OMELIA per il PELLEGRINAGGIO DIOCESANO A TORINO (Maria Ausiliatrice e Sindone)

Torino - Santuario di Maria Ausiliatrice
11-05-2015

Carissimi,

siamo finalmente giunti nella grande Basilica che don Bosco ha innalzato alla Madonna, da lui considerata la fondatrice della Congregazione salesiana. Veniamo dalle nostre diocesi per onorare e pregare il Santo che, con le sue opere – specie scuole ed oratori –, ha contribuito alla formazione cristiana e culturale di intere generazioni di italiani, ed anche di ravennati, riminesi, forlivesi e faentini. Lodiamo il Signore per le meraviglie che ha compiuto mediante l’infaticabile dedizione di don Bosco che si prolunga nell’oggi tramite i suoi «figli» e le sue «figlie». Lo facciamo con riconoscenza tanto più profonda quanto più percepiamo le gravi carenze valoriali delle nuove generazioni nelle città ove i salesiani ed altri istituti religiosi non sono più attivi. È questa la ragione per cui molti giovani non sono più aiutati nella ricerca di un senso alla loro vita, e rimangono demotivati, perché senza Dio.

Essi hanno bisogno della presenza amorevole di genitori, di nonni, di educatori che li accompagnino, li aiutino ad acquisire fiducia in se stessi, sperimentando l’appartenenza ad una famiglia accogliente, di cui Dio è il Padre pieno di tenerezza, che desidera riversare il suo amore su tutti, indistintamente. Spesso vivono in un mondo virtuale, quello di Internet, che, pur offrendo mille informazioni e infinite possibilità di comunicazione, in realtà è asetticamente impersonale, non elargisce vero affetto, tenerezza, il contatto caldo di un abbraccio, come avviene nelle famiglie normali. Non sperimentando in molti casi, l’appoggio e la comprensione dell’amore materno e paterno, i nostri giovani si sentono orfani, sempre alla ricerca di una compensazione purchessia.

Ai piedi di Maria Ausiliatrice, di san Giovanni Bosco e di san Domenico Savio, capolavoro del metodo pedagogico salesiano, rinnoviamo il nostro impegno di essere protagonisti di una nuova educazione dei giovani. Raggiungeremo questo obiettivo, se saremo capaci di far loro incontrare o re-incontrare Gesù Cristo, il Salvatore, in un rapporto personale e pertanto unico.

Impariamo, allora, da don Bosco.

Don Bosco è Chiesa «in uscita da sé», che va incontro ai giovani ovunque si trovino: agli incroci delle strade, nelle piazze, e li raduna e li invita «a casa». Noi, spesso, lasciamo che vivano nel loro mondo, senza preoccuparci di intavolare un dialogo franco ed utile sui problemi che li preoccupano, sulle visioni di vita che assorbono dai mass-media, proiettati, come sono, in un mondo per molti versi artificiale che avvolge e penetra.

Don Bosco è Chiesa che «si coinvolge». Come Gesù vive con i suoi discepoli, così don Bosco vive con i suoi giovani, prodigandosi senza risparmio di fatiche: gioca con loro nei cortili, li affianca, trova sempre le parole adatte, sa essere fratello e, soprattutto, sa essere «padre». Lo udivano spesso affermare: «Io per voi studio, per voi lavoro, per voi sono disposto anche a dare la vita». Dobbiamo, allora, essere convinti che stare con i giovani non è tempo sprecato, ma è un momento privilegiato per dimostrare il nostro affetto, la nostra simpatia e la nostra disponibilità ad ascoltarli facendoci partecipi dei loro problemi.

Don Bosco è Chiesa «samaritana», una Chiesa che non sta lontana, ma si abbassa, si mette in ginocchio per lavare i piedi affaticati, impolverati, quando non infangati. Accorcia le distanze, si prende cura di questi figli di Dio, della loro umanità, «carne» sofferente di Cristo.

Don Bosco, per usare le parole di papa Francesco, va verso le «periferie» dei giovani della società della prima rivoluzione industriale, che scendevano dalle valli verso Torino in cerca di lavoro e spesso erano vittime dello sfruttamento da parte di padroni senza scrupoli. Costruisce per loro oratori, laboratori, scuole, collegi. Per proteggerli, redige un contratto di lavoro. Riforma la pastorale e l’azione apostolica della Chiesa del suo tempo: a fronte di chierici e sacerdoti che si tenevano a distanza dai giovani, perché ritenevano sconveniente stare in mezzo a loro, in cuor suo si propone di comportarsi esattamente nel modo opposto.

