronte alla gran mole di attività la Fondazione si avvale di alcuni operatori dipendenti, di un gran numero di volontari e anche di persone che a vario titolo (servizio civile, alternanza scuola-lavoro, lavoro di pubblica utilità in sostituzione di sanzioni penali) si avvicinano a questa forma di volontariato. Come ha trovato l’ambiente della Fondazione pro Solidarietate? Prima di tutto devo dire che sono stata accolta con grande cordialità e tutti stanno cercando di mettermi a mio agio e di supportarmi nell’ingresso in questo mondo molto articolato, per me del tutto inedito. Ho tanto apprezzato questo calore e questa disponibilità. Ho trovato un ambiente di persone profondamente motivate, che credono davvero in quello che fanno, oltre che molto competenti ed efficienti. Quali obiettivi per il futuro? Sarei molto contenta se riuscissi a comprendere questa realtà, così ricca, in un certo senso ad assimilarla e a entrare in sintonia con le persone che in qualunque modo la vivono.

Samuele Marchi

Nella foto, da sinistra: Donatella Di Fiore, don Emanuele Casadio, Claudio Violani, presidente uscente


Visita pastorale: il vescovo monsignor Mario Toso a Russi

unedì 22 gennaio la comunità parrocchiale di Russi, con don Luca Ravaglia e don Emanuele Casadio, ha accolto il vescovo monsignor Mario Toso in Visita pastorale, la prima del nuovo anno. Un pomeriggio iniziato con due momenti dedicati agli anziani, prima al Centro Sociale Porta Nova, realtà aggregativa per il tempo libero. E poi il trasferimento alla Casa Protetta Baccarini dove monsignor Toso ha celebrato la santa messa. La cena si è svolta in Oratorio assieme ai componenti dei Consigli Pastorale e Affari Economici, seguita da un momento di ascolto di alcuni componenti di queste due realtà. Hanno parlato del funzionamento dei Consigli, dell’impegno nella catechesi, nella liturgia e nella Caritas, dei ministri dell’Eucarestia, del territorio russano, del mondo giovanile e della Festa dell’Addolorata. Per tutti, Gesù Cristo come riferimento, sempre. Questo in sintesi il messaggio di monsignor Mario Toso.

Tanti incontri con la comunità

Martedì 23 il vescovo ha iniziato dall’Asilo Giardino, per poi recarsi in via Cavour al punto Caritas e al Circolo Jolly; quindi un saluto alle sedi del Centro Stampa e della Pubblica Assistenza in piazza Farini. Si è quindi recato al cimitero per un breve momento di preghiera. Nel programma, mercoledì pomeriggio è stato dedicato alla scuola con cena alla Casa Famiglia Ss Angeli Custodi di via Vittorio Veneto 1, con i coniugi Elisa e Marco, e i loro figli; mentre giovedì, dopo un incontro alla sede del Kverneland Group (ex Gallignani) con le imprese russiane, in prima serata si è recato in Municipio per un saluto a Sindaco e consiglieri comunali, all’inizio dei lavori del Consiglio.

La conclusione della visita pastorale è in programma sabato. Monsignor Toso inizierà con la visita al mercatino dell’associazione Il Mantello in via Roma; poi incontrerà i giovani. Nel pomeriggio, preghiera con i ragazzi del catechismo e i loro educatori alla chiesa dei Servi in occasione della festa di San Giovanni Bosco. Alle 18.30 celebrerà messa in Sant’Apollinare.

Giulio Donati

Foto G. Zampaglione


Scuola di formazione della Pastorale sociale. Delrio Faenza: “Ci deve essere libertà di coscienza nell’impegno politico”

“Una scuola come la vostra è importante, perché apre lo sguardo verso quello che è veramente l’impegno politico e il cattolicesimo democratico. Ed essere cattolici impegnati in politica significa occuparsi di tutto, non solo dei poveri, ma anche di economia, di bilancio, di sanità. Si deve proporre un pensiero diverso rispetto alle logiche del mondo…”. Un umanesimo integrale: sono queste le parole del senatore Graziano Delrio, invitato il 18 gennaio scorso alla Scuola di formazione sociale e impegno politico della Diocesi di Faenza-Modigliana. Sollecitato dal vescovo, monsignor Mario Toso, Delrio ha approfondito tanto la storia nel Novecento del cattolicesimo democratico e la sua eredità, quanto le sfide del presente, in un contesto locale, nazionale ed europeo. “Un cristiano che si impegna in politica – ha detto Delrio – non può essere, per sua natura, una persona che sa solo lamentarsi. Una delle parole chiave che invece deve guidarci è la parola speranza. Questo è chiaro, per esempio, nel Codice di Camaldoli. In un’Italia e in un’Europa devastate dalla guerra, il cattolicesimo democratico ha avuto un ruolo fondamentale per la ricostruzione e per la fondazione di un’Europa che, dopo millenni di conflitti, mettesse al centro la pace».

