Faenza, Basilica Cattedrale - 6 gennaio 2015
06-01-2015
Quando le feste sono tante e vicine, si rischia di non cogliere la grazia propria di ognuna, impoverendo quindi le occasioni che ci sono date. L’Epifania arriva alla fine delle feste natalizie, dove è il Natale a dominare almeno per l’importanza che gli viene data dal popolo di Dio. A prescindere da ogni confronto, possiamo vedere nel tempo di Natale la grazia di un unico mistero, quello di Dio che si manifesta per farsi conoscere e accogliere. Le celebrazioni liturgiche ci presentano aspetti diversi e complementari, per farci cogliere la bellezza e la grandezza di ciò che è avvenuto.
San Paolo lo ha detto nel brano della lettera agli Efesini: “Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.
C’è stato un momento preciso, che la Scrittura chiama “pienezza dei tempi”, scelto da Dio per entrare nella storia. Perché il Figlio di Dio non sia venuto prima o dopo non sta a noi giudicarlo; l’importante è che questo sia avvenuto e che questa notizia sia stata affidata a noi per farla giungere a tutti i popoli.
Nel Natale noi abbiamo giustamente ammirato la piccolezza del Dio Bambino, che per farsi accogliere ha scelto il modo più umile e povero, che diventa anche una indicazione precisa per coloro che lo vogliono seguire.
Oggi nel racconto dei Magi che vengono dall’oriente per conoscerlo, ci viene rivelata l’importanza della collaborazione dell’uomo nell’andare incontro a Cristo, a qualsiasi popolo appartenga, perché Dio non fa preferenze di persone. Però anche a costoro chiede almeno una cosa: la curiosità, la ricerca e il mettersi in cammino. I Magi hanno risposto ad una sollecitazione dall’alto, la stella che avevano visto spuntare: “E siamo venuti ad adorarlo”. Nelle cose di Dio la parte principale è sempre opera di Dio, il quale però chiede alla libertà dell’uomo una collaborazione, non fosse altro l’accettazione del dono o il desiderio e la ricerca dello stesso.
Mi spiego con una storiella, di cui chiedo scusa. Si racconta che un devoto di San Gennaro chiedesse con insistenza al Santo di vincere alla Lotteria nazionale; e il Santo gli avrebbe fatto sapere: “Almeno compra il biglietto…”. Questo rende l’idea di che cosa significa la collaborazione tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo.
E vero che i Magi hanno avuto l’aiuto della Sacra scrittura custodita dal Popolo di Dio; ma questa essi l’hanno incontrata dopo un lungo cammino e vi hanno dato una pronta obbedienza.
Entrando nel mondo Dio non ha mortificato la libertà dell’uomo, ma l’ha esaltata, rispettandola e lasciandole tutta l’importanza che deve avere per il compimento del suo dono. Dio non costringe nessuno; al massimo offre la luce, si colloca sulla nostra strada, fa sorgere la domanda, ma poi aspetta che facciamo la nostra parte.
Il mistero dell’Epifania ci offre una motivazione nuova per accogliere la rivelazione di Dio; questa è data non solo per noi, ma perché noi la annunciamo anche agli altri popoli, perché anch’essi “sono chiamati in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità e a formare lo stesso Corpo” dei figli di Dio.
Sorge qui il compito della missione e dell’evangelizzazione, una volta che sia avvenuto l’incontro con Cristo. I Magi sono andati portando dei doni preziosi, pensando di aver fatto già la loro parte. Nella realtà l’incontro che hanno fatto li ha cambiati, al punto che torneranno al loro paese per una strada nuova. Chissà se sono diventati i primi evangelizzatori dei loro paesi che videro tuttavia, dopo la risurrezione di Cristo, gli Apostoli a portare il lieto annuncio del Risorto?
Comunque il mistero che nell’Epifania ci viene rivelato, comprende anche il farsi carico del comunicare ad altri ciò che abbiamo incontrato. La visione di Isaia profeta, insieme alla “tenebra che ricopre la terra e alla nebbia fitta che avvolge i popoli”, vede una luce, allo splendore della quale cammineranno i popoli. Quella speranza non è un auspicio vuoto lasciato alla fortuna degli eventi, ma è una promessa affidata a un popolo: il popolo dei credenti.
Noi facilmente rileviamo la presenza della tenebra e della nebbia, ma non sempre ci rendiamo conto che abbiamo la consegna di portare la luce, che ci è stata affidata in Cristo Gesù.
L’impegno di evangelizzatori che ci è chiesto è fatto di lavoro e preghiera. Ci insegna Papa Francesco che “la Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera” e “nello stesso tempo si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione. C’è il rischio che alcuni momenti di preghiera diventino una scusa per evitare di donare la vita nella missione” (EG, cfr n. 262).
