Dio sceglie coloro che chiama ad una missione speciale fin dal grembo materno. Così è avvenuto per i profeti, per Isaia (Is 49, 1-6), per Geremia. Lo stesso Geremia così si esprime: «Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1, 4-5). Ugualmente avviene per Giovanni Battista e per Gesù (cf Lc 1, 31). Emblematica per noi presbiteri è la chiamata, da parte di Gesù, di Simon Pietro. Gesù gli domanda: «Figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?» Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gesù interrogò Pietro tre volte (cf Gv 21, 15-17), senza peraltro ottenere la risposta che desiderava. Sebbene l’amore che Pietro dichiarava non era totale, pieno, Gesù non rinunciò ad affidargli la missione di pascere le sue pecore. Il Signore Gesù allorché chiama i suoi discepoli a diventare, come Lui, pastori, conosce bene che essi sono esseri umani, impastati di fragilità, bisognosi del suo incessante sostegno, della sua misericordia. La forza dei pastori-presbiteri è data dallo Spirito d’amore del Signore. È Lui, più che la volontà umana del vescovo o dello stesso candidato al presbiterato, a costituire il presbitero segno di redenzione, segno vivo ed efficace, presente tra gli uomini, a servizio della loro conformazione a Cristo e della loro umanizzazione. Caro don Marco, l’impegno pastorale che assumerai, per l’imposizione delle mani del vescovo, ti porrà nella condizione di continuare l’opera santificatrice di Cristo stesso. Lo impersonerai, specie mediante i sacramenti. Sarai maestro, guida ed educatore del popolo di Dio. Come Dio ti ha trovato degno di affidarti il Vangelo, così tu lo annuncerai non piacendo agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Non cercherai la gloria umana. Come scrive san Paolo cercherai di essere amorevole in mezzo ai tuoi, come una madre che ha cura dei propri figli. Sarai affezionato a loro, trasmettendo con il Vangelo, la tua stessa vita (cf 1 Ts 2, 2b-8). Proprio questa tua missione speciale, ti solleciterà a modellare la tua vita su quella di Cristo, il buon Pastore, il Pastore dagli occhi grandi. Accompagnerai i tuoi fratelli sino al tunnel buio della morte, per farli approdare sulla sponda gloriosa della pienezza della vita. Pregherai per loro. Proprio perché sarai un alter Christus o, come amano dire altri, ipse Christus, il tuo cuore palpiterà al pari del cuore del Signore Gesù. La sua sollecitudine missionaria sarà pienamente tua. La tua fede sarà alimentata dall’ascolto della sua Parola: un ascolto non meramente auricolare, ma che consentirà alla tua intelligenza di comprendere sempre più profondamente chi è Cristo per te, chi sei tu per gli altri, per ogni credente, per ogni persona, credente o non credente. Ti farà capire che tu sei un essere specificamente in relazione.
Come «alter Christus», il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso forma di servo, è diventato servo (cf Fil 2,5-11).
