[set 4] Intervento – Dalla Dottrina sociale della Chiesa a una cultura cattolica

04-09-2021

Bologna, 4 settembre 2021

Premessa

A fronte del cambiamento d’epoca e del periodo pandemico, a causa del Covid-19, è richiesto un nuovo pensiero, una nuova cultura.[1] Proprio per venire incontro a questa esigenza è importante la bussola che ci offre la Dottrina o insegnamento o magistero sociale della Chiesa.

  1. La fede fonte di una nuova cultura: la sua dimensione sociale

Cos’è la dimensione sociale della fede? Alla domanda si può rispondere in più maniere. Mi sembra che quella più efficace sia quella di sottolineare che, grazie al battesimo, chi vive in Cristo come persona intera, ossia secondo tutte le sue dimensioni costitutive, è chiamato a vivere il suo essere sociale, relazionale, con l’Amore trasfigurante del figlio di Dio. L’uomo, assunto da Cristo con la sua incarnazione, è divinizzato e redento nella sua interezza e, dunque, anche nella dimensione sociale della sua esistenza. Volendo essere più completi: Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini. Esiste, in concreto, per il credente una vocazione cristiana al sociale. L’impegno nel sociale e nel politico non è estraneo rispetto all’essere umano e cristiano. Se il credente confessa la propria fede riconosce ed opera affinché lo Spirito Santo penetri ed agisca in ogni situazione umana, nelle culture e in tutti i vincoli sociali. Quanto detto dovrebbe essere sufficiente nell’ispirare e nell’aiutare i formatori nell’educazione sociale della fede. Appare cruciale far comprendere che per il credente non ci può essere separazione tra fede e vita, tra Vangelo e cultura. Tanto l’annuncio quanto l’esperienza cristiana generano conseguenze culturali e sociali. Per conseguenza, non possono essere coltivate una pastorale e un’educazione che non esplicitino debitamente la dimensione sociale della fede e dell’evangelizzazione. Se ciò non avvenisse, ha ammonito papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, si correrebbe il rischio di sfigurare il significato autentico e integrale della missione evangelizzatrice della Chiesa, come anche di mettere a repentaglio la fede dei credenti. Una fede autentica non rinchiude nell’intimismo. Implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di permeare le culture secondo le esigenze evangeliche, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra.

  1. La specificità della dottrina sociale della Chiesa a servizio della rigenerazione delle culture

La specificità della Dottrina sociale della Chiesa è data dalla sua stessa natura e dalla sua finalità. Essa è un sapere sapienziale, sapere teologico, teorico-pratico, che viene elaborato dalla Chiesa, quale frutto di un’attenta riflessione sulle complesse realtà dell’esistenza dell’uomo, nella società e nel contesto internazionale, alla luce della fede e della tradizione ecclesiale. Suo scopo principale è di interpretare tali realtà, non escluse le culture, esaminandone la conformità o la difformità con le linee dell’insegnamento del Vangelo sull’uomo e sulla sua vocazione terrena e insieme trascendente, per orientare il comportamento cristiano nella costruzione della società (cf Sollicitudo rei socialis, nn. 1 e 41). Da Giovanni Paolo II la Dottrina sociale della Chiesa viene ascritta esplicitamente all’ambito della teologia morale sociale. Nello stesso tempo, in quanto relativa alla costruzione della società, suggerisce che costituisce una branca particolare del sapere e della prassi – sarebbe una «categoria a sé», per la precisione -, avente come obiettivo il modellamento delle relazioni sociali, delle istituzioni, delle legislazioni, delle culture, in conformità all’altissima dignità delle persone e dei popoli della terra.

