Premessa: una questione cruciale
La questione dell’impegno politico dei cattolici è sempre più cruciale. Diversi episodi lo testimoniano. Si pensi all’utilizzo strumentale dei segni religiosi, al massiccio astensionismo del mondo cattolico nelle ultime tornate elettorali, al disegno di legge Zan sostenuto sine glossa da non pochi cattolici, come anche alla raccolta firme per un referendum ambiguo sull’eutanasia. I temi sull’etica e sulla vita diventano uno dei crinali su cui misurare il significato odierno di laicità[1]e su cui i cattolici sono chiamati a valutare le proprie caratteristiche identitarie. Si tenga anche presente che si sta diffondendo sempre di più nel mondo dei cattolici impegnati in politica una cultura pseudo-cristiana. Una tale cultura fa riferimento sì al principio dell’amore, ma esso è considerato privo di verità e così si giunge a giustificare l’approvazione di progetti di legge che vorrebbero l’omologazione di diritti libertari, arbitrari. Basti dire che un tale modo di vedere fa leva, in definitiva, su un cristianesimo di carità senza verità, in cui la medesima carità viene svigorita e fatta scivolare in un vago sentimentalismo dimentico della verità integrale dell’uomo. Senza verità, senza fiducia e amore per il vero bene dell’uomo e della società, non c’è coscienza e retta responsabilità sociale e politica. L’agire sociale e politico cade, per conseguenza, in balia di interessi privati e di ideologie individualistiche. La verità è luce che dà senso e valore all’amore. Questa luce è, a un tempo, quella della ragione e della fede, attraverso cui l’intelligenza perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione.[2]
Rapporto cattolici e politica
Sul dibattuto tema del rapporto cattolici e politica, Fabio Pizzul, cattolico impegnato nelle file del PD, ha recentemente pubblicato il libro Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici. La democrazia dopo il Covid 19.[3]È proprio prendendo spunto dal citato volume, e dal suo provocatorio titolo, che ci si muove per affrontare l’esame del rapporto tra i cattolici e la politica, un complesso rapporto che non può essere liquidato con una semplice battuta[4]. Un simile titolo include declinazioni o interpretazioni errate o, per lo meno, distorte dell’impegno dei cattolici in politica. E cioè che:
- a) la politica odierna non abbia più bisogno dell’apporto dei cattolici nell’epoca dei moderni social media – che rappresentano il megafono di una politica «urlata» e che sono poco inclini ad accogliere un pensiero politico argomentato, fatto di ragionamenti, di mediazione e di testimonianza -,[5]e anche, per come è spesso gestita, al servizio degli interessi più organizzati;
- b) i cattolici siano dei «minori», ossia persone incapaci di stare in politica o, addirittura, di non essere detentori di una vocazione politica che li solleciti al servizio del bene comune;
- c) i cattolici, se pure possono essere impegnati in politica, vi esistano in maniera necessariamente sottodimensionata o subordinata ad altri. E questo perché c’è chi decide al posto loro – l’A. cita, a riguardo, il cardinale Ruini, per diversi anni presidente della Conferenza episcopale italiana -,[6]nelle trattative su questioni cruciali o perché i cattolici sono da considerare alla stregua degli «utili idioti», dei quali sembra abbia parlato Palmiro Togliatti già nel dopoguerra.
Da quanto si può arguire, però, da una lettura attenta del saggio, l’Autore, se pure censisca queste inadeguate declinazioni del titolo, non chiude la porta alla necessità di un nuovo impegno dei cattolici in politica. Tutt’altro.
Infatti, nella conclusione dell’ultimo capitolo,[7]giunge a dire che il contributo dei cattolici, proprio in questo frangente storico del dopo Covid-19, può essere fondamentale per il futuro del nostro Paese, ma è indispensabile che si pensi ad organizzarne una rappresentanza efficace e visibile, per far vigoreggiare la solida radice culturale che a loro appartiene.
Ma c’è, però, da chiedersi: a quali condizioni? A conti fatti, quanto espresso dall’Autore, resterebbe un semplice auspicio se non venissero superate quelle remore culturali e quei pregiudizi che tengono «prigionieri» i cattolici, costringendoli in uno stato di minorità o di irrilevanza politica, in cui si trovano attualmente. Pizzul, rifacendosi al noto sondaggista Nando Pagnoncelli,[8]fa cenno alla frammentazione identitaria che in questi anni ha colpito i cattolici. Non si tratta propriamente della frammentazione politica, causata dalla cosiddetta ideologia della diaspora, su cui si ritornerà più avanti. Si tratta, invece, del fatto che la propria fede religiosa non sembra più conformare, ossia non riesce ad unificare i vari comportamenti dei credenti. Sicché essi tendono a vivere una netta separazione tra fede e impegno sociale, tra fede e politica, tra ragione e politica. Per esemplificare, possono amare papa Francesco e volere che i porti siano chiusi ad un’umanità sofferente. In altri termini, non pochi cattolici riterrebbero di stare in politica non ultimamente per ragioni di fede – perché ciò, secondo loro, sarebbe deleterio per il dialogo pubblico – ma solo per ragioni umane. E così, il cuore dei credenti in politica graviterebbe inevitabilmente e solo verso i partiti e non certo verso la comunione con Cristo e il suo Vangelo. Il che indurrebbe o giustificherebbe scelte e comportamenti non coerenti con i valori in cui si crede e con la coscienza rettamente formata, bensì solo conformi agli ordini di scuderia dei partiti. Poco importa se le leggi da votare sono ad impronta laicista, imperniate attorno a visioni antropologiche fortemente riduttive o addirittura irrazionali. Basta che siano state messe all’ordine del giorno dal proprio partito.
È indubbio, diciamocelo pure, che questo modo di pensare di non pochi cattolici pone per la Chiesa, che si sta avviando ad iniziare un cammino sinodale, una questione teologica ed ecclesiologica, una «questione cattolica» direbbe Gianfranco Brunelli, non piccola. Infatti, il suddetto modo di pensare si nutre di questo errato presupposto secondo cui l’essere specifico del cristiano non giustificherebbe un impegno peculiare dei credenti nella politica. In politica si dovrebbe essere presenti senza ragioni religiose, in definitiva senza il riferimento alla Dottrina sociale della Chiesa. Ma non finisce qui. A ben riflettere, quanto detto implicherebbe altri presupposti, davvero gravi per i politici cattolici: al lato pratico, non varrebbe l’incarnazione di Cristo che assume e redime l’umanità. Il credente che si impegna in politica non avrebbe, per conseguenza, il compito di vivere la politica, come suggerisce, peraltro, papa Francesco nella Fratelli tutti, secondo carità,[9]ossia secondo l’amore trasfigurante ed innovativo di Cristo. Parimenti, il credente non avrebbe il compito di vivere la politica scegliendo la fraternità come principio architettonico della democrazia e sarebbe chiamato a servire il bene comune come semplice cittadino.[10]Non esisterebbe una vocazione cristiana al bene comune. In definitiva, ai cattolici non servirebbe la fede per vivere in politica. Pertanto, in politica, il cattolico potrebbe vivere scisso da sé. Se ciò fosse vero si avrebbe un impoverimento motivazionale dell’impegno politico del credente, il quale sarebbe esposto, per conseguenza, a facili infeudamenti in questo o in quel partito. Tra l’altro si andrebbe esattamente a negare l’appartenenza ad una comunità di discepolato missionario ecclesiale in cui si può vivere l’esperienza dell’essere amati da Dio, e con ciò stesso del vivere il suo amore anche in politica.
