Cari ragazzi, cari catechisti e genitori, cari parroci, durante questa santa Messa, celebrata in san Giovanni Laterano, la Chiesa cattedrale di Roma, la madre di tutte le Chiese di Roma e del mondo, si farà la tradizionale consegna del simbolo degli Apostoli. Esso contiene in forma più breve le principali verità di fede che recitiamo con il Credo della Santa Messa domenicale, il simbolo niceno-costantinopolitano, composto dopo i Concili di Nicea e di Costantinopoli. Che cos’è il Simbolo degli Apostoli? È, come evoca il nome, una sintesi della fede degli Apostoli. È il primo Credo della Chiesa delle origini. È detto «Credo degli Apostoli», perché, secondo la tradizione di cui parla anche Rufino, ciascuno dei dodici apostoli, ispirati dallo Spirito Santo,[8] il giorno di Pentecoste, avrebbe scritto uno dei dodici articoli di fede contenuti nel Symbolum.[7] È chiamato anche l’antico Simbolo battesimale della Chiesa di Roma, perché era recitato dai battezzandi. Accolto dalla Chiesa di Roma, ove ebbe la sua sede Pietro, il primo tra gli Apostoli, fu da essa costantemente conservato e tramandato nella sua originale purezza.La consegna a voi del simbolo degli Apostoli, qui a Roma, ha un significato del tutto particolare, cari cresimati. Vi è affidato perché, come la Chiesa delle origini, lo accogliate con stupore, con slancio ed entusiasmo, e perché nei prossimi anni delle scuole superiori non lo perdiate di vista, ma lo approfondiate. Come? Amando e conoscendo di più Gesù Cristo. Con quale scopo? Per conoscerLo e amarLo sempre di più. L’amore fa vedere e il vedere fa amare. Ricevere con fede il Simbolo, recitarlo attentamente, studiarlo, consente di entrare in comunione con Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, con il loro Amore, con tutta la Chiesa, che ce lo trasmette. Consente di entrare in sintonia e in connessione con Dio-Amore. Permette di amare e vedere le cose, le persone, i genitori, gli amici come li vede e li ama Lui. Il simbolo degli Apostoli diventa nutrimento per lo spirito, si fa vita di dono. Guardando a Colui che «fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi e il terzo giorno risuscitò da morte», come ci insegna il Simbolo, impariamo l’amore, diventiamo amore. Grazie al Credo apostolico, accolto e pregato, giungiamo a vivere Gesù Cristo, a vivere la sua Chiesa, nel seno della quale noi siamo e viviamo. Arrivando ai 18 anni potrete fare una professione di fede più convinta. Sceglierete di seguire Gesù Cristo come suoi missionari coraggiosi. Dal profondo del vostro cuore, sentirete di appartenere a Lui in maniera indissolubile. GuardandoLo imparerete ad amare per davvero. Chi ama come Gesù, è bene ripeterlo, vede di più, e chi vede e conosce di più, ama sempre di più. Proverete gioia di essere suoi, di avere come madre la Chiesa. Ne andrete fieri, non arrossirete, nonostante i suoi difetti. Sarete più pronti a rinnovarla, a costruirla, come anche a costruire una società dove vivere il comandamento nuovo di Gesù.
Cosa vuol dire vivere, amare la Chiesa, costruirla? A chi possiamo guardare per capire meglio cosa significa tutto questo? Penso che faremmo bene guardare a san Francesco d’Assisi, festeggiato qualche giorno fa. Come racconta san Bonaventura, il poverello di Assisi fu visto in sogno da papa Innocenzo III mentre impediva il crollo di questa Chiesa, sorreggendola con una delle sue spalle. Cosa voleva dire il sogno del papa? Che san Francesco, con la sua scelta di vita povera, con il suo esempio, con il suo slancio missionario – partì per convertire il sultano mussulmano -, con la fondazione di una famiglia religiosa numerosa, fatta di tante persone consacrate (pensiamo solo a santa Chiara, a sant’Antonio di Padova, a san Bonaventura e, più vicino a noi, a padre Kolbe, a Padre Pio), impedì la rovina morale e religiosa della Chiesa. Egli, ancora oggi ci indica come rinnovarla, come renderla più giovane e bella, per non farla cadere rovinosamente.
San Francesco impersonò colui che nel Libro del Siracide (Sir 50, 1. 3-7) è descritto come chi «nella sua vita riparò il tempio, e nei suoi giorni fortificò il santuario». Il Crocifisso, che Francesco pregò nella chiesetta diroccata di san Damiano, lo sollecitò in tal senso: «Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina». Cari cresimati, accogliete anche voi le parole del Crocifisso rivolte al giovane Francesco. Esse, non solo sollecitano Francesco a riparare materialmente la chiesetta di san Damiano, pietra su pietra. Lo invitano a vedere nello stato rovinoso del piccolo edificio la situazione drammatica ed inquietante della Chiesa del suo tempo. Tra i fedeli dominava una fede superficiale, senza radici. Ossia una fede che non formava e non trasformava la vita. Il clero in generale, alto e basso, era poco zelante, più preoccupato del potere e del benessere materiale. L’amore per Gesù Cristo si era raffreddato. Tutto ciò procurava la distruzione interiore della Chiesa, dando adito anche ad eresie.
Il Crocifisso posto al centro della chiesetta di san Damiano chiamò, dunque, Francesco sia ad un lavoro manuale per riparare concretamente la chiesetta di san Damiano sia ad un lavoro spirituale, missionario, di testimonianza, per rinnovare la Chiesa stessa di Cristo.
Riflettiamo: nel sogno di Innocenzo III fu visto un religioso, piccolo e insignificante, che puntellava la Chiesa con le sue spalle affinché non cadesse. È interessante notare, sottolineò Benedetto XVI nell’udienza generale del 27 gennaio 2010, che non è il Papa a dare l’aiuto affinché la Chiesa non cada, bensì un piccolo religioso, che il Papa riconobbe in Francesco, allorché gli fece visita per chiedergli l’approvazione della Regola. E pensare che Innocenzo III era un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico. Ebbene, non è lui a rinnovare la Chiesa. Cosa vuol dire questo per noi, per voi cresimati? La Chiesa può essere riformata, costruita così come Gesù Cristo la desidera, anche da chi, come noi, è piccolo e insignificante, ossia non è una persona importante e non è molto conosciuta. Basta amare Lui, ascoltarlo, cominciando da giovani, come fece san Francesco. Basta scegliere la «parte buona» che è ascoltare la parola di Gesù, come fece Maria, senza trascurare peraltro di operare, come Marta (cf Lc 10, 38-42). Volete diventare credenti che si fanno carico della propria Chiesa, del suo futuro? Amate Gesù, tifate per Lui, vantatevi del suo amore, un amore certamente costoso, che importa crocifissioni, ma che riempie il cuore di gioia, di tanta amicizia fraterna, di voglia di fare nuove le cose e le persone.
Il Signore Gesù, che si fa cibo e bevanda in questa Eucaristia, san Francesco di Assisi vi e ci aiutino.
+ Mario Toso