  1. Il significato della Dottrina sociale in un contesto di cultura a frammenti, fluida

Nel contesto di una cultura a frammenti e fluida è tempo, allora, di riscoprire la Dottrina sociale come ciò che offre a credenti e a non credenti punti di riferimento essenziali per il discernimento, indispensabile ad analizzare, a giudicare e a risolvere i vari problemi sociali sul tappeto. Va, in particolare, superato il pregiudizio che la Dottrina sociale della Chiesa sia una mera silloge di testi sociali senza la proposta di una progettualità coerente e unitaria dal punto di vista di un umanesimo trascendente. Si tratta, invece, di cogliere in essa ideali storici e concreti di società, di economia e di politica, secondo l’ispirazione cristiana. Tali ideali non acquisiscono senso e forma casualmente o in maniera meccanica, per semplice deduzione. Il loro sviluppo e la loro incarnazione richiedono di essere configurati corrispondentemente alle res novae e alle esigenze del bene comune mondiale. Il che presuppone un’attenta analisi della realtà nella sua complessità, per vagliarla, per trasformarla o, meglio, per innovarla. Dalla conoscenza profonda della società umana, in particolare delle aspirazioni più alte delle persone e dei popoli, erompe la speranza di un mondo migliore. Ma si è subito sollecitati a dare corpo alla speranza, ad organizzarla in comunità, strutture ed istituzioni commisurate alla dignità delle persone e dei popoli, della famiglia umana. In vista di ciò, bisogna bypassare la cultura odierna, segnata da una progettualità discontinua, a rimorchio dell’immediato e degli interessi particolari, ossia dell’individualismo libertario e dell’utilitarismo. Per non essere travolti e per non scomparire come persone o come «noi di persone» in un tutto indistinto, caotico, meramente virtuale, non si può vivere nel contesto socio-culturale odierno senza un’opera comunitaria, sia di animazione etica sia di plasmazione della legislazione e delle istituzioni con un chiaro riferimento al vero bene delle persone e dei popoli. C’è poco da essere allegri quando si ritenga che i cittadini dispongano soltanto di brandelli di verità, di una verità che non è fondabile razionalmente (cf Kelsen e Popper), ma è semplicemente oggetto di un atto di fede irrazionale. Una «verità» che non può garantire norme vincolanti ed un adeguato ancoramento antropologico dei diritti non può nemmeno consentire a chi governa di valutare le pretese soggettive dei diritti, per risolvere eventuali conflitti, per determinare la loro vera estensione. Il consenso sociale non può che ingozzarsi di agnosticismo, di mezze verità, di relativismo scettico, di progetti a corto respiro. Se non esiste nessuna verità fondata e riconosciuta universalmente, l’azione politica viene esposta sia al nihilismo sia al totalitarismo arbitrario. La dottrina sociale della Chiesa intende sorreggere e potenziare la capacità necessaria di ideazione architettonica del vivere sociale e di alimentare l’esperienza incessante di buone pratiche, a partire dalla fecondità plasmatrice della fede, dall’antropologia trascendente connessa. Essa porta nella storia la potenza della profezia che deriva ai credenti dalla loro partecipazione al completamento della nuova creazione che Cristo risorto ha iniziato e prosegue nell’oggi.

  1. Ma la Dottrina sociale è solo un inizio

Come accennato essa necessita di essere assunta e tradotta in processi sociali e in prassi politica. Rispetto a ciò già Giuseppe Lazzati notava che i cattolici, pur essendo dotati di un prezioso tesoro, spesso si mostravano incapaci di tradurlo in linguaggio politico. Per compiere una simile traduzione è necessario un passaggio che non è sufficientemente considerato e vissuto dai movimenti, dalle associazioni, dalle aggregazioni. Ossia che la Dottrina sociale sia studiata e venga esplicitata dal punto di vista culturale, in maniera da generare in maniera vissuta, non solo contemplata, una cultura cattolica. Solo se questa viene, poi, diffusa e tradotta in progetti, programmi, soprattutto in prassi di vita e in sinergia di associazioni e di movimenti, può fiorire e diffondersi nella società un’adeguata cultura cattolica politica. I movimenti, le prassi culturali sono imprescindibili per supportare l’apporto dei credenti nella società e nelle istituzioni. Solo così possono essere in grado di proporre visioni originali e ambiziose. Solo così possono partecipare al dibattito pubblico, articolando e presentando progetti aggiornati, integrali, in grado di affrontare le molteplici questioni sul tappeto, non solo i temi sensibili. L’apporto della Chiesa non va, poi, ristretto alle opere di carattere assistenziale. Un cristianesimo fatto solo di assistenza verrebbe meno alla fondamentale vocazione di annunciare il Vangelo e di favorire una vita buona per tutti i cittadini.