Un caso di scuola: il ddl Zan
Desidero fermarmi su una vicenda che ritengo emblematica e cioè quella del cosiddetto ddl Zan, la proposta di legge che in 10 articoli detta, o che intendeva dettare, le «Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità». Qualche settimana fa il ddl Zan è stato bocciato dal Senato della Repubblica dopo mesi e mesi di polemiche sulla teoria del gender. Una questione rispetto alla quale i promotori, sostenuti da una parte significativa dell’informazione, hanno fatto passare il messaggio secondo cui i favorevoli alla legge sono i paladini della lotta contro le discriminazioni, mentre coloro i quali hanno manifestato perplessità e critiche sono, in qualche modo, favorevoli alla discriminazione. Com’è evidente, non è così. Senza, poi, tenere conto del fatto che l’ordinamento già vieta atti discriminatori e/o violenti.
Parole molto chiare sulla teoria del gender erano già state pronunciate da Benedetto XVI nella Presentazione degli auguri natalizi alla Curia Romana (21 dicembre 2012). Egli fa riferimento alla profonda erroneità antropologica della teoria del gender. Difatti in essa, secondo il Pontefice «l’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela». Inoltre, «maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. […]». Ancora: «Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione».[11]
In particolare la discussione ha riguardato gli articoli 1, 4 e 7.
L’art. 1 è dedicato alle definizioni. Infatti, stabilisce che: per sesso si intende «il sesso biologico o anagrafico»; per genere si intende «qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso»; per orientamento sessuale «si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi»; per identità di genere si intende «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione».
Il primo e più complesso nodo della proposta di legge è proprio rappresentato dall’identità di genere, concetto estremamente vago, anche dal punto di vista giuridico, ma non solo, che costituisce l’asse portante del provvedimento normativo. In sostanza, l’art. 1 finisce per riscrivere la natura umana per legge: operazione pericolosa perché il dissenziente potrebbe rischiare sanzioni penali.
L’art. 4, la cui rubrica richiama il «pluralismo delle idee e libertà delle scelte», stabilisce che «ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Tale formulazione mette in discussione la libertà di pensiero costituzionalmente garantita dall’art. 21. Infatti, per quanto i promotori affermino il contrario, essi stessi hanno sentito la necessità di riaffermarla espressamente in questo art. 4. Ma se la libertà di espressione è tutelata con la forza e l’efficacia proprie di una norma costituzionale che bisogno c’è di prevederla in una legge ordinaria quale il ddl Zan? Non è questa la sede per approfondire gli aspetti giuridici della materia, ma occorre evidenziare che la formulazione della norma accresce l’incertezza sulle condotte punibili penalmente. Inoltre, potrebbe stimolare l’utilizzo dello strumento della denuncia penale per colpire la manifestazione di opinioni contrarie alla teoria del gender. Così, anche in questa delicata materia, si finisce per rimettere la concreta definizione normativa di concetti discussi e discutibili al giudice penale che dovrebbe interpretare la legge valutando la legittimità delle diverse manifestazioni del pensiero.
Infine, l’art. 7 prevede l’istituzione del 17 maggio come Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia per «promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere». Un concetto chiave, quello dell’identità di genere, che finisce per incidere nei percorsi formativi di bambini e di adolescenti, pur essendo molto discusso. La Giornata fa genericamente riferimento alle scuole, dalle materne ai licei, nelle quali «sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziative utile». Si noti bene: non si dice che «possono organizzare», ma che «sono organizzate». A questo punto che fine fanno la libertà della ricerca e dell’insegnamento (art. 33 della Costituzione), la libertà di educazione (della quale i genitori sono i primi titolari: art. 30 della Costituzione), ma anche la libertà di esercizio del magistero e del ministero spirituale della Chiesa[12](art. 2 dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana che apporta modificazioni al Concordato lateranense)?
Qualcuno potrebbe chiedersi: che cosa c’entra questa digressione sul ddl Zan con il tema dei cattolici in politica? C’entra eccome perché anche questa vicenda ha reso evidente, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la contrapposizione tra i cattolici presenti nei diversi schieramenti politici, ma soprattutto la distanza di certe posizioni rispetto al magistero pontificio. E dire che la posizione della Chiesa è molto chiara in proposito. La Congregazione per la Dottrina della Fede, in una risposta datata 1° ottobre 2021 indirizzata all’Associazione Pro Vita & Famiglia, ha sottolineato che nell’esortazione apostolica di papa Francesco Amoris Laetitia (n. 56)[13]c’è «una chiara riprovazione dell’ideologia gender” e ha spiegato, altrettanto chiaramente, che cosa deve fare il cattolico in politica. La Congregazione della Dottrina della Fede lo afferma senza equivoci nella Nota dottrinale del 2002 della medesima Congregazione Circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica,[14] in cui si faceva, sì, riferimento al fatto che a volte, se non si poteva sovvertire una legge, si doveva puntare a moderare le sue conseguenze negative. Ma la nota soprattutto sottolineava che «la coscienza cristiana ben formata non permette a nessuno di favorire con il proprio voto l’attuazione di un programma politico o di una singola legge in cui i contenuti fondamentali di fede e della morale siano sovvertiti dalla presentazione di proposte alternative o contrarie a tali contenuti. Poiché la fede costituisce come un’unità inscindibile, non è logico l’isolamento di uno solo dei suoi contenuti a scapito della totalità della dottrina cattolica. L’impegno politico per un aspetto isolato della dottrina sociale della Chiesa non è sufficiente a esaurire la responsabilità per il bene comune. Né il cattolico può pensare di delegare ad altri l’impegno che gli proviene dal Vangelo di Gesù Cristo perché la verità sull’uomo e sul mondo possa essere annunciata e raggiunta». Quindi «sarebbe un errore confondere la giusta autonomia che i cattolici in politica debbono assumere con la rivendicazione di un principio che prescinde dall’insegnamento morale e sociale della Chiesa», perché «la fede cristiana è una unità integrale, e perciò è incoerente isolare alcuni elementi a detrimento dell’intera dottrina cattolica».
