Sinodo. Consegnata la sintesi diocesana. Il vescovo Mario: “La Chiesa è chiamata ad avere uno stile relazionale”

Annunciarlo e celebrarlo con uno stile relazionale. È questa la frase che riassume la fase d’ascolto del Cammino sinodale della nostra Diocesi. In tutto 110 gruppi guidati da un moderatore e da un segretario, per oltre 2.300 persone, si sono confrontati sulla domanda fondamentale e hanno portato i propri contributi all’équipe diocesana, che dopo un attento lavoro di lettura, preghiera e discernimento ha redatto la sintesi diocesana che è stata consegnata nell’aprile scorso a Roma.

Nel corso della celebrazione di Pentecoste in Cattedrale i referenti diocesani – il vicario generale don Michele Morandi e Cristina Dalmonte – hanno consegnato al vescovo Mario la sintesi diocesana. «Con tanta umiltà e come figli davanti al padre – hanno detto – consegniamo a Lei Eccellenza e a tutti voi, la sintesi che abbiamo inviato a Roma, frutto di questi mesi di ascolto. Eccellenza, in queste pagine sono racchiuse le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne di questo nostro tempo: questo è il Popolo del Signore! Le consegniamo queste pagine, disponibili a costruire quanto sarà necessario perché in questa terra non venga meno l’annuncio del Vangelo».

Il vescovo Mario ha manifestato la «più sincera e profonda gratitudine a tutti coloro che, con una intelligenza d’amore, hanno reso possibile la prima fase del cammino sinodale nella nostra Chiesa diocesana». «Dalle varie testimonianze scritte – ha sottolineato monsignor Toso – emerge quel soffio dello Spirito che anima la Chiesa e la sospinge al largo in questo terzo millennio da poco iniziato. Sento il dovere di ringraziare ciascuno in particolare, ma anche quel “noi-comunione-di persone” che è stato guidato dalla unione con Cristo e tra di voi».

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La restituzione del vescovo Mario

«Mentre siamo in attesa dei prossimi passi del cammino sinodale della Chiesa italiana – ha detto il vescovo Mario nel corso della celebrazione – non possiamo non riconoscere ciò che lo Spirito Santo ci sta dicendo a gran voce, a noi Chiesa di Faenza-Modigliana:

1.La Chiesa è chiamata ad avere uno stile relazionale. “Come stai?”. Questa semplice domanda può riallacciare legami e relazioni all’interno della nostra comunità perché al centro ci devono essere le persone con i loro volti concreti, i loro bisogni e le loro domande. Per questo non possiamo dare per scontato il dialogo, l’ascolto sincero, il riconoscere l’altro da me. La nostra Chiesa deve riscoprire il suo volto materno, paterno, fraterno: deve riuscire a comunicare con ogni uomo e donna che vive sul nostro territorio in questo nostro tempo particolare.

Vi invito fin da ora a non dare per scontate le relazioni personali, spendendo tempo e cura nell’ascolto e nel dialogo fraterno. La nostra Chiesa avrà un volto fraterno e accogliente se noi cureremo uno stile relazionale personale.

2.L’annuncio. Se lo Spirito Santo è in noi, nelle nostre comunità, non possiamo tenerlo racchiuso entro a confini e spazi definiti, altrimenti non è Lui che ci sta guidando. Egli ci invia a tutti. Non esistono recinti o confini, persone dentro e persone fuori: esistono solo discepoli innamorati della buona notizia di un Dio morto e risorto, un Dio che è amore e misericordia, un Dio che mi viene a cercare per parlarmi come ad un amico; discepoli che vanno a cercare gli altri per annunciarlo.

Vi invito, allora, a rischiare, a sbilanciarvi, a cercare le persone per parlare loro semplicemente del Vangelo e della differenza di una vita con Gesù, se è vero che con Lui o senza di Lui la vita cambia. La Chiesa sarà attraente se noi sapremo cercare le persone andando a chiamarle lì ove sono, nelle tante pieghe della società.

3.«Io vivo e voi vivrete» è la sua promessa. Lui vive e ci vuole vivi soprattutto nella liturgia, nel pane spezzato, nel vino versato, nella Scrittura, nei riti e nelle preghiere della Chiesa: mentre celebriamo Lui è presente come il Vivente e ci inserisce nella sua vita nuova. La liturgia non è la “ciliegina sulla torta” della vita dei discepoli, non è un tempo di riconoscimento reciproco o di confronto; non è solo il luogo dove comprendere, ma dove incontrare e vivere Cristo, morto e risorto. Cristo è la chiave: abbiamo bisogno di ritornare al Concilio per proseguire questo “movimento” liturgico.

Vi invito, dunque, ad entrare nelle celebrazioni con la consapevolezza che è il Signore il soggetto della celebrazione, non noi stessi. Vi invito ad affidarvi ai riti, alle parole e ai gesti che nella loro particolarità e diversità ci manifestano il Mistero di un Dio che agisce, parla, domanda, invita… un Dio presente. La Chiesa celebrerà il Risorto con gioia rinnovata se noi daremo spazio al Signore, se metteremo Lui al centro.

Annunciarlo e celebrarlo con uno stile relazionale.
Ecco, in breve, ciò che siamo chiamati fin da subito ad approfondire e a trasformare in azioni concrete. Noi tutti, nessuno escluso. Tutti siamo invitati ad andare dietro all’unico Pastore, il Pastore grande delle pecore».