Il presbitero, in particolare, è a servizio del popolo di Dio, quel popolo sacerdotale della Nuova Alleanza, che è costituito tale grazie alla morte e risurrezione di Gesù Cristo, il Sommo Sacerdote. La vita del presbitero, come anche la Chiesa – popolo di cui è ministro -, vanno letti e compresi proprio alla luce della morte e risurrezione di Cristo.
Grazie alla morte e risurrezione del Signore Gesù, l’esistenza di ogni credente, compresa quella del presbitero, non è per il nulla, bensì per una vita in pienezza, già fin da questa terra. Con la morte, la vita non ci è tolta ma trasformata; non viene annientata bensì potenziata, eternizzata, stabilizzata in una vita immortale. Veniamo sepolti corruttibili, risorgeremo incorruttibili. Il Cristo glorioso siede accanto al Padre e ci attende per essere tutti con Lui, partecipi della sua pienezza di vita. Un simile destino, però, non è solo per i singoli credenti. È per il popolo intero di Dio. Diventati di Cristo, nutriti di Lui con il pane eucaristico, mediante il dono del suo Spirito d’amore diventiamo un «noi» di persone, strutturato dalla comunione con Cristo e tra di esse, partecipi della sua missione di Inviato del Padre e della sua ricchezza di vita. Il popolo cristiano è popolo di pellegrini che mentre attraversano la terra la trasfigurano. In che maniera? Vivendo santi ed immacolati, nella Carità, ossia animati dall’Amore di Cristo, ricevendone redenzione, perdono delle colpe, secondo la ricchezza della grazia del Figlio di Dio. Cristo riversa in noi la sua vita filiale in abbondanza, assieme ad ogni sapienza. Donandoci ogni sapienza ed intelligenza, ci fa conoscere e sperimentare il mistero della volontà di Dio, il suo disegno: ricondurre a Cristo, come unico Capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. Dio, quando risuscita e fa sedere alla sua destra il suo Figlio glorioso – il Figlio in cui noi siamo figli del Padre -, manifesta la speranza a cui siamo chiamati, nonché il nostro compimento nel Risorto. Cristo ci è indicato come Capo su tutte le cose, come loro perfezione.
Nella Chiesa, ovunque noi siamo e qualunque professione esercitiamo, siamo chiamati, dunque, a vivere con l’atteggiamento dei figli nel Figlio, per concorrere ad attuare una nuova creazione. Come persone e come comunità abbiamo la missione di continuare quella di Cristo: fare nuove tutte le cose in Lui e per Lui, per generare una nuova umanità e una nuova storia. Il futuro delle nostre comunità sta nel percepirsi come un popolo nuovo, una sola umanità, un solo uomo in Cristo, misura perfetta dell’umanità: libera, responsabile, fraterna, relazionale, solidale, giusta e pacifica. Vivendo in comunione con Cristo e tra di noi, possiamo continuare nel nostro territorio la gloriosa tradizione che ha contraddistinto il popolo di Dio sia sul piano della santità sia sul piano sociale, della umanizzazione.
Proprio a partire dalla consapevolezza del nostro essere popolo di pellegrini che trasfigura la terra che attraversa, proprio su questo sfondo viene spontaneo riflettere sulla figura di Monsignor Antonio Taroni e invitare a pregare per lui e i suoi famigliari. Vicario parrocchiale a Granarolo, assistente diocesano dell’Azione Cattolica formò molti giovani nello spirito del Concilio Vaticano II, ossia secondo una visione di Chiesa centrata non tanto sul sacramento dell’ordine bensì sui sacramenti dell’iniziazione cristiana. Battesimo, cresima, eucaristia costituiscono i fondamenti della Chiesa, che comprende così tutti i membri del popolo di Dio. Il ricentramento battesimale dell’ecclesiologia conciliare ha permesso a Mons. Antonio, ma non solo a lui, di collocare il suo sacerdozio nella luce più adeguata, quella ministeriale. Parimenti, gli ha consentito di indicare lo spazio per un’effettiva vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo, pensati come soggetti ecclesiali e non più oggetto dell’azione ecclesiale. Come parroco di sant’Apollinare a Russi, non solo ha ristrutturato gli ambienti parrocchiali, ma ha speso la sua vita tra la gente, ha educato i giovani, ha accompagnato le famiglie, ha visitato gli ammalati, si è fatto carico dei poveri, ha contribuito a costruire la comunità ecclesiale e civile. Ha investito nella formazione dei formatori, convinto che il patrimonio della presenza ecclesiale in un territorio si regge sulle gambe di credenti ben preparati. Ha vissuto la profezia della fraternità, come un accompagnamento delle varie componenti ecclesiali, per renderle capaci di un cammino fatto insieme. Ha educato il suo popolo con lo stile e le virtù del buon pastore. Per diversi anni Mons. Antonio, come già accennato, è stato incaricato del settore catechesi dell’Ufficio «Fede, annuncio e Catechesi». Dopo aver rinunciato alla parrocchia divenne canonico Penitenziere della Basilica Cattedrale. Come confessore, assiduo ed apprezzato, è stato uomo di pace e di riconciliazione, segno e strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene e la speranza della rinascita. Con un piccolo gruppo ha coltivato sapientemente la Lectio divina. Nel maggio scorso l’ho nominato Coordinatore del Gruppo di studio sulla catechesi per elaborare un quadro completo della situazione esistente in Diocesi. Si è messo all’opera con slancio giovanile. Due settimane fa, visitandolo a casa, abbiamo parlato del cammino compiuto. Con lui credo che sia venuta meno una delle persone più competenti, non solo per gli studi compiuti presso l’Università pontificia salesiana, ma anche per l’esperienza accumulata negli anni. Pur avendo incoraggiato la proposta delle «Tresere educatori» era il primo a dire che era insufficiente a preparare adeguatamente i catechisti. Peraltro, prima si era fatto promotore di scuole estive di formazione di almeno due settimane. Assieme a lui abbiamo programmato ultimamente un corso annuale sui fondamentali della catechesi nel V ciclo di teologia. Purtroppo la salute non l’ha sorretto. La sua partenza e il vivo ricordo che lascia nella nostra Diocesi ci invita a pensare che ministri animati da una convinta appartenenza al presbiterio e da un profondo respiro ecclesiale; evangelizzatori preparati alla missione, come Mons. Taroni, non si improvvisano. A forgiarli è un delicato lavoro di accompagnamento e di formazione diffusi nella Diocesi. Non si può, allora, che concludere se non pregando il Signore perché continui a mandare operai nella sua vigna e perché trovino nei presbiteri, nei diaconi, nei laici, nei religiosi, un popolo che li sostiene con simpatia e corresponsabilità.
+ Mario Toso