Verso una nuova stagione dell’impegno politico dei cattolici: le ragioni
Per la Chiesa, l’impegno dei cattolici in politica non è in questione, come hanno ribadito con forza e in più occasioni san Giovanni Paolo II, papa Benedetto XVI e, da ultimo, papa Francesco. Tale presenza è un dovere-diritto per una doppia serie di motivi: di ragione e di fede. Esiste in ognuno una vocazione umana al bene comune.[15]Nessuno può sentirsi, quindi, esonerato dalla sollecitudine nei confronti del bene comune e della giustizia sociale. Peraltro, ogni persona, in quanto inserita in Cristo che ricapitola in sé tutte le cose, possiede una vocazione cristiana all’impegno sociale e politico.[16]Questa sollecitudine, tra l’altro, trova anche un preciso riscontro a livello di ordinamento costituzionale. Infatti, l’art. 2 della Costituzione richiede “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale”. La vocazione cristiana al bene comune non cancella, dunque, la vocazione umana allo stesso bene, non la ostacola, bensì la include, la lievita, la consolida nella sua giusta autonomia.
Altre ragioni di impegno dei cattolici in politica
Volendo specificare quanto detto, per una nuova stagione di impegno dei cattolici in politica vanno annoverate altre ragioni che sono ravvisabili:
- a) in quell’apporto originale di umanizzazione che solo il cristianesimo ha dato ed è in grado di offrire in modo particolare oggi, in un contesto di neoindividualismo e di neoutilitarismo libertario, con riferimento: alle persone concepite nella loro integralità, alla vita – dalla nascita alla morte naturale (in un tempo in cui vita e morte non sono più espressione della sacralità del mistero, ma sono divenuti beni commerciabili e negoziabili, basta avere soldi e la pretesa che il proprio arbitrio diventi un diritto soggettivo che ipso factodeve essere tutelato dall’ordinamento statale) -, alla libertà legata alla verità, al bene comune (non considerato in senso hobbesiano, ossia come un limitare i condizionamenti negativi, bensì in senso cristiano, tommasiano, come un creare le condizioni che consentono l’attuazione del bene comune), alla fraternità come principio architettonico della democrazia, all’umanesimo trascendente (alternativo al transumanesimo immanentista), allo sviluppo integrale, inclusivo, all’ecologia integrale, ad una democrazia samaritana, ad una società relazionale, intesa come un noi sempre più grande, ad una politica sempre più impastata di pensiero pensante e meno di tecnica, ad un’economia a servizio di tutti, ad un welfare di comunità o generativo, ecc.;
- b) in quel plesso di questioni socio-economiche e culturali che sono oggi sul tappeto, e cioè la digitalizzazione, l’industria 4.0, l’educazione 4.0, un nuovo modello di economia verde, l’economia del riciclo, il terzo settore (per inventare forme inedite di gestione per la produzione e la fruizione di beni comuni e di beni relazionali, così essenziali per il nostro benessere eppure così troppo scarsi in Italia): cose tutte che invocano un neoumanesimo trascendente e che rappresentano una nuova frontiera non ancora ben focalizzata nel dibattito dei partiti e che è difficile ricollegare alla destra e alla sinistra. Sono prospettive che attendono una nuova politica e, più in particolare, nuovi partiti. Il problema di fondo è che nel Paese c’è un copione in cerca di autore, ma che in questo momento non è oggetto di debita considerazione: né da parte degli attuali partiti, rallentati da giochi di potere, zavorrati da ideologie neoindividualistiche e neoutilitaristiche che li rendono miopi rispetto alle res novae; né da parte di quel nuovo mondo già emergente dalla società civile, ma che appare indeciso nel mettersi in rete per esprimere adeguate rappresentanze sul piano politico-istituzionale. La politica ha il compito di creare le condizioni sociali della generatività. Si tratta, come ripete sovente il prof. Leonardo Becchetti, di una cosa molto concreta che passa per la longevità attiva, la lotta ai neet, il ridisegno di tutti i servizi di welfare in ottica di sussidiarietà, la fioritura di organizzazioni sociali e le condizioni di nuove imprese al servizio del bene comune. In questi ambiti, i cattolici stanno elaborando una nuova cultura ed esperienze pratiche che li indicano come soggetti particolarmente atti alla rinascita del nostro Paese e al rinnovo della democrazia. È proprio su questo versante che i cattolici sono chiamati ad impegnarsi maggiormente per concorrere alla creazione di una nuova cultura e di una nuova politica, di nuovi movimenti e di nuovi partiti. È ora di lasciare alle spalle le vecchie crisalidi dei partiti e dei movimenti che si consumano in riti estenuanti, distanti dalla vita quotidiana delle persone e tipici di altre fasi della vita del Paese, incapaci di giovinezza nel pensiero e nell’organizzazione.
La Chiesa, da tempo ha sottolineato con la Gaudium et spes, un’ulteriore ragione di impegno dei cattolici nella politica, in quanto riconosce e stima degna di lode e di considerazione l’opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità (cf GS n. 75).
Ma in proposito, risulta ancora attuale la denuncia di Giuseppe Dossetti, che in suo scritto di anni fa sottolinea le insufficienze dei cristiani e del clero con queste parole: «Una porzione troppo scarsa di battezzati consapevoli del loro battesimo rispetto alla maggioranza inconsapevole. Ancora l’insufficienza delle comunità che dovrebbero formarli; lo sviamento e la perdita di senso dei cattolici impegnati in politica, che non possono adempiere il loro compito proprio di riordinare le realtà temporali in modo conforme all’Evangelo, per la mancanza di vero spirito di disinteresse e soprattutto di una cultura modernamente adeguata; e infine l’immaturità del rapporto laici-clero, il quale non tanto deve guidare dall’esterno il laicato, ma proporsi più decisamente il compito della formazione delle coscienze, non a una soggezione passiva o a una semplice religiosità, ma a un cristianesimo profondo e autentico e quindi a un’alta eticità privata e pubblica».[17]
Si tratta, scrive Fabio Pizzul, di «una denuncia chiara della progressiva insignificanza dei cattolici, non determinata tanto da un’ostilità laicista di una società sempre più scristianizzata, quanto piuttosto di un progressivo scadimento della qualità della testimonianza cristiana dei fedeli laici impegnati. A 25 anni di distanza della denuncia di Dossetti, la situazione non è certo migliorata e si è probabilmente allontanata, almeno dalla stragrande maggioranza degli italiani, l’idea che la politica possa essere considerata una modalità per testimoniare il Vangelo e, persino, per incamminarsi lungo la via della santità. La notte così efficacemente evocata da Dossetti nel 1994 non pare finita e, se possibile, pare essere diventata ancora più buia, almeno dal punto di vista della possibilità di vedere riconosciuto e valorizzato il contributo dei cattolici alla vita del Paese. L’impressione della loro inutilità diventa così sempre più concreta».[18]
Le precondizioni di un nuovo impegno dei cattolici
Oggi, anche dopo le ultime elezioni amministrative, appare consistente la irrilevanza delle rappresentanze cattoliche in politica, come anche il notevole assenteismo dei cattolici. Occorre, ovviamente, fare eccezione per quei cattolici, sempre di meno in verità, che rappresentano una risorsa di competenze e di iniziative buone, e che risultano sproporzionati, dal punto di vista numerico, a fronteggiare con efficacia quella marea culturale montante che sventola la bandiera dei diritti individuali, propone una libertà slegata dalla verità, una laicità associata alla irrazionalità. Essi, purtroppo, non appaiono ancora in grado di far prevalere una cultura capace di rimodellare l’attuale sistema istituzionale e comunitario. C’è bisogno di investire in formazione e di canalizzare forze nuove nella partecipazione, per sostenere chi si impegna. Sarebbe una grave omissione se il mondo ecclesiale non si assumesse la responsabilità di questa nuova stagione, superando i tanti protagonismi personali, contribuendo alla formazione delle coscienze e alla selezione di candidati politici per governare la cosa pubblica in spirito di servizio.[19] Sullo sfondo sta il Paese e la sua domanda di politica nuova. Guardando la varietà e la ricchezza di esperienze, che pure caratterizzano la società civile, sorge la domanda: come favorire un percorso che le metta in comunicazione, come favorire il loro raccordo?
