Faenza, cattedrale 31 dicembre 2020.
Alla fine di quest’anno, così travagliato a motivo della pandemia da COVID-19 e, nello stesso tempo, così carico di impegno nella cura dei malati e in una pastorale commisurata alle nuove esigenze, ci troviamo qui, dinnanzi al Signore, per cantare il Te Deum, inno di ringraziamento. Potrebbe sembrare un fatto che fa a pugni con la dura realtà che abbiamo vissuto e ancora stiamo vivendo. Ringraziare Dio, mentre la battaglia ancora infuria e lascia sul campo le vittime della sua asprezza potrebbe suscitare in noi il dubbio sulla sua presenza paterna e sul suo intervento efficace.
Le cose, invece, cambiano prospettiva, e tutto assume un significato nuovo, se pensiamo che Gesù Cristo è venuto in mezzo a noi per condividere la nostra condizione umana: per aiutarci a viverla, uniti a Lui nella lotta al male, nella cura dei malati e dei poveri, nel passaggio del tunnel buio della morte. È pensando a questo che dovrebbe sbocciare dal cuore il nostro grazie a Dio, per non averci lasciati soli a lottare a mani nude contro un virus spesso mortale, per aver sostenuto il lavoro dei ricercatori nella scoperta di un nuovo vaccino, per avere aiutato medici, infermieri, personale paramedico in estenuanti turni di cura e di assistenza. Al Signore Gesù ci siamo aggrappati anche nei periodi di lockdown, sicuramente momenti di maggior intimità nelle nostre famiglie ma anche di minor libertà negli spostamenti, nel poter partecipare alla scuola in presenza, nello svolgere parecchie attività, utili per vivere e mantenere le proprie famiglie. Un aspetto che, forse, abbiamo trascurato è la stretta unità che lega la nostra umanità al mistero dell’Incarnazione di Cristo. Grazie ad essa Egli ci accompagna e ci aiuta nei momenti di sofferenza, di fragilità e nella stessa tragica esperienza della morte.
La pandemia, che sta continuando a causare profonde ferite nell’umanità, ci ha indotti a riconsiderare, dopo l’Incarnazione di Cristo, la profonda solidarietà, tra le persone e il Verbo fattosi carne. Ci ha sollecitati a guardare in maniera diversa e meno superficiale alla nostra fede. Gesù Cristo con la sua immersione nell’umanità non è venuto a toglierci la croce, l’impegno per la lotta al male, le sofferenze, la morte. È venuto per essere connoi, innoi, al fine di aiutarci a portare le nostre croci, a vivere la sofferenza, a lottare contro il male per il bene, ad accompagnarci nella morte, trasformandola in un atto d’amore per il Padre e per il prossimo. La Chiesa, in questo periodo, è stata chiamata a soccorrere le persone anche dal punto di vista materiale, psicologico, spirituale. Peraltro, abbiamo verificato che il mondo si aspetta dalla Chiesa questo, ma soprattutto il suo apporto più specifico, ossia ben di più del soccorso dell’aiuto materiale. Dobbiamo proprio ringraziare Dio che ci ha aperto gli occhi. La gente si aspetta delle ragioni che aiutino ad accettare e a vivere con maturità quello che succede. Ha urgente necessità di motivi seri per sperare, specie quando si viene colpiti dalla malattia e dalla morte. Ha il diritto di sperare. Ha bisogno di qualcuno capace di aprirgli orizzonti diversi e veri, perché il telone di fondo sul quale per anni sono stati proiettati i deliri di grandezza di questa nostra età è stato improvvisamente squarciato e ha svelato un buio angosciante. Tutti, credenti e non credenti, siamo stati chiamati a confrontarci con il dolore e con la morte, che la nostra cultura ha cercato di rimuovere in ogni maniera. In questi mesi, in definitiva, lo Spirito d’amore e di verità ci ha fatto capire che la gente ha bisogno di una fede più fondata in Gesù Cristo, che ha preferito morire per noi che vivere senza di noi. Dobbiamo, dunque, essere grati a Dio perché ci ha fatto comprendere che oggi, più che mai, come Chiesa, dobbiamo saper proporre la Sapientia crucis a chi è scandalizzato dal dolore e dalla morte. A chi, frastornato da quello che accade, e cerca «la» buona ragione per vivere e per morire, noi Chiesa dobbiamo ripetere instancabilmente che la può trovare nella morte e risurrezione di Cristo. Tutti noi siamo chiamati ad insegnare a pensare e ad amare in modo nuovo, per costruire una nuova società e una nuova Chiesa. Di fronte ad una situazione inattesa, siamo stati costretti a maturare e a strutturare un diverso modo di pensare, ad assumere atteggiamenti nuovi, a creare nuove vie pastoraliper servire il popolo di Dio. Basta anche solo pensare a quanto nel Sinodo dei giovani si era insistito sulla necessità di imparare ad usare i nuovi mezzi di comunicazione per annunciare il Vangelo, per far partecipare le persone anziane ed ammalate alla celebrazione della santa Messa, per continuare a vivere in una comunione spirituale incessante con il Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Dobbiamo riconoscere che siamo stati esitanti. Ma è bastato l’arrivo della pandemia a farci accelerare il passo nell’uso dei nuovi media nella pastorale, senza ignorarne i limiti. Se pensiamo a ciò, dobbiamo ringraziare il Signore perché da un male è derivata la coscienza delle crepe e delle debolezze dei nostri progetti pastorali abituali; perché, per un altro verso, siamo stati richiamati all’essenziale, che non può mai mancare.
