Faenza, Cattedrale 15 aprile 2022.
Il brano tratto dal profeta Isaia (Is 52, 13-53, 12) descrive, in un’intensa visione profetica, la passione del Signore Gesù: essa, lo sappiamo, è una passione d’amore per il Padre e per l’umanità. Rapito da un’intuizione sovrannaturale, il grande profeta intravvede in anticipo il momento culminante della redenzione e della morte del Servo sofferente. Esprime la grandezza e l’incommensurabilità dell’Amore di Dio per l’umanità. Nello stesso tempo condanna l’insensatezza dell’uomo che rifiuta il dono della salvezza, della trasfigurazione. L’uomo rifugge dall’incontrare Dio, per chiudersi in sé, come chi pensa di poter salvarsi da solo. Ma chi rinuncia a Dio, fattosi uomo per noi, giunge a non riconoscersi più per quello che è. Giunge a perdere il criterio e la misura di se stesso. Chi non vuole guardare il volto del Verbo incarnato – i filosofi francesi Emmanuel Lèvinas e Paul Ricoeur, ci hanno insegnato che il volto rappresenta la persona – perde l’immagine dell’uomo nella sua pienezza. L’uomo senza Dio resta meno umano, rischia di diventare disumano. Solo unendosi al Figlio di Dio che si è fatto carne, l’uomo diventa se stesso. Nella passione e nella morte di Gesù Cristo l’umanità trova, finalmente, la via del suo compimento, secondo la misura dell’Uomo nuovo.
Riflettiamo solo qualche istante sul testo del profeta Isaia e comprendiamo la stoltezza dell’uomo che rifiuta Dio, volendo eliminarlo dalla propria esistenza, dalla terra dei viventi, pensando di avere maggiore libertà e civiltà.
Se il Servo del Signore, Gesù Cristo, incarnandosi, ha desiderato farsi umanità per renderci più simili a Lui, a noi umanità accecata, ripiegata su di sé, succede di divincolarsi dal suo abbraccio. Ci si rivolta e ci si ribella contro di Lui. Non solo. Secondo Isaia, noi umanità giungiamo a sfigurare l’aspetto di uomo del Messia: flagellandolo, sputandogli addosso, caricandolo con la croce, facendolo stramazzare a terra nella polvere che gli imbratta il volto. Il proposito irragionevole è quello di annientare in Cristo la sua somiglianza con noi, per non condividere nulla di Lui. L’umanità mostra di essere presa da un’insana follia: cancellare ogni traccia di Dio in sé. Con questo si rivolta contro se stessa, volendo sradicare da sé l’immagine secondo cui è stata plasmata. Disprezzato e reietto dagli uomini, Cristo diventa l’uomo dei dolori, una persona irriconoscibile. Diventa «come uno davanti al quale ci si copre la faccia» per non vederlo e per non riconoscerlo come un proprio simile, come uno che ci appartiene ed è la nostra immagine, l’intima struttura d’essere e di volere di noi stessi. Non si vuole avere nulla da fare con Lui. Non si vuole più sapere nulla di Lui. Lo si crocifigge, allora, fuori dalle mura della città, per dire la nostra estraneità rispetto a Lui. Ancora oggi, come nella guerra di violenza contro l’Ucraina, sembra non si voglia più sapere nulla su Dio e si cade nella follia di crocifiggere Cristo stesso.Come ha detto papa Francesco nella scorsa domenica delle Palme, «quando si usa violenza non si sa più nulla su Dio, che è Padre, e nemmeno sugli altri, che sono fratelli. Si dimentica perché si sta al mondo e si arriva a compiere crudeltà assurde. Lo vediamo nella follia della guerra, dove si torna a crocifiggere Cristo. Sì, Cristo è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi».
La stoltezza dell’umanità mostra così di giungere all’estremo. Rifiuta, umilia, uccide Chi ha creato l’uomo e si è incarnato per guarirlo, per liberarlo dalla schiavitù del peccato, per colmarlo di vita.
L’umanità folle rifiuta Cristo che si carica delle nostre sofferenze, si addossa i nostri dolori, entra nella morte per aiutarci a viverli con il suo Amore. Mentre siamo sperduti come un gregge e ognuno di noi segue errante la sua strada, con il suo sangue ci costituisce popolo unificato con Dio Padre: un popolo che attraversa la storia come fermento di una nuova umanità. Imprimiamo nella nostra mente e nella nostra vita il mistero dell’incarnazione e della passione del Signore Gesù. Se non giungeremo a farlo saremo più poveri, meno vivi, meno umani, meno capaci di costruire la pace.
+ Mario Toso