In vista del superamento della irrilevanza delle rappresentanze cattoliche, come anche della loro frammentazione, occorre che:
- si lavori alacremente alla generazione di una nuova cultura socio-politica, meno infeudata rispetto ai partiti e meno prona ai meri interessi economici e finanziari: una nuova cultura che si fondi su un umanesimo trascendente, figlio della forza rivoluzionaria che deriva dalla Trinità. La dottrina sociale aggiornata si mostra, a tal proposito, una valida matrice per la generazione di una nuova cultura;[20]
- oggi, più che impegnarsi a determinare il «come» essere presenti nel politico – aspetto non secondario – è prioritario costruire l’unità ideale e prassica dei cattolici.[21]In vista di ciò, occorre rispondere alla domanda: perché è importante che il mondo cattolico rimanga unito? Il motivo è semplice. Non si può essere fecondi a livello sociale e a livello politico se continua a prevalere per i cattolici la prospettiva secondo cui si deve operare nel sociale e nel politico, come è stato anche recentemente scritto, non pensandosi come simili.[22]Si tratta, peraltro, di un’affermazione poco perspicua, difficile da accogliere, dal momento che se non c’è «somiglianza» – nella dignità umana e nella capacità di ricercare il vero e il bene – non si capisce su quale base ci si possa compattare a livello di aggregazioni sociali e di partiti. E, poi, proprio perché la politica, come sottolinea Pierluigi Castagnetti,[23]non è solo testimonianza, ma è strumento per acquisire il potere per governare la complessità della vita della comunità, con il fine di realizzare un progetto politico, è necessario formare dei partiti che posseggano una sufficiente «massa critica» per competere là ove vige la regola democratica della maggioranza. Se non sono prima di tutto evidenti le ragioni dell’impegno dei cattolici nell’area del sociale e del politico, se non si sviluppa nella società civile un tessuto di iniziative oltre a nuovi movimenti, non si può sperare in una presenza efficace dei cattolici nella gestione della cosa pubblica. Come dimostra l’esperienza, i cattolici presenti in partiti che non sono affini con i loro ideali sono destinati a vivere ai margini o a soccombere, appena manifestano il loro dissenso rispetto a decisioni di scuderia. Non si tratta di vagheggiare partiti di testimonianza.Semmai di pensare a partiti di ispirazione cristiana, aconfessionali, comprensivi di credenti e non credenti, ma tutti in grado di condividere gli stessi ideali di libertà, di solidarietà e di sussidiarietà, di bene comune e di democrazia. È davvero difficile pensare che i cattolici possano convivere fruttuosamente e a lungo in partiti in cui si smentisce costantemente la loro concezione di persona, di dignità umana, di vita, dei diritti (oggi spesso interpretati in senso libertario, individualista, soggettivistico e del tutto slegati dai doveri), di libertà religiosa, di famiglia, di laicità, di bene comune, di ecologia integrale. In Germania sussistono figure di partito aconfessionali e di ispirazione cristiana. Per simili figure in Italia vi sarebbe uno spazio considerevole nell’arco costituzionale, nel cosiddetto «centro» politico, inteso come «centralità» o «centrismo», che è di più di un’area politica: è un metodo, un processo antropologico ed etico, caratterizzato dalla gradualità delle riforme, dalla cultura della mediazione, dall’interclassismo.[24]È, dunque, fondamentale pensare intanto a formare una presenza di cattolici, che lavori, collabori in sinergia, stimoli e presenti ai partiti proposte di leggi e soluzioni di problemi, organizzi forme di controllo, offra un progetto di società e formi le nuove generazioni. Non appare saggio che si debba escludere aprioristicamente la possibilità che si possano, poste certe condizioni, fondare nuovi partiti laici, di ispirazione cristiana, con il contributo di persone di buona volontà, aperte ad un dialogo interculturale. Un nobile tentativo ci sembra quello che è sorto qualche tempo fa e che, per ora, porta il nome di PoliticaInsieme. Nel suo progetto culturale si incarna la prospettiva di una politica con meno tecnica e più pensiero pensante;
- nel ripensamento del rapporto tra cattolici e politica va, dunque, rivista la teoria della diaspora. Questa, agli inizi degli anni Novanta, poteva apparire non solo come una necessità motivata, ma anche come una preziosa opportunità, persino come una «benedizione», secondo alcuni. La diaspora rendeva evidente che il seme cristiano non poteva essere «sequestrato» da qualche compagine, in questo caso partitica, rinchiudendolo dentro involucri, che alla fine lo contraddicevano e lo rendevano sterile. Il lievito dei cristiani doveva far fermentare tutta la pasta. Oggi, invece, si osserva una valutazione più disincantata di questa forma di pensiero. La diaspora, teorizzata come un bene, al lato pratico ha provocato, come già accennato, l’irrilevanza dei cattolici nella vita pubblica. E, fatto ancora più grave, ha lasciato dei segni di contrapposizione, provocando forti divisioni tra di essi. Da più punti di vista, la teoria della diaspora appare politicamente un assurdo, perché il bene comune e i vari beni politici vanno conseguiti collaborando tutti insieme; perché l’unità sui valori è prima di ogni pluralismo, di ogni diaspora; perché la diaspora implica una duplice debolezza teorica e pratica. Per un verso, essa comporta che i cattolici si rassegnino a rimanere minoranza, ovunque essi si trovino inseriti e, quindi, accettino di scomparire politicamente, proprio come l’immagine del lievito lascia intendere. Col risultato che chi è minoranza non potrà mai vedere accolte le proprie istanze, a meno di gesti compassionevoli o buonisti da parte della maggioranza. E così, si verifica un paradosso davvero strano! I cattolici entrano nei partiti per far avanzare un certo progetto politico che dice della loro identità, pur sapendo che mai riusciranno a far valere le loro ragioni. Né vale l’argomento – troppo spesso adombrato – secondo cui, su questioni di primaria importanza, i cattolici presenti nei diversi schieramenti potrebbero convergere in modo unitario invocando il “voto di coscienza” – un’ingenuità, questa, davvero imperdonabile, che denuncia la totale ignoranza di quanto ci viene insegnato da tempo dai cosiddetti modelli a massa critica. E cioè che, una volta avviato, un processo di trasformazione politica raggiunge il fine desiderato solo se il numero di coloro che ad esso aderiscono raggiunge una certa soglia, la cosiddetta massa critica. Diversamente, il processo collassa o addirittura degenera.
