Cari fedeli, noi festeggiamo i santi perché ci manifestano l’amore di Dio, la sua grandezza. Nella loro vita amarono Dio e la Chiesa da Lui voluta. San Francesco, in particolare, venne suscitato da Gesù Cristo come riformatore della Chiesa. In altri termini, impersonò colui che nel Libro del Siracide (Sir 50, 1. 3-7) è descritto come chi «nella sua vita riparò il tempio, e nei suoi giorni fortificò il santuario». Il Crocifisso, che Francesco pregò nella chiesetta diroccata di san Damiano, lo sollecitò in tal senso: «Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina». Le parole del Crocifisso contengono un significato profondo. Esse, non solo sollecitano Francesco a riparare materialmente la chiesetta di san Damiano. Lo invitano a vedere nello stato rovinoso del piccolo edificio la situazione drammatica ed inquietante della Chiesa del suo tempo. Tra i fedeli dominava una fede superficiale, senza radici. Ossia una fede che non formava e non trasformava la vita. Il clero in generale, alto e basso, era poco zelante, più preoccupato del potere e del benessere materiale. L’amore per Gesù Cristo si era raffreddato. Tutto ciò procurava la distruzione interiore della Chiesa, dando adito anche ad eresie.Il Crocifisso posto al centro della chiesetta di san Damiano chiamò, dunque, Francesco sia ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano sia ad un lavoro spirituale e di testimonianza per rinnovare la Chiesa stessa di Cristo. Quest’ultimo impegno di riforma, compiuto dal poverello di Assisi, fu visto in sogno da Innocenzo III. Il papa vide che la basilica di san Giovanni in Laterano, la chiesa madre di tutte le chiese, stava crollando e un religioso, piccolo e insignificante, la puntellava con le sue spalle affinché non cadesse. È interessante notare, sottolinea Benedetto XVI nell’udienza generale del 27 gennaio 2010, che non è il Papa a dare l’aiuto affinché la Chiesa non cada, bensì un piccolo religioso, che il Papa riconobbe in Francesco allorché gli fece visita. E pensare che Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico. Ebbene, non è lui a rinnovare la Chiesa. Peraltro, è da tener presente che Francesco riforma la Chiesa non opponendosi al Papa. Lo fa mantenendo la comunione con lui. Il rinnovamento della Chiesa lo effettua coniugando insieme istituzione e carisma nuovo. Francesco per aiutare la Chiesa a rimanere in piedi, non fa appello immediatamente solo a Cristo, alla sua Parola, bypassando l’autorità. È anche un uomo di Chiesa, che ne conosce l’importanza come istituzione. Egli intende creare un rinnovamento del popolo di Dio unitamente alla gerarchia, non senza la Chiesa, non senza il Papa, non senza i vescovi. La sua azione vuol’essere della Chiesa, con la Chiesa, nella Chiesa. Perché questo? Perché la salvezza che Cristo porta all’umanità è stata affidata alla Chiesa. E chi si oppone alla Chiesa rischia di non godere di tale salvezza. Lo aveva ben capito don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana. Nonostante le molte incomprensioni da parte della gerarchia fiorentina volle rimanere nella Chiesa, ove c’è l’Eucaristia che rende presenti il Corpo e il Sangue di Cristo redentore. San Francesco avrebbe potuto concepire la riforma della Chiesa alla maniera di Lutero, uscendo dalla Chiesa e criticandola severamente, abbandonando i sacramenti, che sono fonte di grazia, e opponendosi al Papa. Ma non lo fece, per le ragioni dette.
A questo punto domandiamoci: la Chiesa odierna ha bisogno di essere riformata come ai tempi di san Francesco? Basta che seguiamo minimamente quanto viene riportato dai mezzi di comunicazione: diminuzione dei credenti, crescente separazione tra fede e vita, la triste piaga della pedofilia, annunci di scismi, scandali pecuniari. Ebbene, anche oggi la nostra Chiesa ha bisogno di essere riformata profondamente, specie nella vita mediocre di molti di noi. Noi non siamo fatti per la mediocrità. Dio ci chiama ad essere suoi completamente, non a metà. Per cui non possiamo condividere ed assecondare quel cristianesimo fai-da-te che è piuttosto diffuso nelle nostre comunità. Dal Vangelo e da quanto ci propone Gesù Cristo si prende, come da un self service, ciò che piace di più, lasciando quanto è più impegnativo e costoso. Ma ciò che dobbiamo pure combattere con determinazione è il neopaganesimo strisciante tra le file dei credenti, ossia la tentazione di mettere al centro di tutto se stessi, diventando l’unico metro di misura del vero e del bene, occupando il posto di Dio. Più che inginocchiarsi davanti a Dio si pone in cima a tutto il proprio io, facendo di noi stessi un dio. La triste conseguenza è che rimaniamo da soli, senza Dio, senza Colui che ci redime e ci divinizza. Per il cristianesimo, lo sappiamo, Dio diviene creatura perché questa diventi Dio. Solo così si compie il sogno originario. Non sostituendoci a Dio, ma sprofondando nel suo mare infinito. Il cristianesimo non è un circolo per signore, non è intrattenimento per il tempo libero, un’associazione di beneficienza. È essere di Cristo. È vivere Lui, diventare un «altro Cristo», come lo divenne Francesco. È essere missionari coraggiosi. La causa di tutte le disperazioni del presente, in fin dei conti, sta nel fatto che mettiamo da parte Gesù Cristo. Ci disabituiamo anche soltanto a pensarlo.
Ma la nostra Chiesa va riformata liberandola anche da altre povertà. I campanilismi, la paralisi nella comunione tra noi e nella missione, maldicenza, una certa aggressività verbale, che non risparmia neppure il papa, stanchezza negli organismi di partecipazione, desiderio di imporre le proprie idee a tutti i costi, tendenza a condannare tutto e tutti, essere comunità arroccata che non riesce ad essere in dialogo con altri credenti, ad uscire, non per perdere la propria fede ed identità, ma per interagire con altri e proporre Gesù Cristo.
Proprio su questo ultimo punto san Francesco ha qualcosa da insegnarci, ossia sul rapportarci con chi, come i mussulmani, ha una fede diversa ed abita tra noi. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il cristianesimo e l’Islam, Francesco, «armato» volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale, percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza benevola e cordiale ricevuta dal sultano mussulmano. L’esempio di Francesco costituisce un modello a cui anche oggi dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e mussulmani: promuovere un dialogo nella verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione. Francesco volle incontrare il mondo mussulmano e predicare anche lì il Vangelo di Cristo. Domandiamoci: e, noi, che conviviamo con mussulmani giunti qui già da anni, tant’è che sono inseriti nel lavoro, nella scuola, nelle attività commerciali, siamo solleciti a far conoscere Gesù Cristo? Arde in noi un amore intenso per Gesù Cristo, tale sa sospingerci ad essere missionari come san Francesco?
In questo mese missionario straordinario onoriamo degnamente il poverello di Assisi. Imitiamolo nel suo amore a Cristo che ha redento il mondo sulla croce. Siamo, come lui, un’icona viva di Cristo, siamo un altro Cristo, missionario del Padre. Lo Spirito santo ci aiuti a vivere il «giogo» dell’amore di Cristo, mite ed umile di cuore (cf Mt 11, 25-30).
+ Mario Toso