Delrio ospite della Scuola di formazione della Pastorale sociale della Diocesi: “Le persone vengono prima degli Stati e della loro volontà di potenza”

Riprendendo alcuni temi d’attualità che, come il Piccolo, abbiamo affrontato lo scorso numero, anche Delrio ha sottolineato come pacifismo non significhi arrendersi alla prepotenza, ma lottare per costruire, ogni giorno la pace (vedi articolo sul Ministero per la pace promosso dalla Papa Giovanni XXIII, ndr). «Pur nella diversità, bisogna riconoscere sempre nell’altro una persona e una volontà di incontrarsi – ha detto Delrio -. L’altro non è un nemico. La Dottrina sociale della Chiesa ci insegna che gli uomini e le donne vengono prima degli Stati e delle loro volontà di potenza. Per motivi di lavoro ho viaggiato in Israele per quarant’anni, dagli anni ‘80 al 2020. In tutto questo periodo ho percepito dei cambiamenti negativi. La creazione di muri, nel senso letterale del termine, ha portato effetti devastanti dal punto di vista sociale. Se prima arabi e israeliani, pur nelle differenze, lavoravano assieme, si incontravano, frequentavano gli stessi spazi e si conoscevano, ora le persone non si guardano più negli occhi, non si conoscono. L’altro diventa qualcuno che non chiami più per nome: è il primo passo verso la disumanizzazione».

“I cattolici in politica devono occuparsi di tutto in maniera integrale, non solo dei poveri”

Un altro tema su cui la Dottrina sociale della Chiesa ha portato un pensiero nuovo nella società è stato quello del lavoro: anche qui è la persona a essere sempre al centro delle logiche dell’economia. Militare attivamente in un partito, poi, non significa annacquare la propria identità, per esempio quella di essere cattolici e dei propri valori di riferimento. Tutt’altro. E anche qui arrivano esempi d’attualità, come quelli relativi alla legge sul fine vita. Delrio ha detto che sarebbe pronto ad autosospendersi in caso di conseguenze disciplinari contro la consigliera regionale dem del Veneto, Anna Maria Bigon, che sulla legge inerente il fine vita si è astenuta e non è uscita dall’aula regionale, come avrebbe voluto il gruppo del Pd. Ha detto Graziano Delrio: «Lo dico con molta chiarezza: su questi temi mai, e ripeto mai, la disciplina di partito può sovrastare la libertà di coscienza». Questo anche alla luce dell’analisi sulla cosiddetta ‘diaspora’ dei cattolici nel contesto politico, dopo la dissoluzione della Prima Repubblica. «Se nei partiti la diversità non è accettata – ha concluso Delrio – i partiti sono morti».

Samuele Marchi


Insegnamento della religione cattolica: il Messaggio della Presidenza della CEI

Pubblichiamo il Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana in vista della scelta di avvalersi dell’Insegnamento della religione cattolica (IRC) nell’anno scolastico 2024/25. I dati relativi all’anno scolastico 2022/23 restituiscono un quadro di sostanziale stabilità, con una media nazionale di avvalentisi pari all’84,05%.

Cari studenti e cari genitori, nelle prossime settimane si svolgeranno le iscrizioni al primo anno dei diversi ordini e gradi di scuola. In questa occasione, dovrà essere effettuata anche la scelta se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (Irc). Vi invitiamo a considerarla una preziosa
opportunità formativa, che arricchisce il percorso scolastico promuovendo la conoscenza delle radici e dei valori cristiani della cultura italiana. Sono trascorsi quasi quarant’anni da quando, con l’Accordo di revisione del Concordato del 1984 e la successiva Legge di ratifica del 1985, l’insegnamento della religione ha assunto il profilo attuale: quello di una disciplina scolastica aperta, aggiornata dal punto di vista pedagogico e didattico, adeguata all’oggi, attenta ai bisogni educativi delle persone e condotta nel rispetto più assoluto della libertà di coscienza di ognuno. Un valido momento di studio e di dialogo, fatto proprio ogni anno dalla stragrande maggioranza di studenti e di famiglie.