Per l’altro verso, l’opzione in questione avrebbe un esito a dir poco ridicolo: infatti, tutte le grandi matrici culturali e ideologiche presenti da tempo nel nostro Paese avrebbero la possibilità di esprimersi e di confrontarsi dialetticamente sulla scena politica, eccetto la matrice di pensiero cattolico! Le linee di pensiero neoliberale, libertario, populista e sovranista sarebbero titolate a presentarsi con i rispettivi programmi al giudizio degli elettori, ma non quella dei cattolici, i quali per esprimere il loro punto di vista dovrebbero bussare all’una o all’altra porta, chiedendo «ospitalità»;[25]
- non si sottovalutino le regole procedurali della vita democratica, in particolare quella del principio di maggioranza. In una democrazia, i beni-valori, compresi quelli sostenuti dai cattolici, possono essere tradotti in legge e diventare così programma di governo a livello delle istituzioni, mediante un metodo democratico, con l’appoggio di una maggioranza. Il che suppone che vi sia una qualche «massa critica» che li sostenga. Per quanto concerne la regola procedurale della maggioranza, è facile capire che quanti hanno sostenuto la «teoria» della diaspora, in sostanza hanno contribuito a far regredire le posizioni del mondo cattolico dal punto di vista politico e democratico. Al pari di ogni altro cittadino, il cattolico sa che, in una democrazia pluralista, può promuovere tutto quello in cui crede, sia come persona umana sia come uomo di fede ‒ la fede non fa altro che confermare ciò che pensa come essere umano e razionale ‒ solo se vive all’interno di una aggregazione e non disperso ovunque. Ossia se, assieme ad altri, riesce a costituire una maggioranza perché ciò è il fondamento della vita democratica. Affinché i propri beni-valori possano essere incarnati dall’azione politica, occorre essere il più possibile uniti e compatti, enon rinunciatari.[26]
Rispetto a questo punto, la parte del mondo cattolico, che ha sostenuto e che ancora sostiene la teoria della diaspora, e anche quei pensatori che l’hanno condivisa, a mio modo di vedere, hanno contribuito a far regredire la «maturità» politica in una specie di analfabetismo sociale, documentato anche dall’assenza di un minimo di grammatica e di lessico comuni. Non si sa più che cosa significhi, ad esempio, il termine «cattolico». Se lo si evoca esso, purtroppo, diviene subito causa di divisioni tra gli stessi credenti. Per poter dialogare, a detta di molti, occorre rimuoverlo o almeno metterlo tra parentesi;
- non venga meno il radicamento della vita dei cattolici nel contesto spirituale e culturale di una fede L’indebolimento della fede e di una spiritualità cristiana incarnata ha favorito lo scollamento tra la dimensione religiosa della vita del credente e il suo impegno politico. E, inoltre, ciò ha fatto sempre più che il credente fosse incapace di rendere socialmente visibile il contenuto morale della fede. A lungo andare, tutto questo ha provocato il secolarismodei movimenti sociali di ispirazione cristiana rispetto ai valori evangelici e all’esperienza di una fede vissuta profondamente, generando il disfacimento di una formazione e di una mentalità cristiane. Non raramente, la Dottrina sociale della Chiesa, oltre che ad essere considerata troppo astratta per affrontare i problemi concreti, è rimasta negli Statuti delle organizzazioni cattoliche o di ispirazione cristiana, come affermazione di principio, senza essere tradotta nella pratica! Di fatto, la Dottrina sociale della Chiesa è ormai pressoché ignorata da molte associazioni, aggregazioni, movimenti cattolici o di ispirazione cristiana, specie da parte delle nuove generazioni. Per non parlare, poi, della vita parrocchiale: ci sono indagini che rilevano che la catechesi è impartita da persone, che, per l’80%, ignorano che cosa sia la Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa e, quindi, non sono in grado di veicolarla nella loro opera educativa. L’assenza della Dottrina sociale dall’orizzonte valoriale dei cattolici li priva di uno strumento essenziale per il discernimento e per la progettualità. Viene meno quell’insieme di principi di riflessione, di criteri e di orientamenti pratici, che sono indispensabili per la formazione di un giudizio critico sulla realtà e per l’azione costruttrice della società, conformemente alla dignità delle persone, dal punto di vista sia umano che cristiano;
- a ben riflettere, anche dopo le elezioni europee del 26 maggio 2019, se si desidera ricostruire una presenza dei cattolici più rilevante ed incidente, un nuovo movimento culturale politico e un connesso nuovo movimento sociale cattolico, occorre ripartire dalle fondamenta.[27]Da una profonda conversione– uso questo termine, che riprendo dai testi pontifici, anche se corro il rischio di essere poco compreso ‒, pastorale, pedagogica, politica, economica, culturale, come ha sottolineato l’esortazione apostolica Evangelii gaudium.[28]Il che coinvolge necessariamente diocesi, parrocchie, movimenti, che non possono delegare ad altri il compito della formazione politica (non partitica!) del credente impegnato nel sociale e nel pubblico. Le comunità cristiane sono chiamate a formare non tanto dei «sacrestani», come soleva ripetere Vittorio Bachelet, bensì cristiani ben consapevoli della dimensione socialedella loro fede, che assumono con coraggio e responsabilmente la loro vocazione al bene comune. È abbastanza evidente che, se si desiderano nuove rappresentanze, occorre generare un nuovo movimento sociale cattolico, come vivaio di vocazioni alla politica, formato da soggetti che vivono in rete buone pratiche, a servizio del bene comune, con uno sguardo che vada oltre i confini nazionali aprendosi all’Europa e al mondo. E questo, senza rinunciare all’ispirazione cristiana, anche quando, per varie ragioni, si confluisca in organizzazioni aconfessionali.[29]Sarà possibile esprimere nuovi rappresentanti, soltanto se prima e durante si vive un’azione sociale di popolo. Cosa che, a sua volta, sarà possibile, se si sarà capaci di elaborare un progetto di Paese, di bene comune, di cittadinanza attiva e responsabile, sull’esempio di coloro che, a suo tempo, elaborarono il Codice di Camaldoli.[30]Il contributo dei cattolici che elaborarono il Codice di Camaldoli fu determinante anche in sede di Assemblea Costituente. In questa Assemblea i rappresentanti delle grandi correnti di pensiero riuscirono, pur nella differenza delle idee, a costruire un tessuto comune di valori condivisi su cui nei decenni successivi si è sviluppata la convivenza civile del nostro paese. Mi pare, questo, un significativo esempio del ruolo che hanno svolto i cattolici nella politica del nostro paese e che occorrerebbe riscoprire e rivitalizzare. Urge, a tal fine, una nuova cultura politica, rispetto alla quale è fondamentale il riferimento alla Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa, che deve essere conosciuto e sperimentato specie dalle nuove generazioni, contribuendo così, fra l’altro, al suo aggiornamento. Solo una nuova cultura politica consentirà di instaurare un progetto di trasformazione della società e di ravvivare i mondi vitali. Sarà possibile stare in politica dacristiani, se si sarà sorretti da un nuovo movimento sociale e culturale, da una spiritualità, che maturerà coltivando una formazione non solo delle coscienze in sé, ma delle coscienze incarnate, situate storicamente, impegnate in un’azione costruttrice della società. Il che potrà avvenire, promovendo un discernimentoincessante nelle aggregazioni, nelle associazioni e nei movimenti cattolici o ad ispirazione cristiana;
- si rifletta sul fatto che papa Francesco, in vista del cambiamento della politica e della rifondazione della democrazia a livello mondiale, pare contare di più sulla missione storica di movimenti popolari che non sugli attuali partiti. Nel novembre 2016 incontrando i movimenti popolari, li ha incoraggiati a rafforzarsi, vincendo il rischio sia di farsi incasellare dall’attuale sistema socio-economico, sia di lasciarsi corrompere.