La Dottrina sociale, ben approfondita e articolata dal punto di vista spirituale e culturale, può aiutare a proporre una Chiesa non in formato ONG; a valorizzare il ruolo e la presenza del cattolicesimo nell’attuale società italiana, senza incapsularli in etichette di parte, di sinistra o di destra.

  1. Due esempi di approfondimento culturale della Dottrina sociale della Chiesa

Per illustrare ciò che significa riflettere sulla Dottrina sociale della Chiesa al fine di trasformarla in cultura cattolica e, poi, in progettualità sociale e politica, ci si riferisce qui alle encicliche di papa Francesco, Laudato sì e Fratelli tutti. Dopo la loro promulgazione sono state oggetto di commenti, approfondimenti, iniziative di studi internazionali, di Convegni, di pubblicazioni, di sperimentazioni. In linea con l’obiettivo di tradurre in azione costruttrice la recente Dottrina sociale, aggiornata con le ultime due encicliche, è stata organizzata la 48.a Settimana sociale dei cattolici a Cagliari (26-29 ottobre 2017), avente come tema centrale il “Lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale” 26-29 ottobre 2017, ed è imminente la 49.a Settimana sociale dei cattolici a Taranto (21-24 ottobre 2021). Quest’ultima ha come tema Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso. In sostanza, i credenti, come anche i non credenti, quali uomini di buona volontà, sono oggi sollecitati dalla Dottrina sociale a partecipare alla costruzione di una società che è sempre più dinamica e che, come tale, esige di essere orientata al servizio della dignità delle persone e dei popoli. In caso contrario, nella società mondiale finiscono per prevalere culture immanentiste, mercati finanziari e monetari oligopolisti, gruppi di popoli dominati da ideologie individualistiche, tecnocratiche, consumistiche, neoliberistiche, che assolutizzano il profitto e smantellano la stessa nozione di bene comune. Se si vuole trovare una via di uscita, la progettualità della Dottrina sociale va approfondita e messa a «sistema», in vista di una nuova sintesi culturale ed operativa. A questo orienta la stessa lettera apostolica di papa Francesco Evangelii gaudium,[2] ma anche le encicliche sopracitate. A questo proposito, bisogna però rilevare che, per paura di un progetto sociale astorico, dedotto aprioristicamente, si è troppo affrettatamente rinunciato alla cultura del progetto, optando per una cultura dei comportamenti. L’esperienza di questi tempi, inclinati in definitiva al nihilismo, alla costituzione di società fluide, invoca e sollecita, invece, ad una più intensa ed alacre opera di progettazione. Il che, ovviamente, esige nuovi processi-progetti societari, flessibili, sempre aperti a riformulazioni e ad integrazioni successive, in sintonia con il pluralismo culturale e religioso.