L’ampia partecipazione attesta la qualità formativa di tale insegnamento e, allo stesso tempo, richiama a una responsabilità e a un’attenzione da parte di tutti; la relazione che si instaura fra insegnanti e alunni fa sì che si possano intercettare tematiche culturali ed esistenziali altrimenti non trattate a scuola. In un momento come l’attuale in cui si moltiplicano, da parte dei ragazzi, le domande di ascolto e di vicinanza, l’“alleanza educativa” tra Chiesa e scuola su cui si fonda l’Irc si rivela una risorsa assai preziosa. A renderla possibile ed efficace sono in primo luogo i docenti di religione, di cui riconosciamo la preparazione e la disponibilità e ai quali vogliamo esprimere gratitudine e sostegno. Un pensiero particolare va ai giovani chiamati per la prima volta a scegliere personalmente l’insegnamento della religione cattolica.

Cari ragazzi, ci rivolgiamo a voi attingendo alle parole rivolte da papa Francesco a migliaia di vostri coetanei l’estate scorsa durante la Giornata mondiale della gioventù a Lisbona. Voi, cari studenti, “pellegrini del sapere”, cosa volete vedere realizzato nella vostra vita e nel mondo? Quali cambiamenti, quali trasformazioni? E in che modo l’esperienza che fate a scuola può contribuirvi? Cercate e rischiate! Abbiate il coraggio di sostituire le paure con i sogni! Noi abbiamo fiducia in voi. Possa l’Irc, con il contributo di tutti, sostenere le vostre famiglie nel compito educativo e accompagnare ciascuno di voi nell’avventura della scuola e della vita.

LA PRESIDENZA DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA


Cardinale Achille Silvestrini, nuova edizione del libro a cura del vescovo Mario

a prima edizione del volume Cardinale Achille Silvestrini (Tipografia Faentina, 222 pp.) pubblicato nel 2020 e dedicato al cardinale originario di Brisighella è esaurita. Pertanto, a cento anni dalla nascita, è parso opportuno offrirne una seconda edizione. In questi anni, oltre alla pandemia da Covid, si sono manifestati tragici eventi di guerra. In Medio Oriente è recentemente deflagrato il conflitto tra Hamas e Israele, che va ad aggiungersi alla guerra fratricida tra Russia e Ucraina e ad altri conflitti esistenti nel mondo. Le molteplici guerre che dominano gli scenari del mondo, con il loro tragico seguito di morti, violenze, distruzioni, barbarie e profughi, fanno temere che la Terza guerra mondiale a pezzi – come ripete da diversi anni papa Francesco – possa diventare un’unica, grande guerra. La guerra è oggi il problema dei problemi, senza ignorare i cambiamenti climatici, il massiccio esodo di migranti, la povertà, la crisi energetica.

Occorre dire basta alla guerra e opporre a essa una decisa e sapiente nonviolenza attiva e creatrice. In questo contesto diventa sempre più attuale l’operato del cardinale Achille Silvestrini, protagonista di primo piano della diplomazia pontificia. Egli lavorò instancabilmente nella promozione del diritto alla libertà religiosa, alla sicurezza e alla cooperazione in Europa, alla pace e alla stabilità. Proprio per questo è parso opportuno inserire la lectio magistralis del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato che, il 27 ottobre scorso, ha ricordato i cento anni della nascita del cardinale brisighellese e la sua intuizione dell’importanza del multilateralismo nella costruzione di una nuova Europa e di una nuova comunità politica mondiale. L’intervento è pubblicato secondo la versione apparsa nell’Osservatore romano all’evento “Il cardinale Achille Silvestrini, uomo del dialogo”, celebrato nella sala Protomoteca in Campidoglio alla presenza del presidente della Repubblica, Mattarella.