Conclusione: risemantizzare la laicità
L’impegno politico dei cattolici si attua come risposta ad una vocazione umana e cristianaalla politica, per servire il bene comune, per dare risposte coerenti e durature alle attese dei cittadini, vivendo, giorno dopo giorno, quell’amore pieno di verità, «caritas in veritate», che Cristo dona ad ogni credente tramite il suo Spirito.
L’azione politica del cristiano, in quanto azione di un credente, deve soddisfare alcune esigenze fondamentali, tra le quali possiamo enumerare: l’amore cristiano; la coerenza con la fede professata; il rigore morale; la capacità di discernere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, il necessario dal superfluo; un’esistenza virtuosa; la capacità di esprimere un giudizio culturale in sintonia con la tradizione e le sue fonti; la competenza professionale; e, non ultima, la «passione» per il bene comune.[31]
Ma il credente, che desidera dedicarsi al servizio del bene comune, nella politica e suo mediante, non può ignorare che questo esige la canalizzazione di correnti di opinione, al fine di convogliarle nelle istituzioni pubbliche, di promuovere norme e, possibilmente, di governare o partecipare ai governi in accordo con esse.
Se l’appartenenza e il senso di comunione ecclesiale risultano capitali per l’impegno sociale e politico dei cristiani, è importante tenere presenti luoghi e tempi per il loro accompagnamento, per l’alimentazione della loro fede, per il discernimento dei loro impegni e delle loro scelte, per sostenere la loro “buona battaglia”. Una rinnovata, esigente e coerente presenza dei cattolici nella vita pubblica non può infatti ridursi ai loro concreti impegni politici. Una via da percorrere previamente è senz’altro la formazione delle loro guide spirituali, ossia i vescovi e i sacerdoti, i formatori sociali, assieme alla rinascita – su basi nuove, adatte ai tempi, alle mille città del nostro Paese, e capaci di rete – delle scuole di formazione sociopolitiche imperniate sulla Dottrina o Insegnamento sociale della Chiesa.
Per vincere l’irrilevanza dei credenti in politica, spesso causata dal fatto che si appiattiscono su un concetto depotenziato di laicità, quale quello promosso dalle correnti culturali neoindividualistiche e neoutilitaristiche, chiuse alla trascendenza, è imprescindibile la risemantizzazione della stessa laicità. I credenti potranno riprendere incisività e rilevanza culturale ed operativa,qualora recuperino un sano concetto di laicità, fondato cioè sulla legge morale naturale. La laicità dello Stato non si struttura su un’indifferenza etica generalizzata, bensì soltanto su piattaforme di beni-valori condivisi da tutti, che ricevono linfa dalla legge morale naturale, a sua volta alimentata dalle tradizioni e dalle comunità religiose.
La risemantizzazione della laicità di uno Stato democratico, in particolare, presuppone una sostanziale fiducia nella persona umana, nella sua ragione (capace di conoscere il vero e il bene, ma anche fallibile), nella coscienza morale, negli ethos delle società civili fecondati dalle comunità religiose.
Di fronte al fenomeno moderno e postmoderno della desemantizzazione progressiva della laicità, a causa dell’affermarsi di una cultura sempre più secolarizzata sconfinante nel secolarismo, come è stato sollecitato ripetutamente da Benedetto XVI, risulta indispensabile un impegno pluriarticolato, volto alla riscoperta di una ragione integrale e alla diffusione di un ethos aperto alla Trascendenza nonché alla realizzazione di una nuova evangelizzazione. Questa appare indispensabile non solo in ordine al compito primario di annunciare Cristo salvatore in una società multietnica e multireligiosa, ma anche per la liberazione e l’umanizzazione delle culture e degli ethos,che sono a fondamento degli ordinamenti giuridici e della laicità dello Stato.
Lo Stato laico di diritto, a fronte del primato della persona e della società civile, non può considerarsi fonte della verità e della morale in base ad una propria dottrina o ideologia. Esso riceve dall’esterno, dalla società civile pluralista ed armonicamente convergente, l’indispensabile misura di conoscenza e di verità circa il bene dell’uomo e dei gruppi. Non la riceve da una pura conoscenza razionale, da curare e proteggere mediante una filosofia totalmente indipendente dal contesto storico, in quanto non esiste una pura evidenza razionale, avulsa dalla storia. La ragione metafisica e morale agisce solo in un contesto storico, dipende da esso, ma allo stesso tempo lo supera. In breve, lo Stato trae il suo sostegno da preesistenti tradizioni culturali e religiose e non da una ragione nuda. Lo riceve da una ragione che matura all’interno di pratiche e di istituzioni a lei favorevoli, nella forma storica delle fedi religiose che tengono vivo il senso etico dell’esistenza e della sua trascendenza.
+ Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana
[1]Su questo può tornare utile la lettura dell’Editoriale, Dialogare nella laicità?, in «La Civiltà Cattolica», 2/16 ottobre 2021, pp. 3-9.
[2]Cf Benedetto xvi, Caritas in Veritate, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, n. 3, pag. 5.
[3]Cf F. PIZZUL, Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici. La democrazia dopo il Covid 19, Edizioni Terra Santa, Milano 2020.
