Lunedì 27 maggio, in due incontri pubblici svoltisi nell’aula magna del Seminario di Faenza, la Caritas diocesana ha presentato i dati dell’indagine: “Alluvione – Come è entrata nella vita di ognuno di noi”, sullo stato del nostro territorio a un anno dall’alluvione. All’incontro hanno partecipato il vescovo, monsignor Mario Toso; il direttore di Caritas Italiana don Marco Pagniello; il direttore della Caritas diocesana don Emanuele Casadio; l’assessore al Welfare del Comune di Faenza, Davide Agresti e Maria Chiara Lama, curatrice del report.
L’indagine è stata redatta a partire da un questionario online rivolto alla comunità diocesana nelle scorse settimane. Dalla situazione abitativa a quella sociale, dal contesto lavorativo a quello famigliare sono diversi i temi che vengono approfonditi dal questionario, al quale hanno risposto 586 persone (donne 72%, uomini 28%). Hanno partecipato all’indagine persone di tutte le fasce di età, in particolare il 55% appartiene alla fascia di età 46-65 anni.
Il report è scaricabile sul sito della Caritas di Faenza-Modigliana (caritasfaenza.it).
La questione abitativa e lavorativa
Al centro delle criticità ancora presenti, c’è l’emergenza abitativa. Tra coloro che vivono in quartieri alluvionati, il 44% ha avuto la casa totalmente coinvolta, il 32% parzialmente, il 17% ha avuto garage e cantina alluvionati. Nei giorni subito successivi all’alluvione, tre persone su cinque erano fuori casa. Il 34% è rientrato in un secondo momento, mentre il 24% (118 persone) non è ancora rientrato.
Diverse persone hanno vissuto l’emergenza dovendo cambiare più volte la sistemazione. Il 60% ha dichiarato di essere stati ospitati da parenti e il 30% da amici. Anche l’aiuto spontaneo da parte di persone sconosciute ha dato però un’iniezione di energia e positività.
Il 33% ha perso l’automobile: 33 persone dichiarano di non poterne comprare una nuova anche se ne hanno bisogno.
L’84% delle persone ha dovuto attingere ai propri rispari. Se si fa riferimento solo a chi abita in quartieri alluvionati, la percentuale arriva a 91%. Il 31% ha subito danni nell’attività lavorativa (sede alluvionata, persi i macchinari, persi i clienti) e 10 persone dichiarano di aver perso il lavoro a causa dell’alluvione.
La questione sociologica-relazionale
Alla domanda ‘Come stanno vivendo i tuoi familiari il periodo successivo all’alluvione?’ Le persone hanno dato più risposte, indicando che in tempi diversi le reazioni erano diverse. Spesso c’è stato un periodo di energia e positività e poi uno successivo di tristezza e ansia. Il 59% dichiarano che hanno reagito dandosi da fare, il 31% con tristezza e ansia, il 20% con energia e positività, il 14% rimanendo attoniti.
Per quanto riguarda i propri figli, il 37% ha dichiarato che sono resilienti, il 28% che sono spaventati dall’acqua, il 25% che sono più nervosi e il 15% che sono più legati alla famiglia. Al nervosismo aggiungiamo anche difficoltà a studiare e attacchi di panico. Viene anche segnalato che hanno imparato a donare senza dare nulla in cambio.
Il 48% ha dichiarato che i nonni invece sono più disorientati e confusi, il 27% che la situazione sanitaria è peggiorata. Se hanno perso la casa, la maggior parte (73%) risponde che sono andati a stare da parenti, purtroppo per 5 anziani è stato necessario il ricovero in struttura. Una scelta che, senza l’alluvione, o non sarebbe stata presa o sarebbe stata più avanti nel tempo.
Il pensiero delle persone va spesso all’alluvione con la pioggia e le allerte meteo. Il 66% dichiara di provare ansia e stress. Di questi il 41% ha sentito bisogno di uno psicoterapeuta e di questi 90 hanno iniziato un percorso. 110 persone hanno problemi a dormire.
Molto coinvolta e richiamata al suo dovere è l’amministrazione; si esigono personale competente e il coraggio di agire. È richiesta una progettualità di lungo respiro, non azioni per tamponare nell’immediato. La prevenzione viene evidenziata come il miglior investimento. Vengono sottolineati i momenti di unione e condivisione, ma si teme che, a distanza, si crei una spaccatura tra ‘alluvionati’ e ‘ non alluvionati’ e, ancora più nello specifico tra ‘alluvionati di serie A’ e ‘alluvionati di serie B’.
Le dichiarazioni
“A un anno dalle alluvioni in Emilia-Romagna, Caritas Italiana sceglie di restare accanto alle comunità provate dall’emergenza – sottolinea don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana -. Il 29 maggio 2023, ci siamo recati a Faenza, una delle zone più colpite dagli effetti delle alluvioni. In quella occasione, pur considerando le esigenze contingenti, abbiamo scelto di individuare i bisogni a lungo termine e gli strumenti adatti per farvi fronte. Non si è scelto di costruire solo risposte o interventi immediati, ma soprattutto relazioni di prossimità intense e costanti. Anche grazie alla generosità di tanti, abbiamo contribuito ad avviare percorsi di rinascita, accompagnando le famiglie e le piccole imprese nel loro ritorno all’autonomia”.
“Da scenari drammatici – aggiunge il vescovo monsignor Mario Toso – è emersa la forza della vera fraternità, del dono di sé stessi per gli altri. Abbiamo sperimentato che Dio è sempre all’opera e con il suo Spirito d’amore suscita prodigi di bene che rendono il cammino della ripresa e della ricostruzione meno faticoso, più ricco di speranza. L’aiuto di tante persone generose, di tante Chiese sorelle, di tante istituzioni civili e pubbliche, di volontari, della Protezione civile, delle varie forze dell’ordine, dei Vigili del fuoco, di giovani, di associazioni, di vari Ordini, compreso l’Ordine Teutonico Militare, hanno reso i nostri giorni meno amari, più colmi di prossimità rincuorante”.
“L’analisi dei dati forniti dai questionari – commenta don Emanuele Casadio, direttore della Caritas diocesana di Faenza-Modigliana – permette alla Caritas di osservare i fenomeni in corso e programmare interventi futuri, ma sempre partendo dall’azione fondamentale di incontro e vicinanza alle persone coinvolte. Per la Caritas, osservare prima di agire è una metodologia ormai consolidata nel tempo, ma che rischia di venire meno durante l’emergenza, perché l’attenzione si focalizza sui bisogni primari a cui rispondere. A un anno dall’alluvione, invece, abbiamo voluto metterci in ascolto della comunità e comprendere meglio quale è il suo attuale stato di salute, grazie a questa indagine”.
“A dodici mesi dei tragici eventi di maggio scorso tante sono le cose fatte, e tante ancora le cose da fare – ricorda l’assessore al Welfare Davide Agresti -. Sicuramente abbiamo preso coscienza che ricostruire la nostra città non significhi soltanto ripulire le case dal fango, ma anche prenderci cura delle persone, accompagnare e alleviare le ferite meno visibili. Per farlo ci siamo accorti servire lo sforzo di tutti, come nelle concitate settimane subite successive all’alluvione, anche oggi non dobbiamo perdere lo spirito di collaborazione e sussidiarietà che ha contraddistinto l’operato di tutte le istituzioni: pubbliche, pastorali, associative. Il documento voluto e redatto dalla Caritas è segno concreto di questa volontà di approfondimento e dialogo, strumento così necessario per non sottovalutare ogni aspetto delle conseguenze di ciò che è successo, e stimolo per progettualità future”.