Mario Toso, vescovo Faenza-Modigliana

La vita

Nato a Brisighella, nella Diocesi di Faenza, il 25 ottobre 1923, Silvestrini è entrato a 19 anni nel Seminario diocesano faentino dove, nel 1946, è stato ordinato sacerdote. Nel luglio 1973 è stato nominato sotto-segretario del Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa. Dal 1° luglio 1988 al 24 maggio 1991 è stato prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura apostolica. Da l 1991 al 2000 è stato prefetto della Congregazione per le Chiese orientali. Creato cardinale da san Giovanni Paolo II nel 1988, è morto il 29 agosto 2019.

Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani: 18-25 gennaio

La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani ci invita quest’anno a rivivere la parabola del buon samaritano e a tenere insieme i comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo. Si apre di fatto con il comune ascolto delle Scritture del 18 gennaio e continua nella preghiera del vespro ospiti della chiesa ortodossa moldava il sabato 20.

Domenica 21 gennaio nella chiesa cattolica celebreremo la domenica della Parola di Dio per trovare in essa la sorgente della conversione sempre necessaria al cammino ecumenico e sarà il nostro vicario generale don Michele Morandi a guidarci nella celebrazione eucaristica alle 17,30 a San Francesco. Saranno presenti anche responsabili delle chiese e comunità cristiane della città.

La veglia di preghiera ecumenica sarà ospitata giovedì 25 gennaio alle 20,30 dalla comunità evangelica apostolica di via Piero della Francesca: il testo di quest’anno è preparato dalle chiese cristiane del Burkina Faso messe alla prova dalle violenze e dal terrorismo. Sarà un’occasione preziosa perché i canti saranno preparati insieme al coro dei francofoni africani e potremo anche ascoltare una seme di pace grazie alla presenza di una famiglia, testimone da anni di una relazione significativa fra Faenza e il Burkina. Questa veglia si iscrive in un mese denso di iniziative di pace fra il 1 gennaio, giornata mondiale della pace e il 4 febbraio, giornata della fratellanza umana.


Gli appuntamenti per la Giornata del Dialogo ebraico-cristiano: incontro il 18 gennaio e cena il 19

Quest’anno la giornata per il dialogo ebraico cristiano è caratterizzata dal testo profetico di Ezechiele con la scelta da parte della Commissione Episcopale della CEI per l’Ecumenismo e il Dialogo e dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia di una pagina celebre sulla resurrezione al cap. 37.  Nel sussidio della giornata si evidenzia che “l’immagine di Dio che traspare dal testo è quella del Creatore, come quella del racconto della creazione dove dona l’alito che fa vivere (cfr Gen 2). Forte di questa certezza il profeta può guardare al futuro: Dio ha creato e Dio creerà di nuovo. Emerge la presenza dello spirito di Dio capace di far rinascere, di far “ripartire”, di creare vita là dove c’era solo caos e morte. Il profeta attesta una fede che va oltre l’esperienza concreta e che si radica nel momento delle origini, completamente indisponibile all’uomo, ma comunque abitato dalla presenza efficace di Dio che interviene grazie al suo Spirito.”

In questa luce i vescovi ricordano le parole del Concilio: “La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino. Il suo messaggio non toglie alcunché all’uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso” (GS 21). Siamo destinati ad un compimento. Come credenti desideriamo collaborare con tutti coloro che, seguendo le “aspirazioni più segrete”, contribuiscono a far nascere un mondo nuovo. Come credenti desideriamo offrire il nostro servizio a tutti per far sbocciare il Regno, rigenerando speranza, fiducia e coraggio.”

I rabbini ricordano che “in epoca moderna, con l’avvio del ritorno degli ebrei in terra d’Israele, questa pagina del profeta Ezechiele è stata letta in una prospettiva molto concreta di richiamo alla rinascita nazionale, e un’eco di questo approccio lo troviamo nelle parole del testo poetico, successivamente divenuto l’inno nazionale dello Stato d’Israele, composto nel 1877 da Naftali Herz Imber, che, con chiaro riferimento alle parole di Ezechiele dice, nella versione originale, “Non è ancora perduta la nostra speranza di tornare alla terra dei nostri padri”. Dopo la tragedia della Shoà, questo passo profetico di Ezechiele si è mostrato di un’attualità drammatica, non era più necessario ricercare alcun senso allegorico alla descrizione delle ossa rinsecchite, la cui visione era apparsa agli occhi del mondo in tutta la sua sconvolgente realtà, mentre le schiere dei risorti, descritti dal profeta, richiamano tutti i superstiti della Shoà che hanno cercato una nuova vita nel rinato stato ebraico.”