[4]Sul tema si veda una riflessione articolata su M. Toso, Cattolici e politica, Prefazione di Stefano Zamagni, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma, 2019. Merita di essere letto anche il saggio riedito di B. SORGE, Cattolici e politica, Armando Editore, Roma 2021.
[5]Cf F. PIZZUL, Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici, p. 144.
[9]Cf Francesco, Fratelli tutti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020, capitolo quinto.
[10]Si legga in proposito M. TOSO, Fraternità o fratellanza? Introduzione alla lettura dell’Enciclica «Fratelli tutti», Tipografia Editrice Faentina, Faenza 2021.
[11]CfBenedettoXVI, Presentazione degli auguri natalizi alla Curia Romana, Sala Clementina, 21 dicembre 2012.
[12]Si riporta di seguito il testo integrale della Nota Verbaledella Segreteria di Stato di Sua Santità, Sezione per i rapporti con gli Stati, del 17 giugno 2021, Prot. N. 9212/21/RS: «La Segreteria di Stato, sezione per i Rapporti con gli Stati, porge distinti ossequi all’Ecc.ma Ambasciata d’Italia e ha l’onore di fare riferimento al disegno di legge N. 2005, recante “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”, il cui testo è stato già approvato dalla Camera dei Deputati il 4 novembre 2020 ed è attualmente all’esame del Senato della Repubblica. Al riguardo la Segreteria di Stato rileva che alcuni contenuti dell’iniziativa legislativa – particolarmente nella parte in cui si stabilisce la criminalizzazione delle condotte discriminatorie per motivi “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere” – avrebbero l’effetto di incidere negativamente sulle libertà assicurate alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli dal vigente regime concordatario. Diverse espressioni della Sacra Scrittura, della Tradizione ecclesiale e del Magistero autentico dei Papi e dei Vescovi considerano, a molteplici effetti, la differenza sessuale, secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina. Tale prospettiva è infatti garantita dall’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica italiana di revisione del Concordato lateranense, sottoscritto il 18 febbraio 1984. Nello specifico, all’articolo 2, comma 1, si afferma che “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”.All’articolo 2, comma 3, si afferma ancora che “è garantita ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La Segreteria di Stato auspica pertanto che la Parte italiana possa tenere in debita considerazione le suddette argomentazioni e trovare una diversa modulazione del testo normativo, continuando a garantire il rispetto dei Patti Lateranensi, che da quasi un secolo regolano i rapporti tra Stato e Chiesa e ai quali la stessa Costituzione Repubblicana riserva una speciale menzione. La Segreteria di Stato, Sezione per i Rapporti con gli Stati, si avvale della circostanza per rinnovare all’Ecc.ma Ambasciata d’Italia i sensi della sua alta considerazione».
[13]Si riporta di seguito il testo integrale del n. 56 dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia: «Un’altra sfida emerge da varie forme di un’ideologia, genericamente chiamata gender, che «nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina. L’identità umana viene consegnata ad un’opzione individualistica, anche mutevole nel tempo». E’ inquietante che alcune ideologie di questo tipo, che pretendono di rispondere a certe aspirazioni a volte comprensibili, cerchino di imporsi come un pensiero unico che determini anche l’educazione dei bambini. Non si deve ignorare che «sesso biologico (sex) e ruolo sociale-culturale del sesso (gender), si possono distinguere, ma non separare». D’altra parte, «la rivoluzione biotecnologica nel campo della procreazione umana ha introdotto la possibilità di manipolare l’atto generativo, rendendolo indipendente dalla relazione sessuale tra uomo e donna. In questo modo, la vita umana e la genitorialità sono divenute realtà componibili e scomponibili, soggette prevalentemente ai desideri di singoli o di coppie». Una cosa è comprendere la fragilità umana o la complessità della vita, altra cosa è accettare ideologie che pretendono di dividere in due gli aspetti inseparabili della realtà. Non cadiamo nel peccato di pretendere di sostituirci al Creatore. Siamo creature, non siamo onnipotenti. Il creato ci precede e dev’essere ricevuto come dono. Al tempo stesso, siamo chiamati a custodire la nostra umanità, e ciò significa anzitutto accettarla e rispettarla come è stata creata».
[14]Cf CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale Circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002.
[15]Parlando delle ragioni che dovrebbero spingere ad un impegno responsabile nel campo della politica, papa Francesco, il 1° ottobre 2017 in Piazza del Popoloa Cesena, in occasione della sua visita nel terzo centenario della nascita di Pio VI, ha ricordato che è essenziale lavorare tuttiinsieme per il bene comune. Dal discorso del pontefice emergono alcuni elementi fondamentali: tutti devono coltivare l’impegno di lavorare per il bene comune, perché tutti, adulti o giovani, sono cittadini e hanno una vocazione al servizio del bene comune. Orizzonte e fine dell’impegno è la buona politica, amica delle persone, inclusiva e partecipativa, che non lascia ai margini nessuno, che tiene il timone fisso nella direzione del bene di tutti. Per questa ragione, bisogna prepararsi in modo da essere in grado di agire efficacemente in prima persona. Chi intende impegnarsi direttamente in politica deve prendere la propria croce e sapere che potrebbe essere un «martire» al servizio di tutti. L’agire politico, in nome e a favore del popolo, è una nobile forma di carità. Il che esige coerenza dai protagonisti della vita pubblica. Essi vanno accompagnati con una critica costruttiva. Non è lecito fermarsi a guardare da un balcone, nella speranza del fallimento del proprio avversario. Occorre dare, hic et nunc, il proprio contributo, riscoprendo il valore della dimensione sociale della convivenza (Cf Francesco, Discorso in Piazza del Popolo [Cesena], 1° ottobre 2017).
[16]Per chi vive in Cristo c’è una vocazione cristiana alla vita della res publica, all’impegno di portarla a compimento in Dio. Siamo sollecitati a vedere la nostra vita e la nostra azione, in tutti i campi, fondate su Gesù Cristo; anzi, innestate in Lui, che ha assunto l’umano divinizzandolo. E questo, perché Egli si è fatto carne e, con tale misterioso evento, ha assunto e indirizzato anche le nostre vite verso quella completa realizzazione che si attua soltanto in Lui. Dobbiamo, pertanto, vivere la nostra chiamata al sociale, al bene comune, tendendo a quella pienezza umana che ci è già stata donata in nuce dal Figlio di Dio. Ciò ci fa capire che siamo portatori di una vocazione cristiana al sociale e alla politica. Non sempre ce se ne rende conto. Le ragioni dell’impegno in politica, al servizio del bene comune sono, in sintesi, anche di un ordine che sovrasta quello semplicemente razionale. L’esortazione apostolica Evangelii Gaudium di papa Francesco descrive bene la radicazione inCristo della nostra vocazione al sociale, a partire dalla considerazione del kérygma (cf Francesco, Evangelii gaudium [= EG], Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2013, n. 177), della nostra professione di fede: noi crediamo in Dio Padre e nel Figlio, Gesù Cristo, che, incarnandosi, ha assunto e redento l’umanità, tutte le attività dell’uomo, compresa la politica. Crediamo nella Trinità. Crediamo di essere inseriti nella comunione e nella dinamica d’amore di un Dio uno e trino. Con questa professione, dichiariamo la nostra apertura e vocazioneal sociale. Se professiamo Dio come Padre, professiamo la fraternità, riconoscendo gli altri come fratelli e, quindi, consapevoli di vivere in una stessa famiglia: la famiglia umana, che è anche la famiglia di Dio. Parimenti, se diciamo di credere nel Cristo, Figlio incarnato, affermiamo in sostanza che ogni uomo è stato elevato alla dignità di figlio di Dio: la dignità della persona è la dignità di figlio di Dio. Questo, evidentemente, comporta una particolare attenzione nei confronti dell’altro, di ogni altro. Analogamente, se professiamo la Trinità, dichiariamo che il nostro modello di vita e la nostra meta sono la vita comunitaria di Dio.
