Faenza, cattedrale 25 dicembre 2019
25-12-2019
Cari fratelli e sorelle, viviamo momenti di intensa gioia per la nascita del Salvatore. L’atteso dal mondo è venuto tra noi a comunicare se stesso, perché avessimo più vita, più capacità di amare, di trasformare le nostre società. L’umanità, dopo il peccato di Adamo, ha bisogno di redenzione, di superare la confusione delle lingue, di ricostituirsi in una grande famiglia di popoli uniti dalla fraternità, dalla giustizia e dalla pace. Quanti conflitti sono in atto, quante persecuzioni, quante persone fuggono dal loro Paese. Con la sua venuta, nell’umiltà di un Bambino, Dio inizia la seconda creazione, rispetto alla prima, contrassegnata dalla disobbedienza di Adamo ed Eva. Per molto tempo Dio, per parlare all’uomo, è ricorso ad intermediari, ai profeti. Ma, ecco, viene il momento in cui Egli manda il suo Verbo. Contrariamente agli idoli muti, Dio parla. Parla direttamente per mezzo del Figlio, che è irradiazione della sua gloria, impronta della sua sostanza. Per mezzo di Lui aveva fatto il mondo (cf Eb 1, 1-6). E ora, il Figlio si fa carne, assume la nostra umanità, per unirla più strettamente a sé, perché diventi Dio. Il profeta Isaia, con un oracolo pieno di lirismo, descrive il ritorno del Signore a Sion: prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha riscattato il suo popolo (cf Is 52, 7-10). Sempre il profeta Isaia, sollecita chi gioisce per il ritorno del Signore a Sion ad esserne messaggero: come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, affinché tutta la terra veda la salvezza di Dio. Come i pastori, traboccanti di gioia, se ne partirono da Betlemme, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, così noi oggi siamo chiamati ad essere messaggeri di Cristo, Luce del mondo. Questo è un compito sempre permanente nei tempi. Il Natale non è un punto di arrivo e basta. È un punto di partenza. Chi incontra Cristo e viene afferrato dal suo Amore, diventa missionario, annunciatore della salvezza del Verbo che si fa carne, diviene protagonista della seconda creazione, il tempo in cui viviamo noi. Ogni credente è sollecitato a diffondere questa bella notizia e a rendere tutti partecipi in Cristo di una nuova creazione, di cieli nuovi e di una terra nuova. Ma se questo è vero dobbiamo tener presente che le condizioni in cui si deve essere missionari non sono sempre uguali. Dobbiamo, allora, convertirci nei nostri modi di pensare e di operare. Qui da noi, specie in Europa, la fede non costituisce più un presupposto ovvio della nostra vita e della nostra cultura. Spesso la fede, seminata nel passato, viene perfino negata, derisa, emarginata e ridicolizzata. Mentre nel passato potevamo disporre di un tessuto culturale intriso di valori cristiani, oggi, a motivo di una profonda crisi della fede, non è più così. Non a caso papa Benedetto XVI ha istituito nel 2010 il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova evangelizzazione. Perché? Per promuovere una rinnovata evangelizzazione nei Paesi dove è già risuonato il primo annuncio della fede e sono presenti Chiese di antica fondazione – per quanto ci riguarda disponiamo di testimonianze per dire che qui a Faenza il cristianesimo era già organizzato in Diocesi nel III secolo -, ma che stanno vivendo in una progressiva secolarizzazione della società e una sorta di «eclissi del senso di Dio». Ebbene, in questo Natale, che ci riempie il cuore di gioia, siamo inviati da Cristo ad annunciarLo tenendo conto delle nuove circostanze sociali e culturali. Per noi, esse sono anche rappresentate da un forte ridimensionamento delle parrocchie, dei presbiteri, dei battesimi e dei matrimoni in chiesa. Vivere, allora, il Natale con realismo, non perdendosi in visioni né pessimistiche né distorte, significa adoperarsi a trovare innanzitutto un nuovo slancio missionario, ma anche mezzi più consoni per riproporre la perenne verità del Vangelo di Cristo. Detto diversamente, c’è bisogno di una nuova evangelizzazione e, in alcuni casi, di una rievangelizzazione. È, però, da non dimenticare che rievangelizzare richiede più dedizione ed acume pastorale rispetto alla prima evangelizzazione. Per questo il Sinodo dei giovani, entrato nel vivo della sua attuazione, ha giustamente rimarcato il bisogno di formare urgentemente i formatori. Non dobbiamo aver paura di ripensare il nostro cristianesimo, di riflettere sul suo senso per l’oggi, sulla fatica di una sua nuova seminagione. Esso richiede, per essere meglio recepito, di essere compreso nella sua novità, nel suo genio, nella sua fecondità civilizzatrice. Non possiamo dimenticare, peraltro, che esso è stato oscurato da troppe controtestimonianze e da lampanti cadute di qualità della spiritualità e della preghiera in noi e nelle nostre comunità. Rilevare tutto questo non significa amare di meno Gesù Cristo e la propria Chiesa. Piuttosto è desiderarla più bella, immacolata e santa. Se nella Chiesa vive ancora l’amore di Cristo, dobbiamo ringraziare Colui che è sempre veniente. La presenza indubitabile dell’amore di Cristo e del suo Spirito nella sua Chiesa ci deve incoraggiare. Non per questo, però, siamo indotti a essere ciechi rispetto al piccolo gregge che, per varie ragioni, stiamo divenendo. Prendiamo, invece, sul serio l’incarnazione di Cristo nella nostra vita, nella storia. Non vanifichiamola, non contribuiamo a nasconderla, a contrabbandarla con ideologie sempre risorgenti. Piuttosto, con l’aiuto di Cristo, che si fa pane e cibo per noi, pellegrini nel tempo, partecipiamo convintamente alla sua seconda creazione, contribuiamo al rinascimento morale e spirituale delle nostre famiglie e delle nostre città. Ecco, come vivere il Natale da credenti più adulti. Sia davvero un buon Natale di Cristo, per tutti.
+ Mario Toso