Carissimi fratelli e sorelle, benvenuti in questa Cattedrale per celebrare insieme la Solennità della Beata Vergine del fuoco, patrona della città e della diocesi di Forlì-Bertinoro. Un saluto fraterno rivolgo a tutti voi, sacerdoti, diaconi e religiosi/e di questa Chiesa locale. Sentiamo spiritualmente uniti a noi anche le monache dei monasteri di clausura e tutti gli anziani e gli ammalati. Tutti noi conosciamo l’origine della devozione alla Madonna del fuoco, che si è sparsa in varie parti del mondo. Nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 1428, il fuoco devastò una scuola ove si trovava l’immagine originale, una xilografia impressa su un semplice foglio di carta fissato su una tavoletta. Nonostante le fiamme abbiano distrutto la scuola, l’immagine cartacea rimase illesa. La domenica seguente fu trasportata solennemente in questa cattedrale ove noi possiamo venerarla. Nel corso dei secoli il popolo forlivese è accorso sempre numeroso attorno alla Madonna non solo in occasione della festa, ma tutte le volte che ha affrontato difficoltà e pericoli, come durante le guerre e le calamità naturali.
La solennità della Beata Vergine del Fuoco ha assunto, dunque, nel tempo, molti significati per questa Chiesa locale, che la venera come protettrice. Possiamo senz’altro trarre diversi insegnamenti dall’episodio che vide salvata l’immagine di Maria, con in braccio il bambino Gesù, dalle fiamme. I versetti del Vangelo, che abbiamo ascoltato poco fa (cf Gv 19,25-27), ci ricordano chi è Maria per noi. È la Madre di Dio e della Chiesa. Maria è sotto la Croce nell’ora di Gesù, il momento culminante della sua vita, mentre si offre e muore sulla croce per noi. Maria, che un giorno accolse l’annuncio dell’angelo e concepì nel suo grembo il Figlio di Dio fatto uomo, è partecipe del suo dolore e della nostra redenzione. Gesù affida a Lei tutti noi come figli nella persona dell’apostolo Giovanni e l’affida a noi come Madre. Maria, dunque, ci ricorda la Chiesa, alla cui origine ha contribuito generando per noi il Figlio, rimanendo in mezzo agli apostoli nei momenti della paura, del disorientamento, ma anche della Pentecoste, allorché lo Spirito santo li colma del suo Amore e li trasforma in testimoni coraggiosi. Tornando all’episodio della devastazione dell’incendio che secoli fa minacciò l’immagine di Maria viene spontaneo pensare che il fuoco può simboleggiare tutti quei mali che tentano di annientare la Chiesa, la nostra comunione con Gesù Cristo, la sua e la nostra missione. I pericoli più fatali per la Chiesa non sono le persecuzioni che ancora oggi subisce in molte parti del mondo. Ogni anno, infatti, muoiono centomila cristiani e sono circa 260 milioni quelli perseguitati. Le persecuzioni, malgrado le sofferenze che provocano, non costituiscono, ebbe a sottolineare Benedetto XVI, il male più grave per la Chiesa. Il danno maggiore essa lo subisce da ciò che inquina la fede e la vita cristiana dei suoi membri e delle sue comunità, intaccando l’integrità del Corpo mistico, indebolendo la sua capacità di profezia e di testimonianza, appannando la bellezza del suo volto. Il pericolo maggiore che dobbiamo temere è quello di una Chiesa senza fede, come ha sempre ribadito papa Benedetto XVI. Quando la fede viene meno, o perché non è alimentata con la preghiera o perché al posto di Dio si pone il proprio io, si è portati ad adorare se stessi. Ma se nella vita cristiana non si riconosce il primato di Dio, lo si strumentalizza, ci si serve di Lui, non lo si serve. Si scambiano gli interessi del Vangelo con i propri. Si ammanta di religiosità quello che fa comodo. Il nostro cristianesimo diventa un cristianesimo fai-da-te. Ma oltre a questo vi sono altri pericoli che dobbiamo temere per le nostre comunità: maldicenza acuta, lamento cronico, campanilismi, immobilismo, perfettismo paranoico, miopia pastorale. Già nelle prime comunità cristiane, come risulta dalle Lettere del Nuovo Testamento, risultavano presenti mali devastanti: immoralità, false accuse, invidie e gelosie. Lo stesso Gesù temeva per i suoi discepoli il male della divisione, che come un cancro maligno distrugge la comunione, la fraternità e l’efficacia missionaria. Pertanto, pregava il Padre così: «Non prego solo per questi – cioè la comunità dei discepoli radunata nel Cenacolo – ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17, 20-26s). Qui cosa chiede a noi il Signore? Egli prega per i discepoli di quel tempo ma anche di tutti i tempi futuri. Guarda in avanti verso l’ampiezza della storia futura. E chiede al Padre la Chiesa e la sua unità. È quello che dovremmo chiedere anche noi. Gesù implora la Chiesa come una ed apostolica. Chiede la Chiesa al Padre. Essa nasce dalla preghiera di Gesù e mediante l’annuncio degli Apostoli, che fanno conoscere il nome di Dio e introducono gli uomini nella comunione di amore con Dio. Gesù chiede dunque che l’annuncio dei discepoli prosegua lungo i tempi; che tale annuncio raccolga uomini i quali, in base ad esso, riconoscono Dio e il suo Inviato, il Figlio Gesù Cristo. Egli prega affinché gli uomini siano condotti alla fede e, mediante la fede, all’amore. Chiede al Padre che vivano nell’interiore comunione con Dio e con Gesù Cristo e che da questo essere interiormente nella comunione con Dio si crei l’unità visibile. La preghiera di Gesù è un esame di coscienza per noi. Il Signore, in altre parole, ci chiede: vivi tu, mediante la fede, nella comunione con me e così nella comunione con Dio? O non vivi forse piuttosto per te stesso, allontanandoti così dalla fede? E non sei forse con ciò colpevole della divisione che oscura la mia missione nel mondo; che preclude agli uomini l’accesso all’amore di Dio? Gesù è addolorato quando facciamo resistenza al suo amore; quando ci opponiamo all’unità, che deve essere per il mondo testimonianza della sua missione. Non possiamo essere divisi tra di noi: chi per il papa Francesco, chi per il papa emerito Benedetto XVI , chi per quel predicatore o quell’altro padre missionario. Cristo – ce l’ha ricordato la recente Settimana di preghiere per l’unità – non è diviso. Non dobbiamo dimenticare mai che non è questo o quel papa, questo o quel parroco, questo o quel vescovo che ci salva. È Gesù Cristo il Redentore. Guardiamo, allora, a Lui. Solo Lui è da amare sopra ogni cosa. Guardiamo alla Madre di Dio che tiene in braccio il Figlio. Gesù, si è specchiato negli occhi e nel volto di sua Madre. Anche noi siamo chiamati a guardare oggi Maria, la madre di Dio e della Chiesa. Guardando a Lei e al suo Figlio siamo chiamati a volere e a continuare la Chiesa, la sua missione, la nuova evangelizzazione. Nella Madonna noi Chiesa ritroviamo i nostri tratti distintivi. Vediamo lei, immacolata, e ci sentiamo chiamati a dire “no” al peccato e alla mondanità. Vediamo lei, feconda, e ci sentiamo chiamati ad annunciare il Signore, a generarlo nelle vite. Vediamo lei, madre, e ci sentiamo chiamati ad accogliere ogni uomo come un figlio. Invochiamo oggi la Beata Vergine del Fuoco, che ci riunisce come popolo credente. O Madre, genera in noi la speranza, porta l’unità.
+ Mario Toso