  1. Un irrinunciabile nucleo teorico-pratico da approfondire: fraternità e democrazia

Papa Francesco è il pontefice che maggiormente ha tematizzato il rapporto fraternità e democrazia.[3] In particolare, papa Francesco ha segnalato la fecondità della relazione fraterna quale legame sociale necessario a rafforzare la propria vocazione di cittadini, ma anche il senso di appartenenza alla pólis. La nostra vita sociale e, in specie, la vita democratica sussistono ove ci sono legami forti, comunione morale tra i molti «io» e i «noi di persone», carità e fraternità, oltre che verità e libertà, giustizia sociale. Un tale amore, proprio perché strutturato a tu – ossia fatto in particolare per il colloquio e l’intimità con il Tu che è Dio Padre – è intrinsecamente orientato in senso fraterno. Trattandosi di un amore che è aperto a Dio Padre ci consente di riconoscere in Lui l’origine di una paternità comune. Proprio per questo diventa un amore-carità originante fraternità e amicizia sociale. Ci sollecita ad uscire da noi stessi per riconoscere negli altri non solo dei propri simili in umanità, bensì dei fratelli in Cristo, quali figli di Dio nel Figlio. La fraternità, dunque, sboccia, quale prassi morale, dal dinamismo stesso dell’amore. È inscritta nella tensione dell’amore-carità che porta – simultaneamente al riconoscerci figli di uno stesso Padre -, ad una progressiva apertura verso l’altro, fratello o sorella: un’apertura che, come accennato, è intrinseca nello stesso essere umano, creato ad immagine di Dio, come essere strutturalmente sociale, fatto per vivere in un «noi di persone». Detto altrimenti, l’amore-carità consente di riconoscere negli altri dei fratelli e delle sorelle. Non solo. Sollecita a far sì che la fraternità di cui siamo impastati e costituiti ontologicamente, per origine divina, non sia solo un semplice dato di fatto, ma divenga prassi etica, essenza del nostro essere morale, della nostra condotta. La fraternità, assunta liberamente e responsabilmente sul piano morale, distinto ma non separato dal piano ontologico – la morale si istituisce su una linea propria, diversa da quella metafisica -, diviene parte costitutiva del nostro telos trascendente.

Per capire meglio il discorso appena abbozzato è fondamentale riflettere ulteriormente sulla relazione tra l’amore-carità e la fraternità. L’amore aperto al Tu divino che è Dio Padre, come già detto, è originante la fraternità. In che senso? Non certo perché la crea dal nulla, in maniera volontaristica. La fraternità non può essere creata dal punto di vista ontologico, ma va realizzata dal punto di vista morale, ossia dal punto di vista della nostra condotta, dei nostri atteggiamenti e delle nostre scelte coscienti e responsabili. Infatti, che noi nasciamo «fratelli» e «sorelle» in una famiglia, dallo stesso padre e dalla stessa madre, non dipende dalla nostra volontà sic et simpliciter: noi non ci creiamo fratelli e sorelle, ma ci troviamo ad esserlo. Caino era ontologicamente e biologicamente fratello di Abele. E, tuttavia, non si è comportato moralmente come tale. Se Caino fosse stato guidato dall’amore nei confronti di suo fratello non l’avrebbe ucciso. Avrebbe, invece, coltivato quei sentimenti e quegli atteggiamenti che potevano far crescere relazioni di affetto e di cura nei suoi confronti. Il vero amore fraterno, infatti, pone l’attenzione sul fratello, considerandolo come un’unica cosa con sé stessi (cf FT nn. 93-94).

Senza una fraternità consapevolmente coltivata avviene che la politica e la democrazia impoveriscono. È proprio questo che sottolinea papa Francesco. Ma occorre aggiungere altre riflessioni per completare il quadro del pensiero di papa Francesco sulla fraternità, per capire se e come, con le nostre capacità e facoltà razionali, noi possiamo giustificarne l’esistenza.

Sulle orme di papa Benedetto XVI,[4] riconosce che la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini, ma non riesce a fondare la fraternità.[5] Senza un’apertura trascendente al Padre di tutti non ci possono essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità cristiana, per viverla. È la fede che ci consente l’accesso alla conoscenza e alla realtà della paternità di Dio e della fraternità trascendente. Vivendo in Gesù Cristo – che è lo «spazio», l’«ambiente» di una vita nuova – sperimentiamo sia una Paternità trascendente sia una fraternità universale, in tutto il loro spessore metafisico e il loro traboccante amore, proveniente dalla Trinità. Incarnandosi, Gesù Cristo innesta e stabilizza nella nostra umanità il principio divino dell’amore trinitario, un amore trascendente, che accresce la consapevolezza della paternità di Dio e la responsabilità fraterna di ogni uomo e di ogni donna nei confronti di tutti gli altri.

