Faenza - San Francesco, 8 dicembre 2016
08-12-2016
Autorità civili e militari,
Cari Fedeli e Frati minori Conventuali,
la plurisecolare devozione della città di Faenza e del suo territorio all’Immacolata trova radici nel XV secolo. Una tale devozione, ancor prima della definizione del dogma, avvenuta nel 1854, crebbe coinvolgendo tutto il popolo faentino e, in particolare, il mondo rurale. Nacque una specifica devozione per la protezione e i bisogni della campagna, per l’abbondanza dei raccolti e dei frutti, per impetrare, a seconda delle necessità, la pioggia e il sereno. L’Immacolata si consolidò come la principale protettrice del territorio faentino e dell’area rurale dei dintorni. Lo stesso Innocenzo XII, già vescovo di Faenza dall’anno 1682, volle farla pregare per i bisogni dei campi romani, colpiti da una forte siccità.
Celebrando la solennità dell’Immacolata concezione, nel terzo Centenario dell’edificazione della Cappella nella Chiesa di san Francesco, chiediamoci: l’Immacolata è oggi da noi, città e campagna, amata e venerata, come in passato, quando questa Chiesa straripava di popolazione, di gruppi provenienti dalle più remote parti della Diocesi, notte e giorno? Forse, si potrebbe pensare che la devozione è diminuita per il calo demografico, perché il fenomeno dell’urbanizzazione ha spopolato le zone agricole. Noi sappiamo benissimo che, nonostante l’avvento della rivoluzione industriale – siamo, fra l’altro, giunti alla quarta, definita rivoluzione industria 4.0, che riduce le tradizionali divisioni fra settore primario, secondario e terziario – in questa regione, il prezioso ed indispensabile lavoro dei campi, grazie a Dio, non è venuto meno, seppure esiste in forme mutate. Bisogna riconoscere che, con l’aiuto della rete della cooperazione, si è mantenuto e ha fatto importanti passi avanti. In questi luoghi possiamo ammirare che cosa significa non solo la custodia ma anche la coltivazione e lo sviluppo del creato di cui ci parla l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Il nostro territorio, nelle diverse stagioni, sfodera paesaggi da sogno, che i migliori pittori non riescono a ritrarre e a ricreare in tutto il loro splendore. Il lavoro dell’uomo che ara, semina ed irriga la ferace terra della campagna e delle colline, la rende ricca di frutti belli e saporiti. Nonostante le fatiche e i guadagni talvolta magri, vi sono mille motivi per ringraziare Dio e sua Madre, l’Immacolata.
Il migliore ringraziamento, peraltro, è imitarla. Tutti coloro che vivono in città e nelle zone rurali debbono sentirsi chiamati, come Lei, e come sollecita la Lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini, a darsi totalmente a Dio, a presentarsi al Signore santi ed immacolati, unendosi a Cristo, amore pieno (cf Ef 1, 3-6. 11-12). Per raggiungere simili alti traguardi, forse, occorre ravvivare la pastorale urbana e rurale, coordinandosi come sacerdoti della città e sacerdoti dell’agro faentino. Anche le nuove generazioni debbono poter guardare a Maria come un punto di riferimento imprescindibile, per essere persone coraggiose al pari di Lei, giovane donna di Nazaret; persone, che non temono di porsi al servizio di Dio, che divengono costruttrici di una nuova umanità, della civiltà della misericordia. Perché non immaginare e programmare, con l’aiuto della pastorale vocazionale e giovanile, nell’abituale e folto programma delle Celebrazioni, anche un momento in cui i giovani delle nostre parrocchie si ritrovano attorno alla Vergine Madre per amarla, venerarla, pregarla, anche in vista del prossimo Sinodo dei giovani?
L’Immacolata, che sta di fronte a noi come Colei che vive in piena comunione con Dio e accoglie la sua proposta, ci sollecita a generare Cristo nella nostra vita e in quella dei nostri fratelli. Ci invita a essere donatori di Cristo, suoi missionari. La condizione per esserlo è questa: imparare Cristo e viverlo! San Paolo, il grande apostolo delle genti, soleva ripetere: per me vivere è Cristo!
Detto diversamente, cari fratelli e sorelle, la nostra fede deve diventare vita, deve produrre opere concrete di rinascita, di rinnovamento delle menti e dei cuori, in una società in cui spesso siamo plagiati e ridotti a zombie. Come in Maria, la fede in Dio si è tradotta in accoglienza di Lui, in servizio degli altri, in generazione del Figlio di Dio, di una nuova umanità, così noi non teniamo la fede disgiunta dall’impegno concreto, sino a farla morire.
