OMELIA per la celebrazione del XX di EPISCOPATO

Faenza, Basilica Cattedrale - 16 gennaio 2011
16-01-2011


Desidero anzitutto salutare il Sig. Sindaco di Faenza e i Sindaci dei Comuni del territorio della Diocesi. Li ringrazio molto per la loro presenza, che rappresenta le rispettive comunità ed è un segno della loro attenzione alla vita della nostra Chiesa. La nostra festa in questo modo è più piena. Grazie, e che il Signore vi protegga sempre nel vostro prezioso servizio.


Dopo la Festa del Battesimo del Signore, la liturgia si distacca gradualmente dal mistero nel quale si è manifestata la missione di Cristo nel mondo. Oggi viene richiesta la nostra attenzione sull’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, presentato da Giovanni nel battesimo al fiume Giordano.


Il ‘peccato del mondo’ non è solo un modo sintetico per indicare tutti i peccati personali degli uomini, ma rievoca la condizione di peccato in cui si trova il mondo. Si tratta di quello che viene chiamato ‘peccato originale’ dal quale tutti siamo contaminati, di cui portiamo le conseguenze. L’Agnello di Dio è venuto per liberarci da questo peccato mediante il battesimo nello Spirito Santo. È sempre bello essere liberati da un peso, soprattutto quando questo ostacola il nostro movimento. Ma perché questo avvenga è necessario volerlo. Così, per ottenere la liberazione dal peccato, l’uomo deve essere convinto di averne bisogno.


È diffusa infatti una mentalità per la quale siamo tutti fondamentalmente innocenti. La responsabilità del male, anche quello fatto da noi, ma a maggior ragione quello che accade attorno a noi, viene attribuita a tutto fuorché alla nostra libertà personale. Facilmente ci si scagiona dicendo: ‘Sono fatto così’; si dà la colpa alla famiglia, al sistema, all’influsso delle stelle, al ‘fanno tutti così’ ‘ tutto serve per trovare una scusa per il male che comunque non deve essere attribuito ad una nostra colpa.


L’uomo rimane quindi una creatura innocente che non ha bisogno di redenzione, rendendo inutile ogni annuncio di salvezza.


Il Figlio di Dio, venendo nel mondo per salvarci dal peccato, non ha addossato la colpa del male ad altri (e avrebbe potuto farlo), ma si è fatto solidale con tutto il genere umano e, prendendo su di sé il peccato del mondo, come agnello pasquale si è offerto in un atto di amore infinito al Padre per noi. In questo modo Gesù ci ha mostrato che è soltanto l’amore che vince il peccato e, comunicandoci il suo Spirito, ci ha dato la possibilità di amare Dio e il prossimo come ha amato lui. È questo il ‘battesimo nello Spirito Santo’ ricordato da S. Giovanni Battista: ‘Io non lo conoscevo; ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo’.


Giovanni si rende perfettamente conto che non è sufficiente invitare l’uomo alla conversione, insegnando le cose da fare e da non fare; cioè non basta la legge, ma è necessaria anche la potenza dello Spirito Santo per vincere il Maligno che opera nel mondo e in ciascuno di noi. La Parola di Dio richiede anche la grazia dei Sacramenti, dei quali il Battesimo è l’inizio.


L’Agnello di Dio richiama la figura del Servo sofferente di cui parla Isaia. Il Servo di Jahvè è chiamato fin dal seno materno per restaurare non solo le tribù di Giacobbe, ma per diventare luce delle nazioni e portare la salvezza fino all’estremità della terra.


In questa missione universale Cristo ha bisogno anche di noi. Ne è testimone S. Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e inviato a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù mediante il Battesimo nello Spirito Santo. Siamo anche noi chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro. È questo il cuore della missione della Chiesa, inviata a tutto il mondo, nella quale ognuno ha una vocazione particolare per partecipare alla missione sacerdotale, profetica e regale di Cristo.


‘Egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo’ (Ef 3,11s).


 


Sono grato a quanti hanno voluto in questa giornata ricordare la ricorrenza del 20.mo anniversario della mia Ordinazione episcopale, avvenuta nella Cattedrale Metropolitana di S. Pietro a Bologna per le mani del Card. Giacomo Biffi il 13 gennaio 1991, Festa del Battesimo del Signore.


Ringrazio soprattutto quanti si uniscono per ringraziare con me il Signore per il dono grande che mi ha fatto sia nel chiamarmi a servirlo nel ministero episcopale, sia a svolgerlo prima nell’Arcidiocesi di Bologna accanto alla grande figura del Card. Biffi, poi in questa amata Chiesa di Faenza-Modigliana.


Anche dopo 20 anni talvolta mi sorprendo nel sentire il mio nome quando nella Preghiera eucaristica si fa il ricordo del vescovo: non si fa l’abitudine facilmente ad una realtà che resta sempre singolare e richiede una continua presa di coscienza.


Gli anniversari, che arrivano senza merito  alcuno da parte dell’interessato, basta aspettare un po’, sono anche una opportunità per fare dei bilanci, operazioni sempre delicate. A questo riguardo, però, mi ha sempre fatto riflettere quanto dice S. Paolo: ‘Io non giudico neppure me stesso, perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!’ (1Cor 4,3s).


Non vuole essere questa la scusa per non fare un esame di coscienza, sempre necessario di fronte alle vicende che continuamente interpellano anche noi insieme alle nostre Chiese. Mi pare che affidarci al Signore possa essere di incoraggiamento per ricordarci che il primo a cui preme la Chiesa è il Signore stesso.


Insieme alla preghiera di ringraziamento,  questa deve essere l’occasione per una domanda di aiuto, per intercessione della Madre di tutte le grazie, perché il servizio che ancora mi è chiesto sia svolto secondo la volontà di Dio per il bene di tutto il popolo. Sono consapevole della mia povertà, ma ho fatto l’esperienza della collaborazione dei presbiteri, dei religiosi e dei laici di questa Chiesa, che hanno saputo rimediare ai miei limiti. Voglio quindi esprimere a tutti la mia gratitudine più sincera e dare atto del grande amore alla Chiesa che ho trovato, insieme alla comprensione verso il Vescovo. Sono pertanto fiducioso che il Signore non farà mancare i doni necessari per proseguire insieme nella costruzione del suo Regno, in continuità con la nostra bella tradizione ecclesiale.


Mi piacerebbe che la vostra preghiera si potesse ispirare a quella suggerita dal Card. Biffi nel giorno della mia Ordinazione:


‘Signore Gesù, donagli il tuo cuore,


per amare Dio nostro Padre come lo ami tu.


Donagli il tuo cuore,


per amare Maria nostra Madre, come l’ami tu.


Donagli il tuo cuore,


per amare i tuoi fratelli,


che sono anche i nostri, come li ami tu.


Fa’ che ami quelli che s’aprono docili al suo invito,


e ami ancora più quelli che si chiudono alla sua parola,


per poter piegare con l’amore


quando i ragionamenti non servono più.


Fa’ che quelli che non si arrenderanno, abbiano almeno a riconoscere


di essere stati amati.


Il solco che divide resterà,

ma su di esso passerà il ponte dell’amore’. Amen.