La fraternità trascendente è principio architettonico di un nuovo ordine sociale. Si costituisce principio di nuove relazioni sociali. Come? Nella FT, papa Francesco evidenzia giustamente che il principio di fraternità sollecita, ad esempio, la globalizzazione dei diritti e dei doveri, dei singoli e dei popoli, la riduzione del debito dei Paesi poveri, un’etica globale di solidarietà e cooperazione,[6] un’ecologia integrale.[7] Il fatto che come persone siamo tutti fratelli e sorelle obbliga a nuove prospettive e risposte quanto ai migranti e ai rifugiati (cf capitolo IV). In questo capitolo papa Francesco offre una sintesi più organica del suo pensiero sulle migrazioni e sui rifugiati.[8]

In breve, approfondendo il tema della migliore politica, indispensabile alla realizzazione del bene comune, come anche la riflessione sulla democrazia, papa Francesco porta il pensiero sociale e politico su un piano più elevato, chiaramente trascendente, pienamente cristiano, senza nulla togliere all’autonomia e alla sana laicità della politica e della democrazia, anzi irrobustendole.

Ciò implica, ovviamente, il riferimento alla fede in Dio. Il che mette in luce come il pontefice argentino, senza alcuna esitazione, giunge a proporre per la vita politica e per la democrazia, come per i responsabili della cosa pubblica, un umanesimo trascendente, un’esistenza quotidiana aperta alla vita cristiana, all’amore di Cristo. La maggior forza a servizio dell’ecologia integrale e della politica a servizio del bene comune è un umanesimo cristiano, guidato da un amore pieno di verità, dalla fede. Solo la carità e la fraternità unificano le persone, sono in grado di giungere ai fratelli e alle sorelle lontani, a quelli più ignorati. Solo la loro coltivazione consapevole e pedagogica crea mondi aperti, pacifici, inclusivi. Il rapporto della carità e della fraternità con la verità favorisce l’universalismo della politica e della democrazia, superando privilegi e particolarismi, isolazionismi. Senza la verità la fraternità non è riconosciuta, il dialogo pubblico ed interreligioso si interrompono, vengono meno il retto esercizio dell’autorità, il fondamento del consenso politico (cf FT 206), la realizzazione del bene comune (cf FT 202), la giustizia e la misericordia (cf FT n. 227).

  1. Il ruolo delle comunità ecclesiali e delle aggregazioni

In vista di rendere la Dottrina sociale fermento di vita nuova, scaturigine di una nuova cultura, è imprescindibile il ruolo delle comunità ecclesiali, delle istituzioni universitarie e delle varie aggregazioni, associazioni e dei movimenti, delle Settimane sociali. Non tanto per una conoscenza nozionistica, bensì per una ricezione e per una sperimentazione della Dottrina sociale come vita che scaturisce dall’unità di vita con Gesù Cristo. In particolare, muovendo dalla celebrazione dell’Eucaristia. Non a caso papa Francesco ha evidenziato nella Laudato sì un quarto momento del discernimento, ossia il celebrare. La Dottrina sociale si impianta nelle culture, negli ambienti di vita, allorché viene sperimentata come fede che partecipa all’azione redentrice, trasfiguratrice e ricapitolatrice di Cristo, che fa nuove tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra.

  1. Quale apporto può dare la Dottrina sociale della Chiesa al nuovo umanesimo?

Proprio per la sua fonte primigenia, che è il mistero di Cristo redentore, accolto, celebrato, vissuto ed espresso nella storia dalla Chiesa, la Dottrina sociale propone umanesimi trascendenti. Come ci hanno fatto capire Benedetto XVI e papa Francesco, la maggior forza a servizio dell’ecologia integrale e della politica, del bene comune, delle nuove tecnologie, è un umanesimo cristiano, guidato da un amore pieno di verità, dalla fede. Solo la carità e la fraternità unificano le persone, sono in grado di giungere ai fratelli e alle sorelle lontani, a quelli più ignorati. Solo la loro coltivazione consapevole e pedagogica crea mondi aperti, pacifici, inclusivi. Il rapporto della carità e della fraternità con la verità favorisce l’universalismo della politica e della democrazia, superando privilegi e particolarismi, isolazionismi.