A tal fine, crea un imponente movimento di educazione e di emancipazione, ridonando alla Chiesa quel contatto con le masse che era venuta perdendo, e del quale parla il gentiliano, laicista, pedagogista catanese, Giuseppe Lombardo Radice. San Giovanni Bosco intese formare «buoni cristiani» ed «onesti cittadini»: pertanto riteneva che il loro impegno nei compiti ecclesiali non dovesse avvenire a scapito della testimonianza dei valori cristiani nel sociale e nelle istituzioni pubbliche. Oltre che dal punto di vista religioso, li preparò intellettualmente e professionalmente, affinché potessero accedere a un lavoro che consentisse il proprio mantenimento e la formazione di una famiglia, mettendoli così in grado di dare un apporto efficace al bene comune. Come già detto, si impegnò a stipulare i primi contratti di lavoro, facendo in certo modo le veci di un «sindacato», preoccupandosi di verificare non solo il comportamento dei dipendenti, ma anche quello dei datori di lavoro, e incoraggiò la costituzione di Casse di Mutuo Soccorso.

Don Bosco, in definitiva, è Chiesa che accompagna i giovani lungo i faticosi processi di crescita integrale, di umanizzazione e di divinizzazione a un tempo. Ma non solo. Giunge a farne evangelizzatori, ossia a formare una chiesa di giovani, capaci a loro volta di essere «in uscita da sé», disposti a dare la vita, sino al dono totale.

Domenico Savio, autentico emblema del metodo educativo e preventivo donboschiano, fu apostolo tra i suoi compagni, specie i più piccoli, ed ebbe l’occasione di vivere concretamente l’amore di Cristo assistendo qui a Torino le vittime del colera.

Don Bosco è stato Chiesa sempre attenta ai frutti di vita nuova: con i suoi giovani celebrava e festeggiava ogni piccola vittoria sul male, mediante una liturgia gioiosa, che offre e rilancia l’impegno di progredire nel bene mediante una più intima comunione con Dio.

Guardò in profondità la realtà umana, cogliendola con gli occhi della fede come la grande famiglia di Dio Padre, ove tutti sono fratelli e sorelle, e nessuno può essere una «vita da scarto», un essere inutile. Tutti debbono avere la possibilità di una crescita in pienezza, crescita in Dio. La vita delle sue case, lo stesso metodo educativo erano contrassegnati da uno stile di esistenza familiare, dove si sperimentava la paternità di Dio e quella fraternità mistica, che papa Francesco descrive come un vivere insieme, un mescolarsi, un incontrarsi, un prendersi in braccio, un appoggiarsi, un partecipare ad una carovana solidale, a un santo pellegrinaggio (cf Evangelii gaudium n. 87).

Don Bosco ha generato nella Chiesa un popolo di giovani fraterni, gioiosi, perché la sua vita era colma di Dio. Riempiva il loro cuore di Gesù, di quel Gesù che libera dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Ne fa fede una commovente pagina che il Santo don Orione scrive ai suoi chierici nel 1934, l’anno della canonizzazione di don Bosco: «Ora vi dirò la ragione, il motivo, la causa per cui don Bosco si è fatto santo. Don Bosco si è fatto santo perché nutrì la sua vita di Dio. Alla sua scuola imparai che quel santo non ci riempiva la testa di sciocchezze, o di altro, ma ci nutriva di Dio, e nutriva se stesso di Dio, dello Spirito di Dio. Come la madre nutre se stessa per poi nutrire il proprio figliolo, così don Bosco nutrì se stesso di Dio per nutrire di Dio anche noi» (Strenna 2014, pp. 12-13).

Oggi, Congregazione e Famiglia salesiane, e tutti coloro che a Forlì, a Ravenna, a Rimini e a Faenza sentono il fascino di don Bosco, a fronte di una cultura chiusa alla Trascendenza la quale, in forza dell’assolutizzazione del profitto a breve termine, svaluta ed emargina il lavoro e l’economia reale, hanno due compiti: sono chiamati a favorire l’incontro dei giovani con Gesù Cristo, mediante una nuova tappa evangelizzatrice; e a promuovere case-famiglia, scuole e centri di formazione professionale, nonostante le difficoltà di finanziamento da parte delle istituzioni pubbliche. L’obiettivo di ogni Paese civile dev’essere quello di una economia inclusiva, dove c’è spazio anche per coloro che cadono e rimangono feriti a causa di eventi estranei alla loro volontà, come la crisi economico-finanziaria, in cui purtroppo siamo ancora immersi. Mentre persiste il dramma lacerante della droga, sulla quale si intende lucrare in spregio a leggi morali e civili sino a volerla liberalizzare, a danno specialmente delle nuove generazioni, dobbiamo credere nella formazione di persone aperte e scommettere sulle potenzialità positive dei giovani.

In un momento in cui gli Stati sembrano offrire diritto di cittadinanza persino all’omologazione dell’arbitrio, don Bosco sollecita oggi a investire su un amore di tenerezza, sull’amicizia con Dio, su una retta ragione.

Come don Bosco, non lasciamoci defraudare dello slancio missionario, non abbandoniamo i giovani a se stessi. Facciamo sì che, unendo le forze, le nostre comunità si impegnino ad evangelizzarli e ad educarli. Impariamo a comunicare con loro nel linguaggio che essi comprendono. Crediamo in loro, lottiamo per loro. Non rinunciamo a proporre un cammino di speciale consacrazione. Offriamo a loro ciò che di più prezioso abbiamo: Gesù Cristo, la sua pienezza di vita