In questa solennità di Cristo re dell’universo, che sussume in sé tutte le feste e le solennità della Liturgia, facendoci vedere l’apice del mistero della Redenzione, celebriamo anche la festa del Ringraziamento. Il contesto della solennità di Cristo Re ci aiuta a cogliere il significato più profondo del ringraziamento per i doni della terra e del lavoro di essa, mediante l’attività degli agricoltori.
Celebrare Cristo Re, risorto e asceso in cielo, coronato Signore dell’universo, vuol dire abbracciare in un unico sguardo il compimento della salvezza. Essa è posta in atto dal Figlio di Dio che si incarna per redimere ogni uomo, tutto l’uomo e le sue attività, ogni popolo, tutti i popoli, costituendoli in un unico popolo, il popolo di Dio; per redimere non solo l’umanità, ma anche il creato, sottoponendolo alla generazione di cieli nuovi e terra nuova, mediante le doglie di un parto cosmico, come ci ha insegnato san Paolo (cf Rm 8,22).
Come il Verbo incarnato, dopo il peccato di Adamo ed Eva, che disobbediscono a Dio, realizza la seconda creazione, culminante nell’apoteosi della Signoria di Gesù, proclamato Signore dell’universo? Mediante l’accettazione del volontà del Padre che lo invia a noi come Uomo nuovo, Uomo-Dio per arricchire l’umanità della stessa vita di Dio, ossia l’Amore trinitario, l’Amore di una Comunità. Solo mediante l’accettazione di Dio, del Figlio, della sua capacità di amare, ovvero del suo Spirito d’amore, è possibile per l’uomo redimersi, vivere in comunione, in profonda unità con la vita e il disegno di Dio sul mondo.
Non dimentichiamo che la regalità di Cristo è rappresentata da una corona di spine e dalla Croce. Egli è Re, non alla maniera dei re terreni, bensì mediante l’Amore, quell’Amore che lo rende Servo sofferente per eccellenza, Sommo sacerdote, ossia riconciliatore dell’uomo con Dio, pacificatore dei popoli, spesso in lotta tra loro per la conquista della terra e il dominio assoluto sul creato. Facendo della propria vita un dono totale a Dio e all’umanità, consente a questa di esercitare, nei confronti del creato, un’attività di custodia, di coltivazione, di sviluppo delle potenzialità intrinseche, e non di sfruttamento dissennato o di incetta delle risorse per pochi, con esclusione di altri, quando la terra è posta in essere e data a tutti. L’uomo può mettere in atto la sua vocazione a coltivare il giardino grazie al dono dell’Amore di Cristo.
Siamo qui a ringraziare, dunque, Dio Padre per i suoi doni, in particolare per suo Figlio, il dono dei doni. È Lui che «ricapitola in sé» tutte le cose, tutte le attività umane, mostrando come esse debbono essere vissute, ossia con il suo Amore: amore redimente, trasfigurante, umanizzante perché divinizzante. Uniti a Lui, impegnato in una nuova creazione, anche noi partecipiamo alla realizzazione di cieli nuovi e terra nuova. Lavoriamo la terra perché produca pane per tutti, pane per la vita, pane di giustizia, pane per la pace. Il frutto del lavoro delle mani dell’uomo allieta le mense delle nostre famiglie, che si trovano unite nell’amore e nella concordia. Il lavoro dei campi, con il sudore della fronte e la fatica dell’impegno costante, ci richiama il legame alla madre terra, rende più saporite la fraternità e la condivisione, offre ragioni per ringraziare il Creatore e il Redentore che vivificano il creato e l’umanità. Il canto del salmo 104, raccoglie in un unico atto di lode e di ringraziamento i sentimenti di gratitudine dell’uomo con queste espressioni: «Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva per trarre cibo dalla terra, vino che allieta il cuore dell’uomo, olio che fa brillare il suo volto, e pane che sostiene il suo cuore» (Sal 104, 14-15). Il cibo che viene dalla terra sostiene la vita dell’uomo, la sua forza d’amore e di dono nella famiglia, nei vari territori, facendone dei giardini per la vita di molti, per la fraternità e la pace, per la contemplazione della bellezza e della gloria di Dio.
Celebriamo la festa del ringraziamento nella chiesa di san Francesco. Ciò non è a caso. Il poverello di Assisi ci ha insegnato, e continua ad ammaestrarci, aiutandoci a capire che solo il riconoscere Dio come nostro Padre, assegnando a Lui il primato su tutto, ci dà la giusta misura delle cose e il senso del nostro lavoro di collaboratori di Dio, creatore e redentore. Tutte le creature sono sorelle, data la loro origine comune. Noi non siamo padroni della terra. Essa ci è stata affidata per amministrarla.
Questa visione ci aiuta, prima di tutto, a superare l’antropocentrismo dispotico, ovvero la tentazione che ha l’uomo di pensarsi onnipotente e di ridurre tutto a materia manipolabile. In secondo luogo, ci immette in una prospettiva di fede secondo cui si partecipa all’opera ricapitolatrice di Cristo risorto, che redime e trasfigura le relazioni con se stessi, con il creato e con Dio. In quanto inseriti in Cristo siamo chiamati alla realizzazione di una creazione continua. Perché? Perché «il Risorto, nel quale col battesimo, siamo corisorti, avvolge misteriosamente le creature e le orienta ad un destino di pienezza» (Laudato sì’[=LS] n. 100).
Secondo la comprensione cristiana della realtà, il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di Cristo, che è presente fin dall’origine, perché tutte le cose, compreso il cosmo, sono state create per mezzo di Lui e in vista della pienezza che esiste nel Risorto (cf Col 1, 12-20). L’universo si sviluppa in Cristo, che lo riempie tutto e lo sospinge verso il compimento mediante la sua regalità di amore. Di qui derivano gli orientamenti spirituali per l’azione costruttrice dei cristiani in vista di una ecologia integrale, di uno sviluppo umano pieno, sostenibile ed inclusivo. Sono, inevitabilmente, orientamenti di conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che ci circonda (cf LS n. 217). Ovvero le conseguenze della riconciliazione con il creato, con i fratelli e, quindi, un modo alternativo di intendere la qualità della vita, la scelta di una felice sobrietà, la gioia della gratuità e del dono, della condivisione, la pace interiore, il ringraziamento a Dio per i suoi doni, nuovi stili di vita, una fraternità universale, l’impegno sociale e politico a favore del bene comune e di un’ecologia integrale.
Fonte e culmine di un’azione redentrice e trasfiguratrice del cosmo creato è l’esperienza dell’Eucaristia, il «primo giorno» della nuova creazione. La partecipazione all’Eucaristia consente di risanare le relazioni degli esseri umani con Dio, con se stessi, con ogni altro tu, con il creato. Con la celebrazione dell’Eucaristia – la nuova Alleanza –, l’Amore di Cristo e il suo Spirito sono disseminati nell’universo, nel lavoro umano, nel lavoro di chi custodisce e coltiva la terra a vantaggio di tutti. Col Risorto, continuiamo a dissodare e a lavorare il creato. Il Beato Angelico nel Convento di san Marco di Firenze, rappresenta Gesù risorto in un verde giardino con la zappa in mano. Che vuol dire? Il Risorto continua a lavorare, ovvero continua la creazione. Nell’Eucaristia, che stiamo celebrando, uniamoci a Lui.
+ Mario Toso