  1. A Taranto si svolgerà la 49.a Settimana sociale dei cattolici italiani: quale pianeta spera la Chiesa?

La Chiesa guarda, alla luce della teologia della creazione, al pianeta anzitutto come «casa comune» di tutti gli uomini. Si tratta di una casa che purtroppo è profondamente danneggiata dal punto di vista ecologico, ma prima di tutto dal punto di vista antropologico ed etico. Alla base dell’attuale crisi ecologica sta la crisi della ragione, la crisi dei rapporti con il creato, con i propri fratelli, con Dio. Sta il «peccato ecologico». Il creato è espressione di un disegno di amore e di verità. Occorre una conversione, occorre ritornare a considerare il pianeta nella complessità delle sue connessioni e delle sue relazioni, alla luce dell’azione della Trinità, che è costituita da relazioni sussistenti, piene di amore. Le persone divine esistono l’una in rapporto all’altra, come relazione di paternità, di figliolanza e di reciproco amore. I cristiani sono chiamati a riconoscere il mondo come un sacramento di comunione. Il divino e l’umano si incontrano nel più piccolo dettaglio della creazione di Dio. Proprio per questo è fondamentale procedere a guarire il pianeta, tenendo presente che l’ecologia ambientale si compie in connessione con una ecologia umana. Come ha rilevato molto bene papa Benedetto XVI la natura è talmente integrata nelle dinamiche sociali e culturali da non costituire quasi più una variabile indipendente. L’ecologia ambientale trae beneficio quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società. Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale, se si rende artificiale il concepimento, la gestazione e la nascita dell’uomo, se si sacrificano embrioni umani alla ricerca, la coscienza comune finisce per perdere il concetto di ecologia umana e, con esso, quello di ecologia ambientale (cf Caritas in veritate, n. 51). Tutto questo appare di difficile comprensione per la cultura odierna la quale finisce per approcciare la questione ambientale proponendo sì il cambio dell’economia lineare in economia circolare, bonifiche di territori e mari inquinati, interventi di carattere tecnologico per evitare lo spreco delle risorse, ma dimentica che quella ecologica è una questione soprattutto antropologica, etica e spirituale.

                                           + Mario Toso

 Vescovo delegato della CEER per la Pastorale sociale e del Lavoro

[1] Da più parti sta emergendo l’urgenza di un pensiero cattolico e, per conseguenza, di una cultura cattolica. Rispetto a ciò si rimanda a un recente e significativo volume collettaneo: Ci vorrebbe un pensiero. In risposta a una lettera di mons. Mario Delpini a 100 anni dalla nascita dell’Università cattolica, a cura di Ernesto Preziosi, Vita e Pensiero, Milano 2021. In vista di contribuire al rafforzamento della cultura cattolica non solo nella nostra società, ma anche nelle nostre comunità, associazioni, movimenti, aggregazioni la Conferenza episcopale dell’Emilia Romagna ha varato un Osservatorio intitolato a Giovanni Bersani (cf www.osservatoriobersani.org).

 

[2] Cf su questo: M. TOSO, Il Vangelo della gioia. Implicanze pastorali, pedagogiche e progettuali per l’impegno sociale e politico dei cattolici, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2014, pp. 23-59.

[3] Cf Francesco, Fratelli tutti (=FT), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2020; M. Toso, Fratellanza o fraternità? Introduzione alla lettura dell’Enciclica «Fratelli tutti», Tipografia Faentina, Faenza 2021.

[4] Cf FT 272.

[5] Cf Caritas in veritate (=CIV), 19.

[6] Cf FT 121-127.

[7] Cf su questo M. Toso, Ecologia integrale dopo il coronavirus, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2020.

[8] Un primo sguardo complessivo sul pensiero di papa Francesco sui migranti e rifugiati si è cercato di offrirlo in M. Toso, Uomini e donne in cerca di pace. Commento al Messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2018, Società Cooperativa Sociale Frate Jacopa, Roma 2018.