“Abbi cura di lui”, la Chiesa accanto a chi soffre. Domenica 12 febbraio all’ospedale degli Infermi di Faenza è stata celebrata la messa in occasione della Giornata del Malato, promossa dalla Pastorale della Salute. A presiedere la celebrazione eucaristica è stato il vescovo monsignor Mario Toso, in un momento importante specie dopo una pandemia che ha visto tanti malati soli affrontare la malattia. Di seguito riportiamo l’omelia di monsignor Toso, che invita a ricercare tutti “un nuovo modo di avanzare insieme“, compiendo “una revisione sincera su ciò che è avvenuto nei nostri ospedali, sui limiti delle strutture”. “Va compiuto – sottolinea il vescovo Mario – un serio esame sulle scelte fatte. Non basta limitarsi alla critica, alla segnalazione dei limiti riscontrati. C’è sì bisogno di denuncia, ma soprattutto urge che si sia pronti a fare proposte“.
L’omelia del vescovo Mario
Cari fratelli e sorelle, celebriamo la Giornata mondiale del malato. Da tempo era desiderio della comunità cristiana e, in particolare del vescovo, essere presenti in questo ospedale per celebrare, dopo la pandemia, l’Eucaristia assieme agli ammalati. La Chiesa ha vissuto in questo periodo, rispetto a coloro che sono stati ricoverati anche per il Covid-19, momenti di disagio e di trepidazione per i suoi figli e figlie. Non sempre è riuscita a essere presente come desiderava. L’essere qui questo pomeriggio sta a significare che la Chiesa non rinuncia a voi. Desidera camminare insieme a voi, al personale sanitario, secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio Padre ci è modello. Come dice il profeta Ezechiele Egli stesso conduce le sue pecore, va in cerca di quella perduta, fascia quella ferita e cura quella malata. Dio pasce le sue pecore con giustizia (Ez 34, 15-16). Ci pone al centro della sua attenzione e della sua sollecitudine. Cosa vuol dire per noi, singoli e comunità, che Egli pasce le sue pecore con giustizia? Innanzitutto, che la comunità non deve lasciarsi contagiare dalla cultura dello scarto. La comunità, come anche le sue strutture ospedaliere e le case protette, non possono discriminare tra malato e malato, come purtroppo è accaduto più di una volta durante la pandemia. Dobbiamo, invece, applicare l’insegnamento della parabola del Buon Samaritano, dalla quale siamo spronati a muoverci con atteggiamenti di attenzione e di compassione per tutti, in particolare per coloro che sono abbandonati, lasciati da soli. Il buon Samaritano vede quel ferito che altri passanti avevano ignorato. Mosso a compassione si ferma e si prende cura di lui, trattandolo da fratello.
Con la parabola del Buon Samaritano Gesù indica la missione della Chiesa, ma anche di tutti gli uomini, credenti o non credenti, nei confronti dei malati. Tale missione consiste nella predicazione del Vangelo ma anche nell’esercizio della cura per tutti coloro che sono fragili e vulnerabili. La Giornata mondiale del Malato, si legge nel Messaggio per la XXXI Giornata Mondiale, non sollecita solo alla preghiera e alla prossimità verso i sofferenti. Mira a sensibilizzare il popolo di Dio, le istituzioni sanitarie e la società civile a un nuovo modo di avanzare insieme. Occorre, dunque, fare una revisione sincera su ciò che è avvenuto nei nostri ospedali, sui limiti delle strutture. Va compiuto un serio esame sulle scelte fatte. Non basta limitarsi alla critica, alla segnalazione dei limiti riscontrati. C’è sì bisogno di denuncia, ma soprattutto urge che si sia pronti a fare proposte. È questo l’impegno che va assunto da parte dei credenti che accompagnano e curano gli ammalati. La stessa parabola del Buon Samaritano, infatti, ci suggerisce come l’esercizio della fraternità, iniziato da un incontro a tu per tu, si possa allargare a una cura organizzata. La locanda, l’albergatore, il denaro, la promessa di tenersi informati a vicenda (cf Lc 10,34-35): tutto questo fa pensare al ministero di sacerdoti, al lavoro degli operatori sanitari e sociali, all’impegno dei famigliari e volontari, grazie ai quali ogni giorno, in ogni parte di mondo, il bene si oppone al male.
«Gli anni della pandemia – scrive papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato – hanno aumentato il nostro senso di gratitudine per chi opera ogni giorno per la salute e la ricerca. Ma da una così grande tragedia collettiva non basta uscire onorando degli eroi. Il Covid-19 ha messo a dura prova questa grande rete di competenze e di solidarietà e ha mostrato i limiti strutturali dei sistemi di welfare esistenti. Occorre pertanto che alla gratitudine corrisponda il ricercare attivamente, in ogni Paese, le strategie e le risorse perché ad ogni essere umano sia garantito l’accesso alle cure e il diritto fondamentale alla salute».
La raccomandazione del Samaritano all’albergatore «Abbi cura di lui» (Lc 10,35) deve tradursi per noi sia nell’impegno di costruzione di una società più inclusiva, sia nel migliorare i sistemi di welfare esistenti. Anche in questo contesto non dimentichiamo che tutto è connesso. Le nostre società sono spesso tentate di adottare la logica dello scarto. Il numero degli anziani aumenta e i giovani che lavorano e contribuiscono alla realizzazione del reddito nazionale diminuiscono. Cresce, peraltro, una cultura che impoverisce la considerazione della vita dal suo sorgere sino alla fine. Celebriamo l’Eucaristia perché il Corpo della sua Chiesa si irrobustisca. Il Signore ci aiuti ad essere comunità che avanza nella storia come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è da scartare.
Cari fratelli e sorelle ammalati, il Signore vi doni la sua forza e la sua consolazione. Per parte nostra vi diamo il nostro bacio fraterno. Ricordateci nelle vostre preghiere. Teniamoci uniti nel Signore Gesù. Nulla ci separi da Lui.
+ Mario Toso