Il presbitero è, dunque, servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata al servizio sacerdotale del Figlio, assume un carattere essenzialmente relazionale. Tu, Marco, sarai in Cristo, per Cristo e con Cristo, a servizio dei tuoi fratelli e sorelle. Proprio in quanto appartenente alla persona di Cristo sommo Sacerdote, come presbitero sarai radicalmente ministro al servizio della salvezza degli uomini, della loro felicità, della loro autentica liberazione. Lo sarai, come accennato poco fa, di più nella tua progressiva assunzione della volontà di Cristo, nella preghiera, nello “stare a cuore a cuore” con Lui, giacché il cuore parla pur sempre al cuore, come affermava san Francesco di Sales o anche il Cardinale John Henry Newman (1801-1890) che scelse simile espressione come suo motto cardinalizio (Cor ad cor loquitur). Per te l’Eucaristia, celebrata e vissuta, sarà il luogo privilegiato dell’incontro col Sacerdote per eccellenza, con il suo cuore pastorale. Egli farà risplendere sul tuo volto il suo volto di Risorto. Santa Caterina di Siena, Dottore della Chiesa e patrona d’Italia, soleva dire che i sacerdoti sono «i ministri del Sole», in quanto dispensatori dei misteri di Cristo, in particolare dell’Eucaristia che lei definiva il «Sole» della Chiesa. L’ordinazione presbiterale ti unisce a Cristo, al suo essere Capo e Pastore della Chiesa, alla sua Eucaristia. Mediante questa, inizia un nuovo popolo, una nuova storia, la rigenerazione di tutte le cose, quelle della terra e quelle del cielo. Con l’Eucaristia il mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione di Cristo è reso presente nella nostra vita. Con essa si inaugura e si dà compimento ad una nuova umanità, ad una nuova storia e ad una nuova creazione. La celebrazione dell’Eucaristia impegna, dunque, non solo ad essere spettatori della salvezza portata da Cristo agli uomini, ma a divenirne corresponsabili, mediante la rigenerazione di noi stessi, delle persone, delle società, delle istituzioni, del creato.
Il Santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: «come è importante e responsabilizzante essere prete»! Ed aggiungeva: «Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Come è sventurato un prete senza vita interiore»! Potremmo tradurre il pensiero del santo curato d’Ars in questa maniera: com’è sfortunato il prete che celebrando l’Eucaristia rimane spiritualmente ed intellettualmente piccolo, intrappolato nella sua fragile umanità. Sarebbe una disgrazia se il suo cuore rimanesse un cuore che ama e spera poco, rinchiuso entro i confini delle sue piccole vedute, entro gli stretti orizzonti della sua mente umana. Mediante l’ordinazione, come ci suggerisce sant’Agostino, vescovo di Ippona, il sacerdote diventa ministro di Cristo, ministro della Chiesa, ministro della speranza che non delude, ministro della nuova creazione, di un mondo nuovo. Il presbitero è a servizio del Cristo totale.
La santità sacerdotale, caro Marco, è santità da raggiungere non accanto, ma attraverso il ministero. Si concretizza, dunque, vivendo Cristo che redime, divinizza, umanizza, rinnova la faccia della terra. Ossia perseguendo una evangelizzazione integrale. Ciò che spalanca la vita verso l’Infinito, ciò che porta lievito, ciò che dà sapore all’esistenza del presbitero e dei fedeli è proprio Cristo. È accogliere e vivere la sua missione di redenzione e trasfigurazione. Ciò che consente all’uomo di essere più uomo, di essere più ricco di senso, più aperto alla bellezza e allo stupore è la coltivazione della propria vita in Cristo.
Tu hai avuto modo di conoscere il carisma e il metodo pedagogico di don Bosco. Dal Santo dei giovani ti viene proprio l’insegnamento che è solo dall’esperienza del vivere uniti a Cristo che nasce un’umanità più compiuta, più proporzionata alla pienezza di vita che è nel Signore Gesù. Solo dalla comunione costante con Gesù e, quindi, dalla frequenza ai Sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, che deriva ai giovani un’umanità più libera, non libertaria, non irrazionale, bensì più capace di verità, di bene e di Dio. Caro Marco, non temere di fare proposte alte ai giovani che incontrerai. Sei chiamato ad insegnare a loro non solo a fare memoria della vita donata da Cristo, ma anche a fare dono di se stessi assieme a Lui che si dona, con un impegno che è per sempre, nella Chiesa e nella società. Educali ad essere soprattutto annunciatori e testimoni di Cristo, prima ancora di essere assistenti sociali. Solo Cristo, veramente accolto e vissuto, li aiuterà ad essere più fratelli, efficaci umanizzatori e pacificatori, ricercatori di legami forti più che di appoggi, meno poveri di futuro e di Infinito, meno «generazione farfalla» come si usa dire oggi, ovvero più ricchi di senso e di colore, di gioia nel dono di se stessi.
+ Mario Toso