Ma questa sera il ringraziamento ci dev’essere non solo per quello che c’è stato. Abbiamo bisogno ancora dell’aiuto del Signore per crescere in un amore appassionato per Lui, per riflettere sulle urgenze pastorali che ci attendono, per avviare processi appropriati per il prossimo futuro dell’evangelizzazione in questo territorio. Con la massiccia demolizione di tante false certezze fin qui accumulate, dobbiamo dedicarci alla preparazione di un nuovo inizio. Ci vuole inventiva e creatività. A livello ecclesiale ci siamo impegnati nella formazione di un laicato che assume nelle comunità vari ministeri nel segno della corresponsabilità e del rinnovamento della pastorale parrocchiale. Nella società, sono necessarie nuove scale di valori. Non si tratta solo di difendere la popolazione, per riattivare le attività economiche. Per la ripresa non basta ristrutturare tutto principalmente attorno all’asse economico, con l’inevitabile recupero dell’imprescindibile aspetto sanitario. Si nota il prevalere di una certa selettività, che accantona troppo facilmente gli aspetti culturali e religiosi, che mette anche da parte gli anziani, posponendoli ad altre categorie di persone. È, invece, il tempo di recuperare il primato della persona e dello spirituale, di vedere gli invisibili, per restituire loro l’umanità. Si tratta di passare dalla società ipervirtualizzata, disincarnata, alla carne sofferente delle persone concrete, dei più abbandonati. Occorre capire che vi sono nuovi poveri, resi tali dall’attuale crisi, che ha fatto perdere il lavoro. Preoccupa l’ipocrisia di coloro che parlano della crisi presente e della fame nel mondo, e mentre ne parlano continuano a vivere in maniera consumistica, a fabbricare cose superflue ed anche armi. È il momento di una vera e propria conversione, di una svolta decisa. Questo è un tempo in cui siamo chiamati alla coerenza. O siamo coerenti o perdiamo tutto, perché tutti siamo sulla stessa barca.
Ora, non si tratta di procedere ad una mera ricostruzione, quanto piuttosto ad un nuovo inizio, che non ricostruisce semplicemente quanto c’era prima e che non andava, ma che semmai poggia su ciò che c’è di positivo, innova, e finalmente supera, ad es., i parametri della tecnocrazia, di un capitalismo rapace, di un lavoro sfruttato, schiavo, non tutelato, non per tutti, non adeguatamente remunerato. Evidentemente ciò diventa possibile quando si coltivi la fede, un pensiero pensante, che elabora una nuova progettualità, una nuova economia, politiche attive del lavoro per tutti, basate su un umanesimo teocentrico, trascendente. Con la nuova fase che ci attende è necessario ripensare il modo di vivere, gli atteggiamenti, il modo di produrre, di lavorare, di spostarsi, di custodire e di coltivare la terra. Deve, insomma, prevalere una visione nuova, una visione d’insieme condivisa, avente una lunga gittata, che pensa in particolare alle future generazioni.
Celebriamo questa sera la messa vespertina di Maria Santissima Madre di Dio. Lei è, per noi e per tutta la Chiesa, modello di accoglienza del Verbo che si fa carne. Se come Maria intendiamo contribuire a generare un’umanità nuova, preghiamo con Lei e uniamoci in questa Eucaristia alla missione del Figlio venuto per iniziare una nuova creazione, un mondo di pace.
+ Mario Toso