Impariamo, dunque, Cristo! Il cristiano non è nient’altro se non colui che impara da Cristo, impara Lui. Non è fondamentale agitarsi, compiere tanti atti religiosi senz’anima, partecipare a mille iniziative, correndo da una parte e dall’altra, con una fede da semplici turisti, che contempla tanti luoghi ma senza vivere in essi. È essenziale, invece, che ci lasciamo istruire dal Maestro interiore, ossia lo Spirito santo, che guida la nostra mente e il nostro cuore verso la verità tutta intera (Gv 16, 13), perché rimaniamo in essa. Solo dimorando in Cristo, in tutto quello che faremo, ci sarà un senso compiuto e felicità. Lo Spirito santo ci pone in sintonia con Gesù Cristo, colloca il nostro cuore vicino a quello dell’Inviato del Padre. Lasciamoci, allora, istruire dal Maestro interiore. Si apprende Gesù non solo tramite un’omelia o una catechesi ben fatta, un pellegrinaggio, bensì facendo silenzio in noi, ascoltando la nostra coscienza, mettendoci a disposizione dello Spirito d’amore del Padre e del Figlio.
Maria, donna dell’ascolto, è divenuta la vivente casa di Dio. Si può dire che Ella è sempre stata la casa di Dio: prima, durante e dopo il suo parto. È rimasta sempre in comunione con Lui. Solo così diventeremo persone vive dentro, capaci di generarlo nel mondo, nelle istituzioni, nelle società. Ecco cosa dobbiamo imprimerci bene in testa nella solennità dell’Immacolata: l’uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non perde se stesso, ma diventa veramente se stesso, grazie a Dio che lo colma di ogni bene e verità, di vita. Mediante l’essere e il sentire insieme con Dio si allarga il nostro cuore, viviamo come comunità d’amore, come popolo di Dio, seminato nei solchi della storia, che fa germogliare un nuovo umanesimo. Dio non deve fallire in tutti noi: giovani o anziani, ammalati o sani, poveri o ricchi. Maria Immacolata preghi per noi!
Cari Fedeli e Frati minori Conventuali,
la plurisecolare devozione della città di Faenza e del suo territorio all’Immacolata trova radici nel XV secolo. Una tale devozione, ancor prima della definizione del dogma, avvenuta nel 1854, crebbe coinvolgendo tutto il popolo faentino e, in particolare, il mondo rurale. Nacque una specifica devozione per la protezione e i bisogni della campagna, per l’abbondanza dei raccolti e dei frutti, per impetrare, a seconda delle necessità, la pioggia e il sereno. L’Immacolata si consolidò come la principale protettrice del territorio faentino e dell’area rurale dei dintorni. Lo stesso Innocenzo XII, già vescovo di Faenza dall’anno 1682, volle farla pregare per i bisogni dei campi romani, colpiti da una forte siccità.
Celebrando la solennità dell’Immacolata concezione, nel terzo Centenario dell’edificazione della Cappella nella Chiesa di san Francesco, chiediamoci: l’Immacolata è oggi da noi, città e campagna, amata e venerata, come in passato, quando questa Chiesa straripava di popolazione, di gruppi provenienti dalle più remote parti della Diocesi, notte e giorno? Forse, si potrebbe pensare che la devozione è diminuita per il calo demografico, perché il fenomeno dell’urbanizzazione ha spopolato le zone agricole. Noi sappiamo benissimo che, nonostante l’avvento della rivoluzione industriale – siamo, fra l’altro, giunti alla quarta, definita rivoluzione industria 4.0, che riduce le tradizionali divisioni fra settore primario, secondario e terziario – in questa regione, il prezioso ed indispensabile lavoro dei campi, grazie a Dio, non è venuto meno, seppure esiste in forme mutate. Bisogna riconoscere che, con l’aiuto della rete della cooperazione, si è mantenuto e ha fatto importanti passi avanti. In questi luoghi possiamo ammirare che cosa significa non solo la custodia ma anche la coltivazione e lo sviluppo del creato di cui ci parla l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Il nostro territorio, nelle diverse stagioni, sfodera paesaggi da sogno, che i migliori pittori non riescono a ritrarre e a ricreare in tutto il loro splendore. Il lavoro dell’uomo che ara, semina ed irriga la ferace terra della campagna e delle colline, la rende ricca di frutti belli e saporiti. Nonostante le fatiche e i guadagni talvolta magri, vi sono mille motivi per ringraziare Dio e sua Madre, l’Immacolata.