Nella città di Faenza questa giornata è anche quest’anno la prima di varie iniziative per il giorno della memoria e offrirà il 18 gennaio alle 18 nella chiesa di san Francesco l’intervento di Miriam Camerini, regista teatrale ed esperta di ebraismo, insieme al pastore valdese di Rimini Alessandro Esposito.

Viviamo mesi drammatici di guerra e di violenza per tutti gli abitanti di quella terra che in molti chiamiamo santa, l’esercizio del dialogo possa aiutare tutti i figli di Abramo  e tutti gli uomini di buona volontà a far rinascere possibilità di convivenza pacifica in quei luoghi.

Il giorno seguente, 19 gennaio, sarà sempre Miriam Camerini a offrire la possibilità di comprendere meglio il senso dello shabbat con una cena performance presso l’Istituto Alberghiero di Riolo Terme (prenotazione necessaria qui https://forms.gle/GobReKDap523Vfmt8 ), occasione di dialogo e di conoscenza per gli studenti coinvolti e per quanti vorranno raccogliere l’invito.


Sposarsi oggi: esiste ancora il ‘per sempre’? Il 14 gennaio incontro a Faenza con padre Alfredo Ferretti

Tutti sappiamo che negli ultimi decenni, nel nostro paese, sono avvenute trasformazioni che hanno modificato le relazioni familiari e sociali. Domenica 14 gennaio nella chiesa della Beata Vergine del Paradiso a Faenza alle 15 si terrà un incontro promosso dalla Pastorale Familiare e dal gruppo Talità Kum con padre Alfredo Ferretti, direttore del “Centro la Famiglia” di Roma dal titolo “Essere sposi oggi: è ancora attuale nel matrimonio il per sempre?”. Padre Alfredo collabora attualmente con diverse diocesi per le attività della Pastorale Familiare e accompagna gruppi di famiglie con separati e divorziati.

Nel 2020 il numero delle separazioni è risultato superiore a quello dei primi matrimoni

L’istituzione “famiglia” ha subito grandi cambiamenti: sono cresciute le famiglie ricostituite, i genitori soli, le unioni libere. Anche la lettura dei dati Istat mette in evidenza che il crollo dei matrimoni, avvenuto nel 2020 per la pandemia, in realtà accentua una tendenza che si osserva da oltre quarant’anni, legata a profonde trasformazioni sociali e demografiche. Nel 2020 il numero delle separazioni risulta superiore a quello dei primi matrimoni, mentre nel 2008 era in un rapporto inferiore ad un terzo. A ciò vanno aggiunte tutte le problematiche familiari sommerse. Molte coppie oggi scelgono la convivenza. Le scelte attuali hanno cambiato la vita delle persone e portato la Chiesa a interrogarsi sulla propria capacità di accogliere le nuove realtà familiari, nel tentativo di superare l’atteggiamento a volte giudicante di chi si sente “in regola”.

In Diocesi il gruppo Talità kum: un percorso assieme

Il gruppo “Talità kum”, nato nella Diocesi di Faenza a ottobre 2014, si propone di accompagnare coloro che, avendo vissuto l’esperienza della separazione o del divorzio, desiderano condividere con altri un cammino di crescita personale e spirituale nella comunità cristiana. Dalla condivisione delle esperienze emergono problematiche prevalenti: fatica nell’elaborazione del lutto, senso di fragilità e smarrimento, timore per il futuro dei figli, solitudine, ma anche desiderio di rinascita e di condivisione. Famiglia è anche la famiglia di chi ha visto la trasformazione del proprio legame in una separazione necessaria. Famiglia è anche la famiglia di chi si è trovato solo nella crescita dei figli. Famiglia è anche la famiglia ricostituita dopo un’esperienza di abbandono o di fallimento. Papa Francesco nell’“Amoris Laetitia” ci ha invitato al discernimento, ad astenerci dal facile giudizio, ad interrogarci su una pastorale schematica che si è sempre rivolta a gruppi di persone omogenee, con le stesse condizioni di vita. Accogliere significa vedere la persona al di là delle sue scelte, delle sue fatiche, dei suoi “fallimenti”, con il desiderio di costruire una vera comunità, costruita su relazioni sincere, senza il timore di perdere i punti di riferimento.