OMELIA per la celebrazione del VENERDI’ SANTO

Faenza, Basilica Cattedrale - 25 marzo 2016
25-03-2016

Ci siamo radunati attorno alla Parola di Dio per celebrare la passione e la morte in croce di Gesù. Potremmo dire che oggi è già Pasqua. È il primo giorno del Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto.

Nel cuore di questa celebrazione della passione si staglia il Crocifisso sulla croce: centro di tutta l’attenzione, sintesi della rivelazione del volto di Dio, manifestazione della misericordia del Padre. Tutto sgorga dall’Uomo della croce che, innalzato, attira tutti a sé. Tra poco, nel suggestivo rito dell’adorazione della croce, tutti ci metteremo in cammino verso la croce sulla quale è inchiodato il Crocifisso. Questo essere attirati dal Crocifisso, l’andare tutti ai suoi piedi, il manifestare con intensità la propria vicinanza al Signore crocifisso e abbandonato, sono gesti centrali nella nostra fede. Sono gesti che riusciamo a compiere contemplando il cuore trafitto: “uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua” (Gv 19,34). Nell’anno del Giubileo straordinario della misericordia siamo invitati a “volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). In Gesù che muore per noi riconosciamo che Dio ha per ciascuno di noi un cuore ricco di misericordia. Ma dobbiamo comprendere bene che “La misericordia di Cristo non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente. Il giorno della “vendetta” e l’anno della misericordia coincidono nel mistero pasquale, nel Cristo morto e risorto. Questa è la “vendetta” di Dio: egli stesso, nella persona del Figlio, soffre per noi. Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza – diveniamo disponibili a completare nella nostra carne “quello che manca ai patimenti di Cristo” (Col 1,24). (Joseph Ratzinger, omelia Missa pro eligendo Romano Pontifice, 18.04.2005). Per mezzo dell’acqua e del sangue sgorgati dal suo cuore trafitto, noi siamo purificati dai nostri peccati, dalle nostre umane miserie e possiamo dire con S. Ignazio di Loyola: “Sangue di Cristo, inebriami; acqua del costato di Cristo, lavami” (dalla preghiera Anima Christi di S. Ignazio).

Meditando sulla Passione del Signore, il filosofo Blaise Pascal scrisse un giorno queste parole: “Cristo è in agonia fino alla fine del mondo: non bisogna dormire durante questo tempo”. Non possiamo dormire se pensiamo alle piaghe sociali del nostro tempo: la fame, la povertà, l’ingiustizia, le diseguaglianze, gli immigrati che fuggono disperati da casa, lo sfruttamento dei deboli, gli assassinati dalla mano omicida di terroristi accecati dall’odio? Non possiamo dormire se pensiamo alle sofferenze di tanti nostri fratelli nella fede: alle torture inflitte a sangue freddo da esseri umani ad altri esseri umani, perfino a dei bambini. Quanti, nel mondo, si trovano nelle stesse condizioni di Gesù sulla croce: soli, derisi, insultati, in balìa di persone piene di odio, che si abbandonano a ogni sorta di crudeltà fisica e psicologica, accanendosi sui propri fratelli.

I cristiani non sono certamente le sole vittime della violenza omicida che c’è nel mondo, ma non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime più frequenti. Chi ha a cuore le sorti della propria religione, non può rimanere indifferente a tutto ciò. Gesù disse un giorno ai suoi discepoli: “Viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere onore a Dio” (Gv 16,2). Mai, forse, queste parole hanno trovato, nella storia, un compimento così puntuale come oggi.

Eppure, nonostante tutto, in questo venerdì santo, siamo esortati ad assumere l’atteggiamento del perdono; Gesù morì gridando: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Questa preghiera non è semplicemente mormorata a fior di labbra, ma è gridata perché tutti la possano sentire ed è fatta con l’autorità che gli viene dall’essere il Figlio: “Padre, perdona loro”. E poiché lui stesso ha detto che il Padre ascoltava ogni sua preghiera (Gv 11,42), dobbiamo credere che ha ascoltato anche questa sua ultima preghiera dalla croce per i suoi crocifissori, a testimoniare fin dove è stato capace di spingersi l’amore di Dio. Il suo esempio propone a noi, suoi discepoli, una generosità senza limiti. Il Signore non ci ha dato solo il comando di perdonare e neppure soltanto un esempio eroico di perdono; con la sua morte ci ha procurato la grazia che ci rende capaci di perdonare. Egli non ha lasciato al mondo solo un insegnamento sulla misericordia, come hanno fatto tanti altri. Egli, essendo anche Dio, ha fatto scaturire per noi dalla sua morte fiumi di misericordia. Da essi possiamo attingere a piene mani nell’anno giubilare della misericordia che stiamo vivendo, accostandoci al sacramento della Riconciliazione, perdonando chi ci ha calunniato ed offeso, trasfigurando la nostra vita con l’amore di Cristo.