In questa Veglia pasquale abbiamo omesso il rito della luce e abbiamo acceso subito il cero pasquale, che simboleggia Cristo risorto, luce del mondo. È stato letto l’annunzio pasquale o Exsultet per esprimere la gioia della Chiesa intera, quella celeste e quella pellegrinante, come anche dell’umanità e del creato, perché Cristo ha vinto le tenebre della morte ed è risorto dagli inferi. In Lui, l’umanità assunta con l’incarnazione sale al cielo. Diventa «cielo», Dio. La morte è sconfitta, e viene aperto per l’uomo mortale un varco verso la vita immortale. Questo passaggio noi lo viviamo anzitutto mediante il sacramento del battesimo. Diventiamo persone risorte, luce, come Cristo. Coloro che co-muoiono e co-risorgono con Cristo, condividono la sua vita di lotta al peccato: vita per il dono di sé, vita di comunione col Padre. In ogni Eucaristia, siamo inviati ad esserne testimoni nel mondo.
Poco fa abbiamo udito dal Vangelo secondo Matteo che è un angelo a scendere dal cielo, a rotolare la pietra che chiudeva la tomba e a sedervisi sopra per proclamare la risurrezione di Cristo. Invita le donne, Maria di Magdala e l’altra Maria, a vedere il luogo ove era stato deposto e le sollecita ad andare dai discepoli a dire: «È risorto dai morti e vi precede in Galilea» (Mt 28, 28, 1-7). L’evangelista Matteo annota che le donne, con timore e grande gioia, corsero (!) a dare l’annuncio ai discepoli. Avevano cominciato a correre per arrivare in fretta. Ma lo stesso Gesù si fa loro incontro. Esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Riconobbero il Signore e si prostrarono. Mentre erano stupefatte e con il cuore traboccante d’affetto, il Risorto le invia ad annunciare l’evento della sua risurrezione con un comando: «Non temete. Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea. È la che mi vedranno» (Mt 28,10). Il Signore Gesù affida un mandato. Basterebbe considerare le parole adoperate da Matteo per descrivere le due donne, trasformate in testimoni solerti e gioiose della risurrezione, per capire l’entusiasmo e la freschezza dei primi credenti della Chiesa. Viene spontaneo il confronto con la vita di molti battezzati di oggi, spesso dubbiosi sulla risurrezione di Cristo, senza lo smalto e la bellezza dei testimoni delle origini. Mentre questi erano un piccolo drappello, in un mondo vasto, ma colmi del fuoco dello Spirito effuso dalla Croce prima e, poi, nel Cenacolo, oggi i credenti sono molti di più e, tuttavia, sovente appaiono poco credibili ed incisivi, se non irrilevanti. Non si possono certamente dimenticare le centinaia di migliaia di cristiani perseguitati e coloro che sono testimoni luminosi e credibili di Cristo nei vari continenti, nei diversi ambienti di vita. L’azione dello Spirito è sempre all’opera e i semi del Verbo si incontrano ovunque, là ove meno uno se lo aspetta. Quanti volontari, quanti dottori, infermieri, presbiteri, religiosi e religiose si stanno prodigando in maniera straordinaria per essere vicini e per curare coloro che sono stati colpiti dal coronavirus! C’è nell’animo delle persone, credenti o non credenti, una bontà innata che spesso sonnecchia sotto la cenere, coperta da una vita mediocre. Basta, però, un pericolo mortale, per sé e per gli altri, ed essa si ridesta. Diventa evidente che le persone sono fatte per cose grandi e nobili. Che cosa, dunque, specie nei nostri Paesi occidentali, spegne la percezione viva della propria dignità di figli di Dio, della propria missione da risorti? Perché il nostro cuore di carne è spesso un cuore duro, di pietra, sclerotizzato dall’egoismo? Forse, è perché la nostra fede nel Risorto si è indebolita. Forse, è perché il nostro io, presuntuoso e permaloso, non è più capace di adorare il Signore Gesù, come fecero le prime testimoni della risurrezione.
Se davvero siamo persone riplasmate dallo Spirito santo, che ci costituisce discepoli coraggiosi, perché mimetizzarci nel sottobosco della storia anziché essere luce fulgida nel mondo? Domandiamoci: abbiamo paura di essere luce nella Luce, che è Cristo? Se fosse realmente così, vivremmo una crisi di identità, che sarebbe anche crisi di fede. Non siamo solo minacciati dal coronavirus ma anche dal virus della crisi della nostra fede! Forse, è per questo che in non poche delle nostre comunità si comincia a vivere un grande «sabato santo», ossia un periodo di assenza di Dio. Si vive come se Dio non ci fosse. E così, prevale nella vita dei credenti una specie di paganesimo di autosufficienza, al punto da ritenere di essere salvezza a se stessi. Il cristianesimo non è quanto viene proposto dalla Chiesa ma qualcosa che ognuno si confeziona su misura, scegliendo ciò che più gli piace nel Vangelo, come quando si va al supermercato.
In un momento storico che ci rivela l’insufficienza del nostro essere e delle nostre capacità intellettive e morali, come anche della scienza e della medicina, perché continuare a considerarci dèi onnipotenti? Lo vediamo: basta un virus invisibile, sconosciuto, che diviene fatale per parecchie persone, a scombussolare la vita di Nazioni intere, ma anche la nostra fede. Nel contesto di questa epidemia non è inutile che ci poniamo la domanda: dopo questo momento difficile, che ha messo in discussione l’organizzazione della nostra vita socio-economica, di quale fede vogliamo farci testimoni? Di una fede mero schema concettuale, semplice costruzione nostra, guscio vuoto di tradizioni di cui non si conoscono più i contenuti? Ma può sussistere un cristianesimo così? Forse è giunto il tempo di una nuova seminagione del Vangelo. A fronte di come si è palesata la nostra fede in occasione di questa pandemia, e cioè una fede che si è preoccupata meno dell’assenza della comunione eucaristica con Cristo e di più dei ramoscelli di ulivo da benedire e da mettere nelle nostre case, abbiamo, senza dubbio, bisogno di una nuova evangelizzazione o, meglio, di ri-evangelizzare le nostre comunità, di ritrovare le giuste scale dei valori teologici. Il problema serio da affrontare è che Cristo sta scomparendo dall’orizzonte valoriale di troppe persone, come anche dalle dinamiche profonde del senso della vita. Molti battezzati, al lato pratico, non sentono più di appartenere, nel loro intimo, al Signore Gesù e alla sua Chiesa. In una simile condizione socio-religiosa, in cui la propria fede è ridotta a fiammella smorta, diventa arduo essere testimoni della vita nuova del Risorto, ossia di una vita di comunione con Dio sino a dare tutto se stessi. Solo con una fede viva, formata, temprata nella sofferenza, sperimentata nel dono assiduo di sé, vissuta ad un livello profondo, i credenti riusciranno a portare nel mondo il fermento di Dio, la vita nuova di Cristo. Diventiamo luce del mondo quando il nostro io si immerge misticamente in quello di Gesù Cristo, e assieme a tanti altri «io» forma il «noi» che è la Chiesa, popolo di testimoni del Risorto.
Buona Pasqua a tutti!
+ Mario Toso