Il migliore ringraziamento, peraltro, è imitarla. Tutti coloro che vivono in città e nelle zone rurali debbono sentirsi chiamati, come Lei, e come sollecita la Lettera di san Paolo Apostolo agli Efesini, a darsi totalmente a Dio, a presentarsi al Signore santi ed immacolati, unendosi a Cristo, amore pieno (cf Ef 1, 3-6. 11-12). Per raggiungere simili alti traguardi, forse, occorre ravvivare la pastorale urbana e rurale, coordinandosi come sacerdoti della città e sacerdoti dell’agro faentino. Anche le nuove generazioni debbono poter guardare a Maria come un punto di riferimento imprescindibile, per essere persone coraggiose al pari di Lei, giovane donna di Nazaret; persone, che non temono di porsi al servizio di Dio, che divengono costruttrici di una nuova umanità, della civiltà della misericordia. Perché non immaginare e programmare, con l’aiuto della pastorale vocazionale e giovanile, nell’abituale e folto programma delle Celebrazioni, anche un momento in cui i giovani delle nostre parrocchie si ritrovano attorno alla Vergine Madre per amarla, venerarla, pregarla, anche in vista del prossimo Sinodo dei giovani?
L’Immacolata, che sta di fronte a noi come Colei che vive in piena comunione con Dio e accoglie la sua proposta, ci sollecita a generare Cristo nella nostra vita e in quella dei nostri fratelli. Ci invita a essere donatori di Cristo, suoi missionari. La condizione per esserlo è questa: imparare Cristo e viverlo! San Paolo, il grande apostolo delle genti, soleva ripetere: per me vivere è Cristo!
Detto diversamente, cari fratelli e sorelle, la nostra fede deve diventare vita, deve produrre opere concrete di rinascita, di rinnovamento delle menti e dei cuori, in una società in cui spesso siamo plagiati e ridotti a zombie. Come in Maria, la fede in Dio si è tradotta in accoglienza di Lui, in servizio degli altri, in generazione del Figlio di Dio, di una nuova umanità, così noi non teniamo la fede disgiunta dall’impegno concreto, sino a farla morire.
Impariamo, dunque, Cristo! Il cristiano non è nient’altro se non colui che impara da Cristo, impara Lui. Non è fondamentale agitarsi, compiere tanti atti religiosi senz’anima, partecipare a mille iniziative, correndo da una parte e dall’altra, con una fede da semplici turisti, che contempla tanti luoghi ma senza vivere in essi. È essenziale, invece, che ci lasciamo istruire dal Maestro interiore, ossia lo Spirito santo, che guida la nostra mente e il nostro cuore verso la verità tutta intera (Gv 16, 13), perché rimaniamo in essa. Solo dimorando in Cristo, in tutto quello che faremo, ci sarà un senso compiuto e felicità. Lo Spirito santo ci pone in sintonia con Gesù Cristo, colloca il nostro cuore vicino a quello dell’Inviato del Padre. Lasciamoci, allora, istruire dal Maestro interiore. Si apprende Gesù non solo tramite un’omelia o una catechesi ben fatta, un pellegrinaggio, bensì facendo silenzio in noi, ascoltando la nostra coscienza, mettendoci a disposizione dello Spirito d’amore del Padre e del Figlio.
Maria, donna dell’ascolto, è divenuta la vivente casa di Dio. Si può dire che Ella è sempre stata la casa di Dio: prima, durante e dopo il suo parto. È rimasta sempre in comunione con Lui. Solo così diventeremo persone vive dentro, capaci di generarlo nel mondo, nelle istituzioni, nelle società. Ecco cosa dobbiamo imprimerci bene in testa nella solennità dell’Immacolata: l’uomo che si abbandona totalmente nelle mani di Dio non perde se stesso, ma diventa veramente se stesso, grazie a Dio che lo colma di ogni bene e verità, di vita. Mediante l’essere e il sentire insieme con Dio si allarga il nostro cuore, viviamo come comunità d’amore, come popolo di Dio, seminato nei solchi della storia, che fa germogliare un nuovo umanesimo. Dio non deve fallire in tutti noi: giovani o anziani, ammalati o sani, poveri o ricchi. Maria Immacolata preghi per noi!