Faenza, san Francesco d’Assisi, 4 ottobre 2021.
Cari fratelli e sorelle, festeggiamo la grande figura di san Francesco d’Assisi, un gigante della fede, un fondatore di più ordini religiosi, patrono d’Italia. Il suo culto è diffuso in tutto il mondo. I santi ci mostrano il volto di Cristo. Ognuno ne rappresenta un aspetto particolare. Essi sono i nostri fratelli, che pregano per noi e che costituiscono un modello di vita. Di san Francesco consideriamo questa sera un tratto caratteristico della sua santità: l’amore per la povertà. Perché egli ha coltivato nella sua vita la povertà in modo distintivo? Per noi che lo amiamo e veneriamo è bene andare alla radice della sua spiritualità, delle sue scelte e dei suoi stili di vita. E così comprenderemo ove sta il segreto della sua grandezza spirituale. San Francesco scrive alle Sorelle povere di san Damiano: «Io, frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre» (FF 140). Francesco sceglie la povertà perché guarda alla vita di Gesù Cristo che solo attraverso la povertà e l’umiltà, l’abbassamento e il servizio, è diventato nostro Redentore e fratello di tutti, in primo luogo dei lebbrosi, dei poveri, degli «scarti» della società.
Per Francesco il farsi poveri è la condizione per diventare discepoli di Gesù. Chi vuole farsi discepolo di Gesù non deve solo vendere tutto quello che ha e darlo ai poveri, come Egli sollecita nel suo Vangelo. Chi vuole seguire Gesù deve andare dietro a Lui, rinnegare sé stesso, prendere la sua croce e seguirlo sino al dono totale di sé stesso. In sostanza, diventa vero discepolo di Gesù chi imita la sua povertà, ovvero la sua discesa o incarnazione nell’umanità. La motivazione della scelta di vita di san Francesco è data dalla povertà di Gesù Cristo. Il Signore Gesù è la ragione profonda della scelta di Francesco di essere povero. La povertà a cui guarda il Santo Francesco è la decisione presa dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito santo di raggiungerci attraverso l’incarnazione. Il contenuto essenziale della povertà che san Francesco contempla ed ama in Gesù è la sua discesa, l’assumere la nostra condizione umana, per diventare uno di noi, par aiutarci a sbaragliare il nostro egoismo, l’opposizione a Dio. San Francesco volle assumere in sé gli stessi sentimenti che furono di Gesù Cristo, il quale non ritenne un privilegio l’essere come Dio ma svuotò sé stesso assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini (cf Fil 2, 5-7). E così il poverello di Assisi si svuotò, si espropriò, si spogliò e restituì sé stesso a Dio, non solo i suoi averi materiali. In questo sta la radice della povertà esteriore ed interiore di Francesco. La ragione ultima dei gesti e degli atteggiamenti di Francesco è, pertanto, l’incarnazione di Gesù, la discesa del Figlio di Dio nella nostra storia per mostrarci quanto si e ci amano le tre persone nella Trinità, che ci donano sé stesse e la loro capacità di amare.
In particolare, Francesco vede un legame particolare tra la povertà e l’Eucaristia, che stiamo celebrando. L’Eucaristia è il punto estremo dello svuotamento di Cristo. Egli si è fatto uomo sino ad assumere la nostra morte e il nostro peccato, per annientarli. Nell’Ammonizione I Francesco pensa all’Eucaristia dentro la logica dell’incarnazione. Accogliendo Cristo che muore e risorge viene chiesto a noi di incarnarci nel mondo per redimerlo, per trasfigurarlo. Possiamo incarnarci nel mondo svuotandoci, rendendoci servi come Cristo, per fare ricco il mondo di Dio: «Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Cor 8,9). Partecipando all’Eucaristia, facendo la comunione con Cristo che muore e risorge, Francesco «mangia» la povertà di Cristo, mangia Cristo che nel donarsi all’umanità svuota completamente sé stesso per renderci più somiglianti a Lui. Come possiamo trattenere qualcosa di noi, pensa san Francesco, nel momento in cui mangiamo Colui che tutto si è dato a noi? Se mangiamo il corpo donato e beviamo il suo sangue versato, che sono Cristo che si fa cibo per noi, come possiamo pensare di non farci dono, di trattenere qualcosa di noi o di appropriarci degli altri o delle cose del mondo? Se non lo facciamo, contrastiamo in noi il movimento di dono che l’Eucaristia introduce nella nostra vita. Si crea in noi la contrapposizione tra la vita di Cristo e la nostra, ripiegata su sé stessa, chiusa all’accoglienza della povertà di Cristo, ai poveri. In tal modo, non riceviamo la ricchezza della vita di Cristo e non la possiamo donare agli altri. Sarebbe la negazione della nostra missionarietà, ciò che ci viene chiesto di vivificare con il prossimo cammino sinodale. Un tale cammino, come dice l’aggettivo qualificativo, ci vuole tutti uniti a Gesù Cristo per farne dono ai nostri fratelli, mentre li incontriamo nei vari ambienti di vita. Quanto detto ci fa capire come il prossimo 17 ottobre, intraprendendo il cammino sinodale a cui ci sollecita papa Francesco, non potremo non guardare al poverello di Assisi che oggi festeggiamo.
+ Mario Toso
Vescovo di Faenza-Modigliana