Cari fratelli e sorelle, è questo un momento in cui Dio onnipotente, come abbiamo pregato, accresce in noi, singoli e comunità, fede, speranza e carità. Contempliamo e riflettiamo sull’origine della salvezza che ci è donata. Consideriamo la nostra chiamata e la molteplice partecipazione al sacerdozio del Signore Gesù.
Caro Marco, chiamato all’ordine del diaconato, sarai di aiuto al vescovo e al suo presbiterio nel ministero della parola, dell’altare e della carità, mettendoti al servizio di tutti i fratelli, specie dei più poveri. In particolare, annunzierai il Vangelo, distribuirai il sacramento del Corpo e Sangue del Signore. Esorterai e istruirai, per conseguenza, nella dottrina di Cristo, anche quanti sono alla ricerca della fede. Guiderai le preghiere, amministrerai il Battesimo, assisterai e benedirai il Matrimonio, porterai il viatico ai moribondi, presiederai il rito delle Esequie.
Quali gli atteggiamenti richiesti per il tuo prezioso ministero? Anzitutto, la dedizione totale, quale discepolo di Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e darsi tutto. In secondo luogo, prontezza nel compiere la volontà di Dio. In terzo luogo, gioia e generosità nel dono di te stesso, mediante il celibato e un cuore indiviso. Tutta la tua vita dev’essere fondata e radicata nella fede, ossia nell’incontro e nell’esperienza di Cristo, accolto, amato, celebrato, testimoniato. Cosa potrà custodire la tua fede? Una coscienza pura, ossia sempre alla ricerca della verità. Chi è scelto per il dono pieno di sé, al servizio del Signore nella Chiesa e nel mondo, non può che sentirsi povero, peccatore, sempre sproporzionato, bisognoso dell’amore risanante e liberante del Padre. Non può sentirsi chissà chi, una persona piena di sé, che fa sfoggio dei suoi meriti e non si umilia. La preghiera di colui che è inviato nella vigna è come quella del pubblicano. Non è lunga e sbrodolata come quella del fariseo. È molto breve: «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Lc 18, 9-14). Niente di più. Caro Marco, agisci sempre da persona umile. Non vantarti di quello che fai. Sii mendicante della misericordia del Signore. Solo così, potrai al termine del viaggio della tua vita, affermare come san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm. 4, 6-8).
Vieni ordinato diacono in un momento importante della storia della nostra diocesi di Faenza-Modigliana. E precisamente nella fase attuativa del Sinodo dei giovani. Come tuo vescovo, in questa particolare fase storica, oso domandarti, di aiutarmi, di aiutare ugualmente il presbiterio, ad accompagnare soprattutto i giovani sinodali perché non abbiano paura nel formarsi, attraverso esperienze di bene e lo studio teologico, nella fede e nell’appartenenza a Cristo. Senza una fede ben radicata e formata, dal punto di vista affettivo, intellettuale e culturale, c’è il rischio di non riuscire ad aiutare la propria Chiesa ad annunciare coraggiosamente il Vangelo, in un «oggi» caratterizzato da politeismo e dal non-senso. Si corre il rischio di vanificare il Sinodo, di balbettare appena, se mai si riesce, le ragioni della propria speranza. Chi non ha una fede salda difficilmente trova nuovo entusiasmo e forti motivazioni per la missionarietà. Non si può pensare di essere missionari nei confronti dei giovani lontani dalla Chiesa, se la propria fede è poca cosa, semispenta.
Testimoniare la verità di Cristo, senza possedere una coscienza pura, ossia liberata dal male, in grado di riconoscere, di fronte ai grandi problemi morali e religiosi, una verità, la verità è un’impresa improba. Una coscienza che non coltiva la verità, difficilmente si apre e si consegna a Gesù Cristo, somma Verità, fonte di libertà. Difficilmente la può consegnare agli altri. Recentemente è stato canonizzato il cardinale John Henry Newman. Egli ci ha insegnato che quel «noi», che è la Chiesa, non ha come obiettivo l’eliminazione della coscienza libera, bensì quello di custodirla, di proteggerla e di farla fiorire, aiutando ogni persona a riconoscere nel proprio intimo la voce di Dio, il suo Verbo fatto carne. Nella coscienza di ogni persona, infatti, è seminato l’anelito all’incontro con Cristo, Amore pieno di verità. Cristo, Via, Verità e Vita è atteso da ogni coscienza. La Chiesa sorge con la missione di diventare Madre delle coscienze, affinché possano incontrare Chi può farle confluire nell’oceano infinito della Verità, che è Dio-Trinità.
Caro Marco, aiuta i credenti a scoprire la voce divina che si trova nel loro cuore. Una tale voce li aiuterà a smarcarsi da ogni totalitarismo, da ogni idolo, e a trovare un varco per giungere nella comunità cristiana che conserva ultimamente quel Senso che è ricercato dal profondo di ogni coscienza. Se la sollecitudine pastorale ti creano insuccessi, cali di popolarità, pensa alla tensione d’amore che vive Cristo sulla croce. Ti porterà luce, desiderio di essere uno col Figlio crocifisso, missionario del Padre, in un mondo assetato di sapienza e di amore. Se vorrai vivere per i tuoi fratelli e sorelle, immedesimati, sempre di più, in Colui che ha dato la vita per tutti, e dei molti ha formato una sola famiglia di figli, per Dio. Con la tua dedizione entusiasta al Signore, insegna a non vivere un cristianesimo sbiadito ed incolore, senza spessore. Cresci con la preghiera nella comunione con il Signore Gesù, per essere completamente suo, per sempre. È bello far parte di un popolo di credenti che, compatti, si dissetano al calice della Salvezza e si nutrono col pane della Vita, mentre camminano, spediti e bramosi, verso la Luce. Essa tutto illumina, colma di senso le fatiche pastorali, le croci delle incomprensioni, le attese dei germogli e dei frutti copiosi.
Caro Marco, cari genitori e parenti di Marco, cari giovani e fedeli, il Signore ci visita sempre con i suoi doni. Noi, sua Chiesa, accogliamolo, serviamolo, lodiamolo.
+ Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana