Faenza, cattedrale 2 luglio 2022
Cari fratelli e sorelle, la nostra Chiesa che è in Faenza e Modigliana, per mezzo del dono dello Spirito riceve oggi un nuovo presbitero. Unito al sacerdozio del vescovo, il presbitero è consacrato per la predicazione del Vangelo, per la santificazione e la guida del popolo di Dio, per la celebrazione del culto divino, specialmente del sacrificio del Signore. Mediante il suo ministero la Chiesa celebra l’Eucaristia, l’Eucaristia fa la Chiesa.
Caro Marco, la tua vita personale, fin dalla tua giovinezza è stata, con l’aiuto del Signore, e delle persone care, specie di tua nonna Irma, un «compaginarsi» in umanità, ma specialmente in e per Cristo, per essere a servizio del suo popolo. Giungi oggi ad una fase avanzata del tuo cammino di immedesimazione a Cristo: sarai sacerdote per celebrare il suo sacrificio a favore di tutta la Chiesa e del mondo. L’essere ordinato al servizio di Cristo, a somiglianza di Cristo servo, dirà a te e alla comunità cristiana che la tua esistenza è per il servizio a Cristo e ai fratelli, allo stesso Corpo di Cristo, per il Regno. Tu sarai servo di Cristo Signore, in un tempo di cambiamento epocale in cui la Chiesa, sebbene non sia l’unico soggetto a produrre cultura, è chiamata nel Verbo di Dio, Agápe e Lógos, Caritas in veritate, a non smettere di elaborare un nuovo pensiero, un pensiero pensante, cattolico, universale. Un pensiero originato da un’esperienza di fede le cui radici attingono al trascendente, alla struttura trinitaria di Dio e dell’universo.
Proprio perché apparterrai radicalmente a Cristo, Verbo incarnato, fattosi uomo, apparterrai radicalmente anche alle persone. In te ci sarà lo stampo di proprietà di Cristo, che ti ricorderà l’appartenenza a Lui, che si è interamente espropriato, dando la sua vita al Padre e all’umanità. Caro Marco, proprio perché apparterrai a Cristo servo, che si è interamente svuotato, potrai dare ai tuoi fratelli e alle tue sorelle ciò che di tuo non sei in grado di dare da solo. Tu sarai la «voce» che trasmette la Parola per eccellenza. Al centro non ci sarai tu, tu solo, ma la comunità che accoglie, celebra Gesù Cristo incarnato e lo testimonia. Il sacerdote non è la Parola, ma un semplice servitore di essa. La sua missione consiste nel diventare «voce» della Parola, non solo proclamata ma che discende nel mondo per redimerlo e trasfigurarlo. Con il suo popolo, il presbitero, allora, sta in mezzo al mondo per portare salvezza, per plasmarlo e conformarlo secondo i parametri dell’umanità nuova, vivente in Cristo risorto. Solo così la vita del presbitero e della comunità ecclesiale saranno eloquenti, parleranno di Dio agli uomini, al mondo intero, annunciando la loro altissima vocazione.
Solo vivendo in Cristo, in mezzo ai molteplici impegni della vita, il presbitero potrà mantenere l’unità del suo essere interiore. Stretto a destra e a sinistra da tante attività, il presbitero può sentirsi vuoto e trovarsi diviso in sé stesso. Gli può diventare sempre più difficile trovare tempo per il raccoglimento da cui attingere nuova forza ed ispirazione profonda. Occorre che il sacerdote sia vigilante su sé stesso. Esternamente dilaniato ed interiormente svuotato, il sacerdote può perdere la gioia della sua professione che gli si presenta ultimamente solo come un peso. Solo l’intima comunione con Gesù Cristo – tutto ciò che fa, lo fa in comunione con Lui, per cui esiste presso di Lui – gli consente di «vivere in Cristo», di essere con Cristo.
L’ascesi e la contemplazione sacerdotali non vanno vissute accanto alla vita pastorale, bensì in essa. Sicché anche tu, caro Marco, potrai dire con l’apostolo Paolo che per te «vivere è Cristo». Chi vive Cristo è sollecitato a fare la volontà del Padre (cf Gv 4,34). Non svolge un qualche lavoro esteriore, ma agisce in Cristo, con gli altri, per loro. Chi vive in Cristo vive una gioia piena e sa comunicarla ai credenti, ai giovani. Questi imparano a ricercarla dal loro sacerdote che, mentre li accompagna, fa capire e mostra che essa è donata solo da Cristo. Egli la comunica e la insegna facendo della propria vita un dono totale.
Chi si prende cura della vita spirituale delle persone non può trascurare la cura di sé stesso.
San Carlo Borromeo, che è stato ed è venerato anche in questo territorio, soleva ricordare ai sacerdoti: «Rimani raccolto con Dio… Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso, che non rimanga nulla di te a te stesso. Devi avere certo presente il ricordo delle anime di cui sei pastore, ma non dimenticarti di te stesso… Se amministri i sacramenti, medita ciò che fai. Se celebri la Messa, medita ciò che offri. Se reciti i salmi in coro, medita a chi e di che cosa parli. Se guidi le anime, medita da quale sangue siano state lavate…» (Acta Ecclesiae Mediolanensis, Milano 1599, p. 1177s: lettura del Breviario al 4 di novembre). Lo stesso san Carlo, caro Marco, ti sia modello di radicalità nel dono di te stesso agli uomini. Egli morì a soli 46 anni, consumato dall’intensità del suo servizio. Senza interiorità il servizio diventa vuoto attivismo. È importante l’intensità del dono, ma non dimenticare che l’offerta della tua vita porterà sempre i segni della croce, ossia i segni di una vita che lotta contro il male e l’ingiustizia.
Margherita, mamma di san Giovanni Bosco, disse al figlio appena ordinato sacerdote: «Giovanni, ricordati che essere sacerdote significa incominciare a soffrire». Il sacerdote che in tanti momenti sacramentali impersona Cristo e vive il sacrificio del Figlio di Dio non può non soffrire al pari di Colui che è il sacerdote che muore per amore dei suoi. Essere sacerdote significa far parte della comunità di coloro che fanno della croce un ideale di vita e di vittoria sul peccato.
Caro Marco, combatti la tua buona battaglia. Fai la tua corsa. Conserva la fede (cf 2 Tm 4, 6-8). Insegna ai tuoi giovani e agli adulti ad essere sale della terra, luce del mondo (cf Mt 5, 13-16). Il Signore metterà le sue parole sulla tua bocca (cf Ger 1, 4-9). Ti sarà vicino e ti darà la sua forza d’amore.
+ Mario Toso