È con vero piacere che porto il mio saluto a questo convegno, che intende ricordare il centenario dell’assalto squadrista alla sede delle associazioni cattoliche faentine (a pochi passi da dove ci troviamo ora) e, al contempo, l’impegno dei cattolici e della nostra Chiesa locale agli albori del secolo scorso, quando prese forma la concreta partecipazione alla vita politica e sociale del nuovo Stato unitario.
Furono necessari decenni, complessi e difficili, per superare quel contrasto che era sorto a seguito della fine del potere temporale della Chiesa. Tuttavia, a Faenza la Chiesa si votò ad un capillare impegno pastorale in città e nelle campagne fin dagli anni della disposizione papale del Non expedit del 1874 e, quindi, ancor prima della promulgazione di quell’autentica pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa che fu la Rerum Novarum, nel 1891. Decisivo in tal senso fu il lungo ed energico episcopato di mons. Gioacchino Cantagalli, dal 1884 al 1912. Esso si caratterizzò per una decisa e sistematica azione riorganizzatrice del clero, delle strutture diocesane e di tutto il movimento cattolico nelle sue variegate articolazioni. A solo titolo esemplificativo ricorderò la fondazione del settimanale “Il Piccolo”, che dal 1899 è la voce dei cattolici di questa diocesi. L’episcopato Cantagalli fu un periodo particolarmente fecondo, durante il quale uomini e sacerdoti di grande prestigio, religiosità e cultura, impegnati sul piano ecclesiale, politico e sociale, tracciarono un percorso di progressiva partecipazione allo Stato unitario. Credo sia sufficiente ricordare due nomi. Il primo è mons. Paolo Taroni, figura di profonda spiritualità, per 32 anni direttore spirituale del nostro Seminario, che lasciò una forte e benefica influenza su tutto il clero locale per diversi decenni dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1902. Fu, altresì, tra i promotori del primo insediamento dei Salesiani a Faenza, che implicò l’innesto anche nella nostra città dei canoni della spiritualità sociale piemontese.
L’altro è il rinomatissimo mons. Francesco Lanzoni, morto nel 1929, rettore del Seminario ed erudito di fama internazionale, ma soprattutto la più autorevole coscienza del mondo cattolico faentino, anche nell’elaborazione delle forme partecipative alla vita politica. Le sue idee furono all’avanguardia per i tempi nei quali visse e insegnò. Accanto a questi sacerdoti e ad un clero impegnato nella vita sociale, si formò una dirigenza politica cattolica importante, che operò non soltanto a livello locale, ma anche sul piano nazionale, a partire dal conte Carlo Zucchini. Egli nel 1915 fu nominato da papa Benedetto XV presidente dell’«Unione economico-sociale», organismo nato in seno all’Opera dei Congressi e fu tra i fondatori del Partito Popolare, oltre che dirigente della riformata Azione Cattolica. Vanno ricordati anche Giuseppe Donati, Antonio Medri, mons. Carlo Mazzotti, Lucia Spada e tanti altri ancora. Tutti costoro conferirono particolare vivacità e dinamismo al cattolicesimo faentino, che acquisì rinomanza e autorevolezza anche fuori dall’ambito romagnolo.
Gli anni della Grande Guerra misero a dura prova tutto questo tessuto ecclesiale, che tuttavia riuscì a reagire bene. In un’ottica di riorganizzazione delle associazioni cattoliche potrebbe ricondursi la presenza di don Luigi Sturzo a Faenza il 2 luglio 1918, giorno in cui celebrò messa in cattedrale. Alle elezioni del 1919 fu eletto il primo deputato cattolico nella persona del conte Carlo Zucchini e nel 1920 si insediò per la prima volta un’Amministrazione popolare con il sindaco cattolico Antonio Zucchini, che avviò una politica di buona amministrazione e di sostegno delle classi meno abbienti.
Per tutte queste ragioni, e altre ancora, nei primi anni Venti del XX secolo il mondo cattolico faentino appariva compatto e articolato, forte di una capillare organizzazione che comprendeva parrocchie, associazioni, cooperative, società di mutuo soccorso, casse rurali, circoli culturali, società sportive che formavano un sistema vivace e dinamico. Ragion per cui, quando il movimento fascista iniziò ad operare in modo sempre più intollerante, a Faenza il primo nemico da abbattere venne ben presto individuato nel cattolicesimo militante, se non altro perché schierato su posizioni più moderate che avevano permesso di costruire un sistema di buon governo, di reti sociali ed economiche, di regole democratiche.
Desidero ricordare che diversi sacerdoti furono colpiti dalla brutalità e dalla tracotanza delle squadre fasciste, in particolare nei confronti di coloro che operavano nell’ambito delle associazioni cattoliche. Dopo l’inaugurazione del primo Reparto Esploratori Cattolici, vi furono manifestazioni di dissenso e di ostilità, che divennero vere e proprie aggressioni il 12 gennaio 1923, quando un manipolo di fascisti aggredì l’assistente degli Esploratori faentini, don Aldo Vernocchi, ed il parroco mons. Giovanni Zannoni all’interno della Chiesa di Sant’Agostino. I due sacerdoti furono colpiti con pugni e diffidati dal continuare a svolgere la loro azione pastorale. I postumi di quelle percosse furono particolarmente gravi per don Vernocchi che diventò cieco. Il martedì precedente proprio don Vernocchi era stato chiamato alla sede del Fascio e gli era stato intimato lo scioglimento del Reparto Esploratori cattolici entro 24 ore e di consegnare le chiavi dei locali, con l’avvertimento che solo per un giorno gli sarebbe stata garantita l’incolumità personale. Le proteste del vescovo mons. Vincenzo Bacchi furono molto forti, denunciando quanto accaduto alle autorità italiane ed al Segretario di Stato Vaticano, cardinale Gasparri. Altre brutalità si consumarono nelle parrocchie di San Biagio e di Prada.
Non si dimentichi che alcuni mesi dopo gli avvenimenti di Faenza che oggi ricordiamo, ad Argenta, il 23 agosto 1923 fu assassinato il sacerdote Giovanni Minzoni.
L’impegno ecclesiale dei sacerdoti e dei laici permeò in quei decenni la vita sociale della città e buona parte dei cattolici faentini testimoniò la propria avversità alla dittatura, che poco dopo prese definitivamente il potere.
I valori democratici furono difesi anche dal Vescovo mons. Giuseppe Battaglia che, al termine del ventennio fascista e della Seconda Guerra Mondiale, per questa sua azione venne insignito della medaglia d’argento al valore militare e della cittadinanza onoraria di Faenza.
Nel concludere questo mio saluto sottolineo che per le ragioni sopra esposte si può affermare che Faenza si è caratterizzata per un’importante e assai vivace storia del clero, della gerarchia ecclesiastica e delle associazioni cattoliche. La loro fede si è tradotta in un impegno, non solo ecclesiale, ma anche sociale e politico al servizio di una società libera e democratica, fondata su un umanesimo trascendente.
+ Mario Toso