Ognuno deve trovare la propria vocazione, ma non possiamo aspettare che siano gli altri a mettere a posto le cose senza fare ognuno la propria parte. Forse in questo impegno comune, più ancora che il risultato delle singole nostre azioni, sarà preziosa la testimonianza di comunione e di amore fraterno che si potrà dare, mostrando come anche questo miracolo è frutto del mistero dell’Incarnazione del figlio di Dio, che ci ha resi tutti fratelli, figli dell’unico Padre che è nei cieli. Non è certo con le guerre o con le sanzioni che si insegna la convivenza e la pace tra i popoli, ma vivendo l’amore e la concordia che Cristo ha insegnato con la sua vita
San Paolo lo ha detto nel brano della lettera agli Efesini: “Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito: che le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo”.
C’è stato un momento preciso, che la Scrittura chiama “pienezza dei tempi”, scelto da Dio per entrare nella storia. Perché il Figlio di Dio non sia venuto prima o dopo non sta a noi giudicarlo; l’importante è che questo sia avvenuto e che questa notizia sia stata affidata a noi per farla giungere a tutti i popoli.
Nel Natale noi abbiamo giustamente ammirato la piccolezza del Dio Bambino, che per farsi accogliere ha scelto il modo più umile e povero, che diventa anche una indicazione precisa per coloro che lo vogliono seguire.
Oggi nel racconto dei Magi che vengono dall’oriente per conoscerlo, ci viene rivelata l’importanza della collaborazione dell’uomo nell’andare incontro a Cristo, a qualsiasi popolo appartenga, perché Dio non fa preferenze di persone. Però anche a costoro chiede almeno una cosa: la curiosità, la ricerca e il mettersi in cammino. I Magi hanno risposto ad una sollecitazione dall’alto, la stella che avevano visto spuntare: “E siamo venuti ad adorarlo”. Nelle cose di Dio la parte principale è sempre opera di Dio, il quale però chiede alla libertà dell’uomo una collaborazione, non fosse altro l’accettazione del dono o il desiderio e la ricerca dello stesso.
Mi spiego con una storiella, di cui chiedo scusa. Si racconta che un devoto di San Gennaro chiedesse con insistenza al Santo di vincere alla Lotteria nazionale; e il Santo gli avrebbe fatto sapere: “Almeno compra il biglietto…”. Questo rende l’idea di che cosa significa la collaborazione tra la grazia di Dio e la libertà dell’uomo.
E vero che i Magi hanno avuto l’aiuto della Sacra scrittura custodita dal Popolo di Dio; ma questa essi l’hanno incontrata dopo un lungo cammino e vi hanno dato una pronta obbedienza.
Entrando nel mondo Dio non ha mortificato la libertà dell’uomo, ma l’ha esaltata, rispettandola e lasciandole tutta l’importanza che deve avere per il compimento del suo dono. Dio non costringe nessuno; al massimo offre la luce, si colloca sulla nostra strada, fa sorgere la domanda, ma poi aspetta che facciamo la nostra parte.
Il mistero dell’Epifania ci offre una motivazione nuova per accogliere la rivelazione di Dio; questa è data non solo per noi, ma perché noi la annunciamo anche agli altri popoli, perché anch’essi “sono chiamati in Cristo Gesù a condividere la stessa eredità e a formare lo stesso Corpo” dei figli di Dio.
Sorge qui il compito della missione e dell’evangelizzazione, una volta che sia avvenuto l’incontro con Cristo. I Magi sono andati portando dei doni preziosi, pensando di aver fatto già la loro parte. Nella realtà l’incontro che hanno fatto li ha cambiati, al punto che torneranno al loro paese per una strada nuova. Chissà se sono diventati i primi evangelizzatori dei loro paesi che videro tuttavia, dopo la risurrezione di Cristo, gli Apostoli a portare il lieto annuncio del Risorto?
Comunque il mistero che nell’Epifania ci viene rivelato, comprende anche il farsi carico del comunicare ad altri ciò che abbiamo incontrato. La visione di Isaia profeta, insieme alla “tenebra che ricopre la terra e alla nebbia fitta che avvolge i popoli”, vede una luce, allo splendore della quale cammineranno i popoli. Quella speranza non è un auspicio vuoto lasciato alla fortuna degli eventi, ma è una promessa affidata a un popolo: il popolo dei credenti.
Noi facilmente rileviamo la presenza della tenebra e della nebbia, ma non sempre ci rendiamo conto che abbiamo la consegna di portare la luce, che ci è stata affidata in Cristo Gesù.
L’impegno di evangelizzatori che ci è chiesto è fatto di lavoro e preghiera. Ci insegna Papa Francesco che “la Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera” e “nello stesso tempo si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione. C’è il rischio che alcuni momenti di preghiera diventino una scusa per evitare di donare la vita nella missione” (EG, cfr n. 262).
Ognuno deve trovare la propria vocazione, ma non possiamo aspettare che siano gli altri a mettere a posto le cose senza fare ognuno la propria parte. Forse in questo impegno comune, più ancora che il risultato delle singole nostre azioni, sarà preziosa la testimonianza di comunione e di amore fraterno che si potrà dare, mostrando come anche questo miracolo è frutto del mistero dell’Incarnazione del figlio di Dio, che ci ha resi tutti fratelli, figli dell’unico Padre che è nei cieli. Non è certo con le guerre o con le sanzioni che si insegna la convivenza e la pace tra i popoli, ma vivendo l’amore e la concordia che Cristo ha insegnato con la sua vita