[17]G.dossetti, Sentinella quanto resta della notte?, in ID., La parola e il silenzio. Discorsi e scritti 1986-1995, Paoline Editoriale Libri, Milano 2005, p. 376.
[18]F. Pizzul, Perché la politica non ha più bisogno dei cattolici, pp. 98-99.
[19]Cf F. Occhetta, Fede e giustizia. La nuova politica dei cattolici, San Paolo, Milano 2021, pp. 132-133.
[20]Su questo si veda, M. TOSO, La dimensione sociale della fede, LAS, Roma 20222.
[21]Cf F. Occhetta, I cattolici in politica: aurora o eclisse, in «La Civiltà Cattolica» I (2014), pp. 54-47.
[22]Cf Ib., Fede e giustizia, p. 15.
[25]Cf S. ZAMAGNI, Un economista legge «Cattolici e politica» di Mario Toso, in «Il Cantico» speciale Marzo 2019 online, pp. 16-19; ma anche «Rassegna-Cnos», Gennaio-Aprile 2019, n. 1, pp. 197-198.
[26] E ciò, anche quando si sia in minoranza, al fine di poter migliorare quelle leggi che, sostenute dalla maggioranza, giungono a calpestare beni-valori umani fondamentali. Giovanni Paolo II, nella sua Evangelium vitae, prevede proprio questa evenienza per i cattolici, perché minoritari: «Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. Simili casi non sono rari. Si registra infatti il dato che mentre in alcune parti del mondo continuano le campagne per l’introduzione di leggi a favore dell’aborto, sostenute non poche volte da potenti organismi internazionali, in altre Nazioni invece — in particolare in quelle che hanno già fatto l’amara esperienza di simili legislazioni permissive — si vanno manifestando segni di ripensamento. Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui» (Giovanni PaoloII, Evangelium vitae, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, n. 73).
[27]Per reagire alla situazione dell’irrilevanza dei cattolici, e per non far mancare la specificità dell’apporto dei credenti alla gestione della cosa pubblica, prima di fondare nuovi partiti, si è cercato di creare un nuovomovimento sociale e politico. Si pensi a «Todi 1», «Todi 2», «Todi 3». ove negli anni scorsi, a partire dal 2011, diversi cattolici hanno pensato al loro ruolo in politica. Ma quegli stessi che avevano contribuito a far nascere questo progetto di un nuovo movimento, come un’urgenza che doveva rispondere alla necessità di una ricomposizione culturale, prima che socio-politica, non sono sempre riusciti a farlo avanzare. Anzi, alcuni hanno persino rimosso l’idea di un «movimento» culturale, per impegnarsi più immediatamente nella nascita di una nuova realtà partitica (Scelta Civica), senza avvertire la necessità di lavorare in primo luogoalla creazione di un dialogo tra le molteplici forze sociali di estrazione sia cattolica che liberale – ossia facenti capo a persone di buona volontà, anche se non credenti ‒, e alla elaborazione di un nuovo progetto culturale. In certo modo, ciò ha ritardato la nascita di un vero e proprio movimento culturale politico, protraendo la situazione di diaspora e dell’irrilevanza dei cattolici nel governo della pólis.
[28]Cf Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, nn. 25-33; 52-75.
[29]Su questo, ci permettiamo di rinviare a M. Toso,Per una nuova democrazia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2016, pp. 57-60.
[30]Cf ICAS, Per la comunità cristiana. Principi dell’ordinamento sociale, Editrice Studium, Roma 1945, testo conosciuto come Codice di Camaldoli. Considerata la situazione attuale, prima ancora di avviare precipitosamente la nascita di nuovi partiti o di riesumare quelli già morti, occorre impegnarsi nell’unire le forze, lavorando alla compattazione di una nuova piattaforma valoriale e culturale, sulla cui base elaborare una nuova progettualità. Al riguardo, può servire come modello l’azione di quei cattolici, che, nel secolo scorso, hanno provveduto alla stesura del noto Codice di Camaldoli. Si potrà allora giungere, attraverso ulteriori passaggi, ad un progetto politico organico. In questa fase storica, i cattolici dovrebbero percepire l’urgenza di unirsi, mentre varano nuove forme aggregative sul piano politico, in un Movimento, al fine di individuare un nuovo pensiero, una nuova visione della società e, conseguentemente, un nuovo progetto di Paese sul piano sociale e politico! Un problema non secondario, oggi, è quello appunto di costruire l’unità necessaria, innanzitutto tra i credenti e, poi, con tutti gli uomini di buona volontà, anche di estrazione liberale, purché non siano alieni dalla solidarietà. Detto brevemente, la questione cruciale non è tanto la forma della discesa in campo, quanto come costruire una spiritualità dell’unità tra i cattolici, che attualmente sono in preda al dogma della diaspora e vivono in un pluralismo divaricato! Se non esiste il «dogma» dell’unità politica dei cattolici, in democrazia, come già detto, esiste la regola procedurale del principio di maggioranza, che induce ad allearsi, specie con riferimento ai grandi beni-valori del vivere sociale e civile, affinché possano essere inscritti nelle leggi e nelle istituzioni. Per cambiare le cose e risolvere i grandi problemi della povertà, della disoccupazione, della fame, delle guerre, delle devastazioni del pianeta, non bastano i piani assistenziali, la semplice testimonianza individuale. Occorrono nuove leggi e nuove politiche, le quali possono essere varate solo mediante maggioranze espresse nei parlamenti. Come ha scritto papa Francesco: «La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali dell’inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali»(Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium [= EG], n. 202).
[31]Cf J. Miró i Ardèvol,La necessità di nuovi soggetti politici e di nuovi progetti culturali, in Pontificium Consilium pro Laicis, Testimoni di Cristo nella comunità politica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, pp. 150-152.